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INTRODUZIONE
Empatia risale al greco pathein =soffrire, patire e corrisponde al tedesco Einfuhlung che rimanda al verbo sentire
EMPATIA = atto tramite cui ci si rende conto che l’altro è sogg. di esperienza come noi:vive sentimenti, agisce; capire
ciò che sente è essenziale alla convivenza → condizione umana = condizione di pluralità.
L’empatia è un sentire se stessi, proiettare, traversare i propri sentimenti, stati d’animo in ciò che si ha davanti→ sentire
se stessi in un ogg./sogg.
Essa rimanda a 2 movimenti:
• sogg. empatizzante che va verso, dentro una persona, un oggetto
• caratteristiche dell’ ogg./sogg. penetrano nel sogg. empatizzante che si lascia penetrare.
↓
Superamento della distanza; un ritrovare se stessi nella cosa/persona.
Spesso si usano parole come sinonimi dell’empatia, le quali nascondono il vero significato: ad es. empatia ≠ compassione
= ponte tra la vulnerabilità dell’altro e una morale di giustizia (ha una connotazione morale-politica). Esperienza del
dolore ≈ situazione di emergenza che “costringe” ad aprirsi all’altro, ad essere buoni; x aprirsi all’Altro c’è bisogno della
sofferenza.
Al contempo, assumendo che il sogg. entra in un mondo preesistente incontrando inevitabilmente Altri, ne consegue che il
legame con gli altri venga vissuto come un fatto ontologico, esistenziale: Altri = componente esistente
indipendentemente anche quando non c’è una reale relazione → si forma l’idea che non ci sia nulla da comprendere circa
l’incontro dell’Io e dell’Altro. Inoltre, Lewinas → verso l’altro si prova una responsabilità originaria che assume il
carattere di addossarsi le pene altrui in quanto “obbligati”; ma la responsabilità verso l’altro ≠ un fare esperienza
appropriata, viva , concreta della relazione.
Alterità abita la dimora della propria interiorità; nel quotidiano ci sono un’infinità di scambi sociali, ma un eccesso di
stimoli, di pluralità porta a dispersione e a una riduzione dell’incontro con l’altro ai minimi termini→ carenza del
riconoscimento di chi è l’altro→ impossibilità di scambiare la mia esperienza con quella altrui, rendendo l’incontro un
momento di relazione viva. L’incontro concreto aggiunge qualcosa di nuovo, non si limita a rendere esplicito il vincolo
che ci lega agli Altri, ossia l’intersoggettività.
Altro = condensazione di molteplici esperienze: conoscere un’altro soggetto = percepire non solo un corpo, ma anche
un’anima, vuol dire accostarsi a qualcuno che fa parte del mondo esterno, ma che possiede un’interiorità, che è un
oggetto, ma c’è anche un soggetto, dotato di una vita propria. Vuol dire venire a contatto con un frammento vivente del
mondo in cui vivo. Il reciproco riconoscimento porta a una nuova nascita x entrambi
► EMPATIA = capacità specifica di sentire l’Altro, non è una comunione sentimentale, un sentire la stessa cosa,
un’assorbire le emozioni altrui.
Ragioni storiche, filosofiche,culturali hanno fatto sì che il nostro senso dell’Altro si polarizzasse tra 2 estremi:
• Esperienza involontaria e inconscia di un’interdipendenza corporea (es. simbiosi madre-figlio)
• Fenomeno morale del patire x il dolore altrui
Perciò, oggi è all’o.d.g. la riattivazione di una sfera complessiva di esperienza, del sentire l’altro, nelle sue molteplici
manifestazioni (amore, amicizia, aiuto...) ognuna delle quali modula in modo sempre diverso il rapporto tra corpo
emozioni, conoscenza e volontà.
UN NUOVO INIZIO
La fortuna dell’empatia (accusata di irrazionalismo) si interrompe con l’avvento della fenomelogia, che nel primo
decennio del Novecento rivoluziona il metodo della conoscenza.
Tra il 1910 e la metà degli anni Venti, la fenomenologia, si trova di fronte a un bivio che riassume come la strana storia
dell’empatia.
• Edmund Husserl dice dell’empatia che si tratta di un’enigma oscuro e addirittura tormentoso.
• Max Scheler, un pensatore agli antipodi di Husserl come formazione e personalità, tra il 1913 e il 1923 pubblica
un libro, Essenza e forme della simpatia, in cui smonta l’edificio teorico delle etiche della simpatia e compie un
lavoro di distinzione terminologica tra le diverse forme del “sentire insieme” ( Mitgefuhl): il contagio emotivo,
l’unipatia o identificazione, la simpatia propriamente detta o condivisione di un sentimento e l’empatia, che
rifiuta, considerandola una proiezione dell’io sull’altro.
Tra Husserl e Scheler è in gioco l’alternativa che ancora oggi si propone a chi lavora sull’empatia:
- quella tra una visione più attenta ai vissuti soggettivi (emotivi e cognitivi) che mettono in condizione di
comprendere l’altro,
- una più interessata ai fenomeni antropologici, culturali, di psicologia dello sviluppo, ma anche delle masse, in
cui si verifica una fusione, un flusso di emozioni e di sentimenti precedente (o che annulla) la distinzione tra l’io
e l’altro.
Edith Stein→ Assimilò il metodo fenomenologico di Hsserl, pur essendo consapevole della non compiutezza, definitività
della dottrina fenomenologica.Nel suo studio, Il problema dell’empatia (1917): si chiese che cosa fosse il fenomeno
dell’empatia, del rendersi conto di quel che fa sentire, sente, vuole, pensa l’altro. Questo libro è valido per 2 motivi: 1
- si libera dell’idea paralizzante che l’empatia sia un “enigma”
- la affronta come problema completamente autonomo dalla sua complessa e ambigua storia.
La prima cosa da fare era ritrovare il significato specifico dell’empatia a partire da un contesto denso e confuso.
Il primo insegnamento della Stein, consiste nell’aver effettuato una rottura di piani, nell’essersi spostata su un altro
piano rispetto a quello frequentato dai più influenti teorici dell’empatia, azzerandone all’istante i falsi problemi.
La sua ricerca mira infatti a chiarire l’essenza dell’atto che sta alla base di tutte le forme attraverso le quali ci
accostiamo a un altro → EMPATIA. La Stein mira pertanto a ricercare ciò che, in ogni essere umano, fonda l’unità di
sensibilità, emozioni, conoscenza, volontà, slancio verso l’assoluto.
La certezza che la realtà fuori di noi esiste e che non sia semplicemente un fantasma, un’allucinazione, un punto di vista
soggettivo, deriva, diceva Husserl, dallo scambio di esperienza con altri che, come noi, percepiscono, sia pure in forme
diverse, lo stesso mondo. L’accesso alla realtà del mondo esterno è garantito dunque non solo dalla percezione delle cose,
ma anche dall’atto che ci restituisce l’esistenza degli altri e le loro prospettive: l’empatia.
Per la Stein sviluppare questa tesi non significava solo anticipare le ricerche sulla costituzione del mondo spirituale, che
avrebbero completato l’indagine del mondo naturale: ella mira infatti a riabilitare un’ambigua, per quanto seducente
esperienza emotiva, restituendole pari dignità rispetto agli atti della coscienza che ci fanno conoscere le cose.
L’empatia (con le sue regole specifiche che interessano la vita del sentire), diventa così un tramite essenziale per
l’accesso alla realtà. Essa rafforza il senso di realtà acquisito attraverso la conoscenza della natura e delle cose che
popolano il nostro ambiente di vita, completandolo con i dati relativi agli individui concreti e ai significati che essi si
scambiano all’interno del mondo storico, culturale e spirituale.
L’empatia richiama immediatamente una serie di esperienze quotidiane che permettono di percepire l’esistenza dell’altro
e insieme di “comprenderne” la personalità, le motivazioni che lo muovono ad agire, e quindi di entrare in un rapporto di
scambio, di comunicazione. Le espressioni del volto (es. rossore) possono essere simulazione di un affetto, ripensamento
interiore di un gesto. Sono operazioni fondamentali per la relazione intersoggettiva, per il rapporto con il mondo della
natura, nonché per la vita storica, artistica, morale e spirituale, che si svolge in un contesto comunitario. Tali operazioni
non sono esclusiva di una teoria dei sentimenti, né dell’etica, né dell’estetica, ma si attengono all’esperienza umana. Ecco
perché è importante conoscere l’empatia: per osservare e descrivere il fondamento originario del nostro esistere insieme
agli altri.
Bisogna capire che l’empatia non è la stessa cosa di simpatia, di compassione o di amore.
L’empatia mette in contatto con l’emozione altrui, dolorosa o di altro tipo, ma non è identificabile con la partecipazione
emotiva, la condivisione di un affetto o con altre forme particolari di comunicazione con gli altri.
Essa è piuttosto la via per accedere all’intera persona dell’altro e rappresenta quindi la condizione di possibilità di
sentimenti di simpatia, amore, odio, pietà, compassione, nonché delle molteplici forme di comprensione degli altri.
L’attrazione, la repulsione, la vicinanza, la lontananza, l’estraneità…rende,tortuoso, frettoloso l’accesso all’esistenza di
altri che abitano il nostro mondo. Facciamo infatti spesso ricorso a costruzioni, finzioni, schemi convenzionali che
impoveriscono l’esperienza, la rendono troppo dipendente dagli attaccamenti e dai vincoli naturali e pratici che
rappresentano il modo istintivo di accostarsi alla realtà.
Occorre sgombrare il campo per far emergere ciò che orienta dall’interno e dà un ordine essenziale all’esperienza
che facciamo degli altri.
Il suo lavoro è un’elaborazione dell’approccio fenomelogico all’essenza dei fenomeni. Applicato all’empatia, questo
procedimento le restituisce spessore e densità reale, consentendole di mostrarsi in tutta la sua ricchezza e complessità, che
allude a strati di esperienza molteplici, non riducibili né agli stati affettivi né alle operazioni dell’intelletto, ma che
coinvolgono le dimensioni di ricettività e di partecipazione all’essere che sono proprie della vita soggettiva considerata
nella sua profondità.
→ nuovo schema della vita della coscienza non più fondato sul contatto che l’io ha con se stesso, bensì sulla
relazione con gli altri e con ciò che è altro da noi. Empatia non è né naturale, né innata, ma non è nemmeno frutto di
una “costruzione” dell’intelletto o della volontà. Essa corrisponde alla dimensione del vivere comune in virt&ug