Anteprima
Vedrai una selezione di 10 pagine su 44
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 1 Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 2
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 6
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 11
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 16
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 21
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 26
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 31
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 36
Anteprima di 10 pagg. su 44.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Pedagogia Generale e Sociale - 3° Anno Pag. 41
1 su 44
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

CAPITOLO 6.1: CONTRIBUTO DEL COUNSELING ALLA CURA EDUCATIVA

Nel counseling la comunicazione è bi-direzionale: il counselor infatti, oltre a preoccuparsi di come

lui comunica, si deve anche preoccupare di come ciò che comunica viene interpretato dall’altra

persona. Proprio per questo, quasi sempre, il counselor fa parlare principalmente l’altra persona, al

fine di instaurare una corretta comunicazione e relazione.

Il counselor ha il compito di far evolvere la posizione dell’altro verso la conquista di nuove ulteriori

forme e si muove tra la relazione tra sé stesso e l’altro. Non suggerisce idee o emozioni ma apre alla

possibilità di pensare e sentire in maniera diversa.

Il counseling ha una accezione pragmatica, indica cioè un fare, qualcosa che viene offerto da parte

di chi ha sicuramente più sapere e quindi è un sapere che viene prescelto da chi si trova nella

condizione di volerlo chiedere.

Non bisogna consegnare una semplice interpretazione all’altra persona ma fargli delle buone

domande al fine di far fare all’altra persona un percorso di riflessione e cambiamento (cioè fargli

capire la situazione sotto un’altra ottica e far trovare dentro di lui la soluzione).

Sostenere la formazione dell’altro con modalità non direttive e apparentemente poco incisive che

accompagnino senza indirizzare. E’ importante la consapevolezza che si educa soprattutto

attraverso “l’essere dappresso” e tenendo conto dell’importanza dei climi e di aspetti non verbali

(sguardi, posture, toni della voce ecc.).

In ogni comunicazione c’è sempre una componente informativa e una relazionale, cioè il senso del

messaggio che si vuole trasmettere dipende anche dal modo in cui lo si fa e dalla relazione che c’è

16

tra le persone coinvolte nello scambio. Se a una persona ci si rivolge sempre nello stesso modo, si

standardizza la comunicazione con essa e quindi si fissa anche il tipo di relazione.

Insegnare ed educare comporta sempre osservare, interpretare le situazioni e decidere di volta in

volta l’agire più opportuno.

CAPITOLO 6.2: COMPONENTI SISTEMICO-RELAZIONAI DELLA CURA EDUCATIVA

– RELAZIONE D’AIUTO COME RELAZIONE DI COUNSELING

Una relazione d’aiuto consiste nel fatto che c’è una persona che chiede aiuto e un’altra è disposta

a darglielo, come avviene quindi nelle relazioni di counseling.

Il counselor, anche se sicuramente è più esperto e ne sa di più, non deve mai far presente questa

cosa (cioè non deve mai sentirsi/porsi al di sopra del cliente).

Il counselor tende a portare l’attenzione dell’altro sui principali universi relazionali, ossia la famiglia,

il mondo dei pari e quello della formazione/lavoro (mondo degli adulti).

Il counselor presta simultaneamente attenzione a:

• Attenzione a sé stesso, coerenza e autenticità tra pensieri, parole ed emozioni, attenzione a

non invadere l’altro con ipotesi, giudici o interpretazioni

• Attenzione all’altro, spazio dell’ascolto e del silenzio, rispetto di tempi e accoglienza delle

modalità dell’altro

• Attenzione alla relazione, aver cura che la relazione non si sposti verso direzioni che non

abbiamo come priorità la consapevolezza e il benessere dell’altro

Il counselor deve semplicemente dare una mano all’altro e che vada avanti da solo, evitando quindi

che questo diventi dipendente da lui.

La relazione di cura contraddice la fissità e la ripetitività, cioè se si vuole cambiare si devono

immaginare nuove strade e bisogna “attrezzarsi” per percorrerle: ci si attrezza proprio tramite la

relazione di aiuto con il counselor.

Il counselor, deve anche far sentire all’altro che egli crede nel suo cambiamento e che lo sostiene in

questo percorso, oltre a dargli piena fiducia. 17

CAPITOLO 7: PENSARE LE RIFLESSIVITA’ – CRITICITA’ PEDAGOGICHE – QUALITA’

TRASFORMATIVE E RISCHI DI ASSUEFAZIONE

La capacità professionale di educatori/insegnati richiede una propensione alla formazione che si

concretizzi nella capacità di interrogarsi rispetto alle situazioni problematiche e di ricercare

conoscenze e modalità operative che possono essere efficaci negli specifici contesti (in pratica è il

fatto che bisogna partire dalla situazione nella quale ci si trova/che si è creata, analizzarla a fondo

e poi, usando le proprie competenze/conoscenze, provare a trovare delle soluzioni ai problemi di

questa). Questo è il famoso riflettere sulle pratiche.

Gli educatori quindi, devono avere una postura riflessiva, cioè devono pensare/riflettere su cosa

fanno e verificare se questo è coerente e in linea con quello che pensano realmente e sentono

dentro di loro.

La pratica come produttore di conoscenza consiste nel fatto che ogni azione, come detto in

precedenza, ha dietro di sé una teoria che la muove (teoria spesso inadeguata ma vabbè), pertanto,

se noi analizziamo le azioni/la pratica delle persone, riusciamo a scoprire molte cose riguardo al loro

modo di pensare e al come sono stati abituati/educati (questo soprattutto se analizziamo le azioni

istintive che sono quelle fatte seguendo proprio gli istinti profondi).

CAPITOLO 7.1: RICERCA SU CHI E’ IL BUON INSEGNANTE OGGI E COME

DOVREBBE ESSERE

A seguito di studi nazionali ed internazionali, è venuto fuori che, colui che oggi si definisce un buon

insegnante possiede le seguenti caratteristiche (vedremo dopo se sono corrette oppure no):

1. Forte richiamo al dato e alla tecnica come elementi che rassicurano e contribuiscono alla

definizione identitaria dell’insegnante (cioè l’insegnante cerca e affronta solamente le

situazioni che confermano il suo essere e le sue idee)

2. Maggiore importanza ai contenuti delle discipline rispetto alle componenti relazionali, della

conoscenza di sé e dell’altro, ma anche di quelle di tipo organizzativo e culturali, con

riferimento al sistema (cioè l’insegnante si limita alla mera trasmissione di contenuti

disciplinari senza considerare l’aspetto emotivo, l’aspetto relazione ecc.)

3. Gli insegnanti concepiscono ancora il proprio ruolo professionale soprattutto nei termini

della trasmissione di un corpo di conoscenze (più o meno è come il punto 2, cioè l’insegnante

si limita a trasferire conoscenze ignorando gli aspetti emotivi anche perché probabilmente

non sa gestirli)

In realtà, per essere veramente un buon insegnante, l’educatore deve essere in grado di adattarsi

al contesto e trasformarsi nella pratica. Dovrebbe inoltre, fare anche attenzione a tutti gli altri

aspetti della relazione educativa (emozionale, relazionale ecc.) e non limitarsi alla sola trasmissione

di contenuti). Pertanto possiamo affermare che, la ricerca ha evidenziato valori che purtroppo

dovrebbero essere cambiati per ottenere un insegnamento migliore. Il successo dell’insegnamento

18

infatti, è ascrivibile alla relazione educativa e a come questa ha funzionato in tutte le sue variabili

(alunni, docenti, ambiente ecc.). Anche i consigli che vengono dati dai colleghi devono essere frutto

di riflessione: bisogna infatti riflettere su questi, rielaborarli adattandoli al contesto e poi applicarli.

CAPITOLO 7.2: PUNTO DI VISTA DEGLI INSEGNANTI PRECARI – RICERCA

ESPLORATIVA

E’ stata fatta una ricerca con un campione di 85 insegnanti di classi disciplinari eterogenee della

scuola secondaria di I° e II° grado e con almeno tre anni di insegnamento.

A questi docenti sono stati dati i seguenti quattro input narrativi (domande alle quali dovevano

rispondere) al fine di verificare la riflessività di questi sul loro insegnamento e su loro stessi:

1. Quando e come rifletto sulla mia pratica professionale?

2. Quali aspetti prendo in considerazione quando rifletto?

3. Quando voglio cambiare per migliorare una pratica professionale cosa faccio?

4. Quali risorse impiego nella pratica professionale per migliorarla?

Le risposte principali sono state:

1. Si riflette sulla propria pratica professionale:

a. All’interno degli spazi istituzionali della programmazione (Rifletto

sull’insegnamento quando previsto), quindi durante i collegi dei docenti ecc.

b. Come preoccupazione operativa pensare a come fare per correggere il tiro (rifletto

quando non ottengo risultati), quindi quando si ha il sentore di aver fallito, quando

gli alunni non sono attenti e cose simili (cioè vedo che il mio sistema non funziona e

inizio a riflettere)

c. A partire da sé e dalla relazione, crisi e senso di fallimento (rifletto quando mi sento

inadeguato), quindi quando ci si rende conto di non essersi comportati a dovere

oppure quando non si trovano delle risposte a delle azioni e quindi si inizia a dubitare

di sé stessi

2. Quali aspetti vengono presi in considerazione:

a. Elementi della programmazione e del programma, quindi tutta roba che riguarda le

discipline

b. Caratteristiche degli alunni ascritte ed ambientali, cioè si riflette sulle caratteristiche

individuali che però vengono considerate erroneamente “immutabili” (vedi dopo per

approfondimento di questo concetto)

c. Reazioni e vissuti emotivi soprattutto quando interferiscono con la qualità delle

azioni, cioè si riflette su tutto ciò che è accaduto e che ha alterato il proprio

insegnamento, trovando quindi le cause (non i motivi di queste azioni) di ciò che

hanno reso quest’ultimo poco efficace; oppure consiste nel riflettere sul proprio

grado di coinvolgimento emotivo

d. Elementi di confronto con i colleghi più esperti che hanno più successo o modalità

più efficaci in assoluto, cioè si tende a prendere in prestito metodologie di lavoro da

colleghi oppure si “inventano” nuove metodologie sempre però ignorando il

contesto nel quale si andranno ad applicare 19

3. Quando voglio cambiare per migliorare una pratica professionale si fanno vari approcci di

cambiamento:

a. Cambiamento come legato all’istituzione, indipendente dalla propria volontà (in

seguito a un senso di precarietà, mancato riconoscimento del ruolo,

spersonalizzazione), cioè si cambia per sentirsi parte del contesto lavorativo, si

cambia per essere accettati dagli altri anche se non si vorrebbe farlo

b. Cambiamento come processo negativo basato sul riconoscimento di

inadeguatezza, cioè tante persone prendono il cambiamento come un fallimento e

quindi come fatto negativo, pertanto sono molto restii a questi

c. Cambiamento come superamento di criticità attraverso il confronto con i colleghi,

il miglioramento della propria competenza disciplinare e il miglioramento della

relazione per facilitare il raggiungimento degli obiettivi,

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
44 pagine
75 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MimmoScogna di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia generale e sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Napoli - Parthenope o del prof Cunti Antonia.