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Il prendersi cura: la grande educatrice
Il prendersi cura di qualcuno, garantirne la sopravvivenza, appartiene da millenni all'istinto umano e non solo. Trascurare tale prodigarsi significa collaborare al decadimento della propria umanità. Come possiamo affermare che la cura non sia sempre la grande educatrice di cui tutti parlano? Perché dalle sue pratiche dipende tanto la vita inconscia quanto la genesi della consapevolezza di ciascuno di noi. Quegli atti mancanti o troppo abbondanti potranno incidere variamente sui nostri modi di curare-educare, di scegliere una professione che si occupi degli altri o viceversa di respingerne il solo pensiero.
Le prestazioni di cura, questo è l'odierno fraintendimento, non esauriscono tutta l'educazione e non disegnano con sicurezza il nostro e altrui destino. Le cure sono un'opportunità dovuta, sacrosanta, un diritto universale. Occorre che le istituzioni facciano di più per garantirle, che non venga fatto mancare nulla ai.
affinché diminuisca la quota smisurata di infelicicurati male. Tuttavia, una buona riuscita educativa non ne è l'automatica derivazione. Poiché una overdose di attenzioni, di proiettività equivale spesso a una privazione del peso svolto dai vissuti conflittuali, da quel prendersi cura anomalo che invece di togliere di mezzo gli ostacoli li va cercare per metterli sul cammino di chi sta crescendo. Forse le madri e i padri sono diventati troppo curanti più che educandi. La cura se non compensata da contemporanee, energiche e strattonanti azioni di richiamo al rispetto di regole di convivenza, facilmente può mutarsi in trappola, senza riuscire a comunicare qualche valore educativo autentico, che pure le appartiene. La cura è ingrediente del lavoro educativo e viceversa se può contare sull'esistenza di una preoccupazione non solo emotiva per le sorti di chi sta entrando nella vita. La cura trasmette un suo sapere, ma ilRitenere che questo basti è mettersi e mettere su una strada sbagliata. L'educazione, invece, è trasmissione di saperi anche indigesti, di orientamenti di valore incompresi, di incentivi a pensare con la propria testa. L'educazione è comunicazione di cose da imparare e memorizzare, per restituirle e reimpiegarle nella migliore visibilità e spendibilità sociale. Tanto più si penserà che le cure siano il bene assoluto e sufficiente, il prerequisito per avere voglia di imparare, tanto più si perpetuerà un equivoco tra i più preoccupanti per le sorti dell'educazione.
L'educazione è sbiadita. L'educazione si è scolorita perché le idee, i principi, le utopie si sono stinte, se non estinte. L'educazione che non faceva problema è slavata anche perché è il mondo che tende a sbiadirsi omologando, standardizzando e appiattendo. Si tratta di individuare nelle
Sue diverse direzioni di senso, indipendentemente dalle convinzioni e dalle fedi, ciò che rappresenta un patrimonio comune, civile, umano da ricondurre a poche idee, rispetto alle quali non si debba sempre ricominciare a negoziare e patteggiare. L'educazione deve tornare a essere il metodo indispensabile per esercitare il diritto a vivere, a rispettare ogni differenza che non nuoccia apertamente al bene comune. Il pericolo è insito nell'educazione quando la si rende una monotona litania individuale e non l'assunzione di responsabilità collettive, per una collettività sempre più abitata dalle differenze e dalle disparità. È sbiadita quell'educazione alla quale si affidava il compito di perpetuare le sorti delle generazioni, che per millenni ha garantito coesione e controllo sociale e senso di appartenenza perché l'educazione è strettamente intrecciata alla storia delle comunità umane, dalle.
più minuscole alle più agguerrite e invadenti.L’educazione si è sbiadita inoltre a causa del carattere delle nostre relazioni interpersonali; non sembra più abitata dal sentimento del rimpianto.Il grigiore si è insinuato nel fare educazione perché è diventato un mestiere o un’occupazione noiosa, poco concepita come una delle scommesse più ardue, perché appiattita nel presente, nella routine quotidiana, senza la passione di guidare verso un plausibile domani. È venuta scolorendosi l’imponderabilità dell’educazione, che ne rappresenta il fascino quando se ne intendano misurare ad ogni costo gli esiti, quando se ne persegua la descrizione in tutte le sue pieghe più triviali e perverse, archiviandole in cervelli elettronici, illustrandole in ologrammi e forzandone premesse, metodi, risultati attesi in saggi e dispense divulgative.L’educazione non è finita, DemetrioSappiamo che
L'educazione non condiziona ineluttabilmente una sorte personale annunciata dapredestinazioni biologiche, culturali o sociali. L'educazione avrebbe dovuto riequilibrare gli svantaggi, pareggiare le opportunità di partenza, essere una vera impresa di promozione umana. Questa sua funzione positiva, ispirata a giustizia, a preoccupazioni per i più deboli e sfortunati, pare essere tramontata. Le ricerche indicano che i privilegiati per censo utilizzano le risorse dell'educazione per aumentare i loro vantaggi di partenza, mentre gli altri vengono lasciati a loro stessi. È nata una retorica dell'empatia, del disagio di crescere e dei "bisogni" di cura che ai grandi sfuggono quando non si siedano a prestare ascolto a un adolescente che non vede l'ora di chiudere il colloquio al più presto, senza irridere all'importanza di sapere che cosa il destinatario all'ascolto desideri, pensi, stia escogitando, è bene non.
dimenticare che educare è innanzitutto parlarsi, litigare, contrapporsi o, per lo meno, disponibilità ad ascoltarsi a turno e ad armi casalinghe alla pari. È soprattutto affermare, convincere, spiegare, raccontare, infondere entusiasmo, porre domande, rimproverare, ammettere i propri errori. Gli adulti, oltre che a schiarirsi la gola per dire cose sensate, devono anche imparare l'arte del silenzio nella vita educativa. L'arte di fare insieme cose, dell'andare, del visitare, dell'incamminarsi verso una meta solitaria non in assordante comitiva. Vivere pedagogicamente in silenzio, senza ascoltarsi, senza reciprocamente raccontarsi, può valere più di mille prediche. È far sentire la presenza adulta in altro modo, è educare al valore delle intese profonde, dei cenni, della complicità affettiva che prescinde dalle parole genitoriali. C'è più senso educativo nell'insegnare a tacere, a camminare.in silenzio insieme, ad assaporarne il gusto meditabondo, a sospendere l'eloquio interminabile che nasconde tante verità.
4. L'educazione è impaurita
L'educazione ha paura, perché la spaventa, sentendosi fragile, opporsi alla vita, allo stato delle cose, all'ingiustizia, a quanto di peggio riesca a produrre per l'ignavia degli uomini.
L'educazione parla a voce bassa; si è fatta zittire da chi si è educato, e non solo rassegnato, a perdere ogni fiducia nei mezzi per contrastare le crudeltà e le sopraffazioni verso chi è più debole.
L'educazione che dovremmo salvare ad ogni costo non può non avere paura ogni ambizione predeterminatrice, sia si che si ispiri alle scoperte nel campo della genetica e della biologia o piuttosto a verità intoccabile di qualche divinità. Si rianimerà però e tornerà a se stessa, alla sua umanità e civiltà.
Sel’aiuteranno ad introdurre concetti discreti, ma determinanti, nelle storture congenite, nelle condotte aberranti, nelle sue paure verso il nuovo, l’innovazione, la ricerca di altri approdi. Altre paure, meno filosofiche e politiche, impediscono all’educazione di uscire dalle trincee in cui si è rintanata. L’educazione ha paura poiché sono gli educatori senza volto, occulti, a infondergliela oltremisura. In realtà dovrebbe esserle sconosciuta, perché nascere, fare i primi passi, uscire in strada, avventurarsi nei vicoli delle prime esperienze di crescita è sempre stato fonte di rischi. L’educazione per farsi riconoscere ha dovuto sfidare questi timori. Se educazione è quanto impariamo muovendo verso le cose, aprendoci con irresponsabile entusiasmo, a chiunque e a qualunque cosa ci venga incontro o che andiamo a cercare, non dovrebbe rintanarsi. Nonostante tutti i ripari domestici o molto costosi che possiamo predisporre,
Il prefiggersi di cancellare del tutto (nonsolo educando) la dimensione del pericolo equivarrebbe a svuotare l'educazione del suo irresistibile fascino. Se vogliamo affrontare seriamente i problemi educativi è impossibile fingere alla lunga che si viva nel migliore dei mondi possibili. Dimentichiamo che avere paura è un sintomo vitale (quindi potenzialmente ricco di elementi educativi), ma tale da confondere la ragione, con il risultato che la legittima difesa si muta in attacco preventivo.
L'educazione alla ragione e alla ragionevolezza si trova in difficoltà davanti all'irrazionalità incivile di reagire all'ignoto, alle sue facce primordiali, davanti: alla diversità (a ciò che è anomalo e ti entra fin in casa solo per immagini), alla lontananza (a ciò che evoca partenza, viaggio), alla perdita (a ciò che riaccende il fantasma della morte, della fine dei privilegi, dell'illusione di
immortalità).- La paura può condurre a non procreare, a non aspirare ad alcun allievo, ad abdicare all'imperativo genetico di passare a qualcuno le consegne e di saper uscire di scena, quando sia arrivato il proprio turno.L'educazione non è finita, Demetrio- La paura può ingessarti le idee, mentre l'educazione ha sempre bisogno di idee nuove, o può annichilirti davanti a una decisione da prendere, quando l'educazione è spingere a scegliere, costi quel che costi.
La paura può spegnere sul nascere ogni indizio di creatività, di estro e fantasia, quando l'educare fecondi anche questi ingredienti, necessari alla mente, al linguaggio, alla voglia di inventare.
Persino certi giochi utili a imparare a vivere generano inquietudini.
Non esistono formule magiche per garantirsi un territorio protetto, uno spazio assolutamente sicuro in cui crescere all'oscuro di quanto accade oltre il muro di cinta che separa.l’incanto dalle terribili verità dell’esistenza. Sconfiggere l’ansia che lavora dentro di noi è impossibile; è deleterio trasmetterla come l’unica educazionegiustificabile. È all’interno d’essa che continua a rinascere la paura, come angos