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L’organizzazione dell’aula è un indicatore significativo di come sono percepiti gli alunni e
l’apprendimento. Tale organizzazione ha anche una funzione sociale perché influisce sui
rapporti dei bambini tra di loro e con l’insegnante.
Importante componente dell’organizzazione dell’aula è la disposizione dei banchi che può
essere:
1) in fila: l’insegnante ha sotto controllo tutti gli alunni, la comunicazione tra gli alunni è
ostacolata e ciò può generare agitazione e instabilità motoria;
2) a ferro di cavallo: consente scambi e interazioni con i compagni più vicini, favorisce la
percezione della classe come gruppo e facilita la comunicazione di tipo circolare;
3) a gruppi: favorisce le interazioni, la cooperazione e lo scambio di conoscenze.
Possibili articolazioni dello spazio nell’aula
Freinet (esponente dell’attivismo) e la Montessori considerano l’aula come un luogo ricco di
opportunità. Essa può essere suddivisa in vari ambienti. Si possono sfruttare anche le pareti e
inserire anche cose vive come piante o fiori. Ogni bambino deve avere un suo spazio personale
dove riporre le sue cose.
Uno spazio ben organizzato è come un educatore in più.
Gli spazi oltre l’aula
Anche gli spazi diversi dall’aula concorrono a definire l’immagine della scuola.
Ad esempio, l’atrio è lo spazio dell’accoglienza e potrebbe essere sfruttato per informare e
anticipare gli eventi organizzati dalla scuola.
I corridoi, opportunamente arredati ed attrezzati, possono diventare prolungamenti dell’aula.
I bagni, meglio se uno per classe, devono essere accoglienti, provvisti di materiali per la pulizia
e attrezzati di chiusure funzionanti.
La mensa dovrebbe essere progettata per poter svolgere le funzioni di convivialità.
6. Collegialità e partecipazione: la legislazione scolastica
Negli anni ‘70 a livello sociale emergono un nuovo pluralismo culturale ed educativo e una
domanda di maggiore partecipazione.
Nel 1974 vengono emanati i Decreti Delegati con la finalità di promuovere nella scuola la
collegialità e la partecipazione.
Ai genitori si chiede di partecipare, attraverso l’elezione di propri rappresentanti, al governo
della scuola.
Ai docenti si chiede di comunicare e di confrontarsi con i genitori e gli altri insegnanti per
giustificare le proprie scelte didattiche e gli obiettivi.
I Decreti Delegati hanno avuto il merito di favorire e regolamentare un inedito confronto tra punti
di vista diversi.
Nel 1979 vengono emanati i nuovi programmi per la scuola media che pongono l’accento
sull’interdisciplinarietà, cioè sull’esigenza di superare la settorizzazione delle discipline per
favorire uno sviluppo unitario della personalità degli alunni.
La legge di riforma della scuola elementare del 1990 propone un modello basato sulla
contitolarità, cioè sulla gestione comune del processo di insegnamento. Dalla maestra unica si
passa ai moduli, cioè a tre insegnanti su due classi.
Le leggi che istituiscono l’autonomia scolastica sono due: una del 1997 e l’altra del 1999. Esse
permettono di trasferire alle scuole alcune competenze gestionali e obbligano ciascun istituto
scolastico alla formulazione del Piano dell’Offerta Formativa (POF).
Con la riforma del 2004 viene previsto che gli insegnanti di sostegno (che si dedicano agli
alunni diversamente abili) assumano la contitolarità delle classi in cui operano.
Una legge del 1994 prevede che, per gli alunni diversamente abili, venga redatto un profilo
dinamico-funzionale da parte degli operatori psico-pedagogici, insegnanti, genitori ed operatori
dell’ASL.
7. Il rapporto scuola-famiglia
Nonostante i profondi cambiamenti sociali degli ultimi 40 anni, famiglia e scuola restano le
principali agenzie educative.
Famiglie e insegnanti a confronto
Malgrado sia gli insegnanti che i genitori siano d’accordo sull’esigenza di stabilire tra di loro dei
buoni rapporti, non sempre essi sono positivi.
Ad esempio, gli insegnanti spesso accusano i genitori di essere disinteressati o di intromettersi
troppo nel campo didattico. I genitori sostengono che gli insegnanti sono impreparati e li
accusano di usurpare le loro responsabilità di educatori.
Eppure la collaborazione è fondamentale.
Tutti gli studiosi concordano nel ritenere che la famiglia rappresenti il contesto formativo più
importante per il bambino. Tuttavia anche la scuola costituisce un contesto di apprendimento
molto importante.
Famiglia e scuola non rappresentano due sistemi chiusi, ma aperti costantemente al mondo
esterno. Inoltre non si può parlare genericamente di famiglia e di scuola.
Lo psicologo Luigi Anolli descrive due tipi di famiglie:
1) famiglie centripete o invischiate: sono quelle che pensano che solo la famiglia può
soddisfare le esigenze dei suoi componenti. Sono famiglie rigide che spesso accusano la
scuola di non capire i bambini;
2) famiglie centrifughe: hanno un basso coinvolgimento emotivo, delegano alla scuola il ruolo
educativo e accettano passivamente le decisioni degli insegnanti.
Anche gli insegnanti a volte assumono nei confronti della famiglia modalità inadeguate, da
evitare soprattutto in occasione dei colloqui. Si tratta di modalità:
1) di colpevolizzazione, considerando i genitori inadeguati e irresponsabili;
2) di assistenzialismo nei confronti di quei genitori che percepiscono come bisognosi di aiuto;
3) di difficoltà a relazionarsi, preferendo limitarsi ai rapporti formali.
Per gestire un rapporto corretto con le famiglie occorre:
● ribadire l’autonomia di famiglia e scuola, che non significa distacco ma cooperazione;
● non coinvolgere direttamente il bambino;
● la comunicazione deve essere di ascolto, non giudicante ed empatica.
L’ingresso nella scuola
L’ingresso del bambino nella scuola rappresenta per la famiglia un evento importante. Infatti se
il clima che lo accompagna in questo passaggio è caratterizzato da ansia e perplessità, il
bambino sarà insicuro.
I compiti a casa
Una delle più frequenti occasioni di conflitto tra scuola e famiglia riguarda i compiti.
Succede spesso che i genitori si sostituiscano ai figli, il che è inevitabili se i compiti assegnati
richiedono nuove abilità e conoscenze: ciò deve essere evitato dagli insegnanti.
Parte III - Includere le diversità
8. Porsi in relazione con il disagio
Per disagio scolastico si intende una condizione di malessere che nasce dall’incontro tra alcune
variabili personali e il contesto scolastico nel quale il soggetto è inserito.
Primo: il disagio è nel gruppo
Bruner afferma che il linguaggio è lo strumento che ci permette di costruire significati condivisi.
Quindi è bene parlare del disagio scolastico come di una condizione che riguarda il gruppo,
insegnanti compresi.
Ciò permette:
1) un’assunzione di responsabilità da parte del gruppo di insegnanti che si relazionano con lo
stesso gruppo di bambini;
2) lo spostamento dell’attenzione dalle persone e dalle loro difficoltà individuali al sistema di
relazioni. Ciò permette di vedere il disagio come un processo dinamico in corso;
3) il coinvolgimento dei membri, affinché attivino le risorse per migliorare la situazione.
Secondo: il disagio ha una storia
Il disagio individuale ha una sua storia intesa nei due aspetti:
1) diacronico: le situazioni di disagio si sviluppano e si consolidano nel tempo;
2) narrativo: ogni membro del gruppo ha una propria percezione del disagio che condivide con
gli altri raccontandolo.
Terzo: progettare la relazione e la comunicazione in una prospettiva di ricerca
Se il disagio si genera nelle e dalle relazioni, la progettazione volta al recupero del disagio
dovrà avere come oggetto privilegiato la relazione stessa.
Occorre mettere in atto un processo così articolato:
1) analisi del contesto educativo (classe);
2) definizione del problema;
3) formulazione di ipotesi di intervento;
4) sperimentazione;
5) verifica e valutazione.
Si fa riferimento a un modello pragmatico-relazionale-dialogico volto alla comprensione del
problema e a come esso si manifesta più che alle cause che lo hanno prodotto.
Per intervenire in modo corretto su qualsiasi tipo di disagio scolastico, è importante che
l’insegnante impari ad analizzare la propria comunicazione.
Per imparare a comunicare è necessario imparare ad ascoltare. Ascoltare, come dice Sclavi,
vuol dire essere coscienti che è l’ascoltatore e non il parlante che determina il significato di una
enunciazione.
Questo è particolarmente importante con i bambini che manifestano disagio.
Rogers afferma che ascoltare significa accettare incondizionatamente l’alunno in quanto
persona.
Il ruolo degli esperti esterni
Di fronte ad una percezione diffusa del disagio scolastico, si è sviluppata una serie di richieste e
di offerte di interventi specialistici gestiti da esperti esterni alla scuola. Da un lato ciò può creare
confusione di ruoli, incomprensioni e delusioni. Dall’altro lato l’esperto esterno può assumere il
ruolo di mediatore, soprattutto in quei casi in cui il disagio si è trasformato in conflitto aperto tra
alunno ed insegnante.
L’esperto esterno può permettere di vedere il conflitto da punti di vista diversi.
Lavorare in équipe può rappresentare un momento importante per modificare rappresentazioni
rigide e per creare soluzioni nuove.
9. La relazione con i bambini stranieri
In una classe multiculturale, alle differenze sociali e cognitive, si aggiungono quelle culturali,
religiose, linguistiche ed etniche.
Gli insegnanti, nel loro rapportarsi con gli alunni stranieri, elaborano delle rappresentazioni a
volte semplificate e non articolate. Ciò è emerso da molte ricerche, tra cui quelle di Demetrio e
Bettinelli.
L’ alunnio straniero può essere visto dagli insegnanti come:
1) un problema: ciò si verifica specialmente quando il bambino ha difficoltà a comunicare in
italiano e gli insegnanti ricorrono ad attività di recupero che non sempre hanno successo,
perché per gli alunni stranieri apprendere una nuova lingua non è solo una questione tecnica,
ma anche umana e sociale;
2) un bambino vulnerabile: le rappresentazioni centrate sulla vulnerabilità fanno assumere agli
insegnanti atteggiamenti di accudimento e cura, con conseguente abbassamento del livello
delle richieste scolastiche;
3) un bambino portatore di “cultura altra”: i bambini portatori di un’altra cultura possono
diventare per la classe un’opportunità per apprendere usi e costumi di altri popoli;.