27. ABITARE LA CONTEMPORANEITÀ DIGITALE: IL VALORE EDUCATIVO DEL PENSIERO CRITICO
La storia dell'uomo ha vissuto nei secoli il passaggio dalle condizioni di convivenza tribale alle condizioni di una
convivenza civica e democratica. Nel contesto della contemporaneità digitale, ci si interroga se le dinamiche dei social
media riflettano ancora una nostalgia della tribalità e della violenza, oppure se sia possibile, soprattutto tramite la
pedagogia, costruire una polis globale : una città aperta, inclusiva e democratica.
Nella polis greca un elemento importante era il teatro, dove il sacrificio reale viene sostituito da un rito simbolico. Il
teatro diventa il nuovo altare su cui si celebra, in forma non violenta, la purificazione collettiva. Assume funzione
educativa, rappresentando le prime forme di democrazia culturale, dove il pubblico esercita un giudizio critico sugli
eventi messi in scena, partecipando alla costruzione di una opinione pubblica. L'azione giudicante del pubblico
durante la rappresentazione è importante per la nascita della democrazia. Giudicare, vagliare, soppesare, esprimere
un'opinione significa sostituire le pietre e la clave (tipiche del villaggio) con la parola e l'argomentazione. Il teatro
diventa quindi, uno strumento fondamentale nella detribalizzazione e nella formazione di una civiltà fondata sul
dialogo, la responsabilità e la ragione.
La tragedia metteva in scena i limiti della ragione umana e insegnava la finitudine delle risposte, educando il pubblico
al dubbio e alla riflessione. Il teatro della polis non era solo intrattenimento, ma un luogo sacro e laico dove si
incontravano pubblico e privato, realizzando quelle condizioni di uguaglianza impraticabili nel villaggio. Tutto ciò
portava alla nascita di una coscienza politica: i cittadini imparavano a formulare giudizi autonomi. Da qui nasce la
democrazia ateniese, fondata sul dialogo e sul confronto delle idee, incarnata nel dialogo socratico, dove le diverse
opinioni venivano discusse pubblicamente nell’agorà. Il testo teatrale si rivela testo filosofico, pedagogico, politico e
poetico. La polis diventa una "città del discorso", aperta, dinamica e imperfetta, basata su un continuo confronto tra
opinioni fallibili e argomentabili, in contrasto con le rigidità delle società tribali. In questo modello si possono
riconoscere i semi dell'individualismo e del relativismo democratico che caratterizzeranno anche la modernità.
Come sottolinea il filosofo Dario Antiseri, la consapevolezza della fallibilità della conoscenza è alla base della società
aperta: solo chi riconosce i propri limiti è disposto ad ascoltare critiche, confrontarsi e discutere, rendendo possibile il
progresso democratico. Nel villaggio globale contemporaneo, trasformato in polis, il gesto educativo deve condurre
verso la scoperta dell'importanza del pensiero critico, del ragionamento, della discussione. Il ragionamento e la
discussione critica sono l'anima della democrazia . Tuttavia vi è l’interrogativo che il villaggio globale moderno rischi di
riportarci a forme di nuovo tribalismo, minacciando le basi della convivenza democratica e razionale conquistate.
Viene messo in dubbio che il web moderno, in particolare sulle reti sociali, rappresenti davvero una società aperta.
Nonostante la portata globale, queste piattaforme sembrano riprodurre dinamiche da “villaggio tribale”, caratterizzate
da chiusura mentale, stereotipi, ritualità violente (come il linciaggio mediatico) e povertà linguistica. Nella relazionalità
digitale, stiamo tornando a forme di tribalismo. Il linguaggio del web si riduce spesso a un sistema primitivo e
disarticolato, pre-alfabetico, senza contenuto emozionale ma stereotipato (fatto di emoticon), con slogan e frasi brevi
che ostacolano il pensiero critico e articolato. Questa brevità imposta (come i limiti di caratteri dei post) non è segno di
chiarezza ma di fuga dalla riflessione, che impedisce la discussione razionale. Richiamando il pensiero di Tullio De
Mauro e Don Milani, si evidenzia una povertà linguistica crescente che si traduce in marginalità sociale e nuove forme
di violenza, come il cyberbullismo, visto non solo come un problema educativo ma come segnale di un regresso
antropologico e di un deficit di umanesimo. Don Lorenzo Milani sosteneva che la lingua ci fa uguali e liberi.
Attraverso il linguaggio si esprimono emozioni e umanità. Chi non riesce a superare l’impulso non elabora le emozioni,
che vanno apprese, comprese e raccontate. Secondo Michel Lacroix, la natura (physis) fornisce solo impulsi gestuali,
non verbali. Nella polis greca, invece, il mito e il teatro tragico avevano il compito di educare alle emozioni e ai
sentimenti, che non sono innati ma eredità culturali. Gli dei e gli eroi della tradizione classica rappresentavano
sentimenti umani (come l’amore, la gelosia, la follia), permettendo, tramite la narrazione, di dare un nome alle
emozioni, renderle comprensibili e gestibili, superando l’analfabetismo emotivo.
Narrare il mito significava raccontare l’anima umana, anche nella sua parte più profonda e indicibile, come mostra
l’esempio di Eco e Narciso nelle Metamorfosi di Ovidio, che simboleggiano l’incapacità umana di comunicare le
emozioni. Al contrario, il web odierno, visto come spazio collettivo, si trasforma in un "teatro" dominato da nuove
divinità senza fascino, come affermava Max Weber. Esso cancella la privacy e l’intimità, ricalcando dinamiche. Secondo
il padre del web Tim Berners-Lee, la rete si è trasformata in un villaggio globale chiuso e opprimente, dal quale è
sempre più difficile uscire. Ciò rende urgente la necessità di costruire una nuova polis virtuale, fondata su principi
filosofici, politici e antropologici, capace di superare i limiti del tribalismo digitale.
28. IL GESTO EDUCATIVO NEL DIGITALE: LA LEZIONE DEI CLASSICI
Il mondo contemporaneo e digitale è chiamato villaggio globale. Il villaggio è una realtà chiusa, primitiva e monolitica,
priva di spazi per il pensiero critico, il dibattito, la distinzione tra vero e falso, tra pubblico e privato. Non esistono
luoghi simbolici come l’agorà, il teatro, il tribunale o l’oikos, che invece caratterizzano la polis (prima forma di città) e
permettono lo sviluppo della giustizia, della riflessione, della privacy e della partecipazione consapevole. Nel villaggio,
tutto è esposto, confuso, guidato dall’emotività collettiva e privo di razionalità.
Nel villaggio globale si mescolano spettatori e attori, in uno scenario simile alla "società liquida " descritta da Zygmunt
Bauman. Si perdono i confini tra realtà e finzione, tra vero e falso, tra scena e vita quotidiana. Viene meno il tacito
accordo culturale che da secoli distingue la rappresentazione (come nel teatro) dalla realtà, rendendo tutto indistinto,
esposto e potenzialmente manipolabile. Vi è la necessità di passare dal villaggio globale, simbolo di una società chiusa,
caotica e regressiva, per costruire una polis globale, evoluta sotto il profilo antropologico, pedagogico e filosofico. Il
compito della pedagogia e dell’educazione contemporanea èquello di guidare (ex-ducere) l’umanità fuori dal villaggio
globale e condurla verso la polis: uno spazio democratico, critico e umano, che riconosca i pericoli della società digitale
e promuova una convivenza più consapevole e civile.
La letteratura del 900 ha denunciato le dinamiche oppressive dei piccoli centri, simili a quelle del villaggio chiuso.
Autori come Leonardo Sciascia descrivono ambienti dove le chiacchiere e le dicerie distorcono i fatti, ostacolando la
verità. Piero Chiara racconta una realtà provinciale in cui ogni gesto è osservato e giudicato, specie se compiuto da una
donna. Tomasi di Lampedusa, ne Il Gattopardo, sottolinea come la verità venga rapidamente manipolata da emozioni
e interessi personali. La letteratura diventa rifugio e denuncia, esprimendo il bisogno dell’uomo di fuggire dal villaggio
oppressivo, fisicamente, intellettualmente e moralmente, per cercare libertà, anonimato e apertura nel “vasto
mondo”. Il valore educativo della letteratura è dato dalla descrizione di dinamiche liberatorie e liberanti .
La metropoli moderna permette all’individuo di sottrarsi ai condizionamenti sociali e costruire la propria identità di
singolo. Nell’Ulisse di James Joyce, il flusso di coscienza del protagonista, ricco di pensieri personali e profondi, è reso
possibile proprio grazie al contesto urbano: il rumore del tram, la folla anonima, la possibilità di essere uno sconosciuto
tra sconosciuti. È questa condizione di singolarità in mezzo alla pluralità che consente l’emergere autentico del sé.
I giovani abitanti del villaggio globale sono chiamati nativi digitali . Vivono una forma di solitudine anaffettiva, pur
essendo immersi in una continua connessione. Ogni gesto diventa evento pubblico, giudicato e amplificato dalla
comunità digitale, generando oppressione sociale e perdita di spontaneità. Nel villaggio globale , si registra e si
diffonde tutto. Anche i fatti insignificanti sono elevati a cronaca globale, mentre l’individuo perde il controllo sulla
costruzione della propria identità, dipesa sempre più dal riconoscimento del gruppo, che dall’autostima interiore.
Nel mondo digitale contemporaneo, le comunità virtuali funzionano come quelle primitive: accolgono solo chi si
conforma, escludendo chi non si adatta. L’identità delle persone è costruita su ciò che mostrano online (eventi,
emozioni, esperienze) trasformando la rete in un luogo di appartenenza culturale, che però può trasformarsi in una
trappola. Secondo Amartya Sen, se l'identità collettiva diventa assoluta e chiusa al confronto, la comunità, anziché
essere spazio di crescita, diventa oppressiva, spingendo soprattutto i giovani verso una solitudine isolante.
La vera libertà consiste nella possibilità di scegliere, cambiare, e abbracciare molteplici visioni, non nell’adesione
forzata a un’identità imposta. La community può essere paragonata al Minotauro. Spesso sono giudicanti e distruttive,
minacciano l’individualità, riducendo le persone a vittime anonime, simili ai giovani sacrificati al Minotauro. In
opposizione a questo anonimato emerge l’individualità e la complessità di Teseo, che non riducibile a un solo ruolo,
ma rappresenta l'uomo nella sua identità plurima e contraddittoria. L’uomo è, secondo Max Scheler, un essere
“desituato”, mai pienamente inserito in un tempo o luogo, mai completamente conforme alla realtà, capace di opporsi
al conformismo. Egli è uno, nessuno e centomila: ci&ograv
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