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PSICOMOTRICITA’:
Intervento del prof. Gamelli:
Lo sport nasce come sublimazione della guerra, di conseguenza è ovvio che ci siano
dei conflitti. I conflitti non vanno risolti durante l’apice della tensione e non è corretto
separare immediatamente i due litiganti.
Il bambino deve essere in grado di risolvere il conflitto in maniera autonoma,
sapendosi regolare. Se abituo un bambino a non regolarsi, abituandoli che c’è sempre
una figura adulta autorevole che gestisce il conflitto, il bambino perde questa capacità
di regolarsi e piuttosto cerca delle soluzioni per ingannare l’adulto o la regola imposta.
Lo sport deriva dal latino “de-sporte” = de-portare --> portare fuori; in altre parole, lo
sport nasce come sport all’aperto. In questi termini, la psicomotricità nasce come
esigenza naturale di movimento.
La psicomotricità sovraespone la componente del movimento, dell’esperienza e del
gioco. In altre parole, mette in evidenza questi aspetti primari dell’essere umano.
Il termine psicomotricità fa la sua comparsa sulla scena pedagogica italiana intorno
agli anni Sessanta, per designare un campo di intervento peculiarmente rivolto alla
crescita e all’apprendimento del bambino dalla nascita fino ai 6-8 anni d’età, dunque
all’inizio dell’esperienza scolastica.
Prima di definirsi come un particolare campo di ricerca teorico e applicativo, la
psicomotricità si riconosce per il suo essere un’esperienza naturale, la forma originale
del bambino di stare al mondo, di rappresentarlo e di conoscerlo. Nel suo cammino
apprenditivo verso la costanza delle rappresentazioni mentali, prima della
consapevolezza mentale di avere un corpo, il bambino è un corpo: un corpo che sente
e conosce sperimentandosi all’interno della polarità, di contrasti rintracciabili in tutti i
giochi che mette costantemente in scena; dondolare, girare, cadere, assaporare la
vertigine, il limite dell’equilibrio, toccare, costruire e smontare sono tutte condizioni di
quell’unica ricerca dell’esperienza di un sé corporeo in grado di dare senso al mondo.
Con la psicomotricità si inaugura una nuova attenzione alla crescita e allo sviluppo del
bambino all’insegna del “corpo vissuto”.
La psicomotricità a orientamento globale si definisce per la sua non-direttività e il suo
non-giudizio: lo psicomotricista si concentra su quello che c’è di positivo nel soggetto,
su ciò che il bambino sa fare, piuttosto che su ciò di cui egli è carente. Pur senza
rinunciare alla inevitabile funzione normativa, nel setting psicomotorio cessa
l’abitudine di intervenire direttamente e si adotta un diverso approccio al contesto
educativo volto ad accompagnare e a favorire l’esperienza apprenditiva. C’è una
nuova interpretazione del processo di formazione che rimette in discussione molto di
ciò che le pur buone intenzioni dell’educatore sottendono. L’educatore deve osservare
ed ascoltare per entrare in contatto con il mondo del bambino in modo da orientare
efficacemente la formazione; l’educatore e l’insegnante che ascoltano, che
conversano, che si confrontano apertamente con gli studenti non sono semplicemente
disponibili a perdere tempo per accogliere l’istanza di un clima più sereno, ma
«l’educatore che ascolta è l’educatore che educa».
Philippe Tissié :
Alla fine del XIX secolo, Philippe Tissié tratta un caso di instabilità mentale attraverso
una nuova disciplina denominata “ginnastica medica”. Il malato, un giovane
adolescente con idee ossessive, collerico, rifiuta la compagnia dei suoi compagni di
scuola; in compenso, cammina molto. Tissié decide di sottoporlo all’esecuzione di
movimenti elementari di coordinazione, di flessione, d’equilibrio, di salto al trampolino,
al trapezio volante e alla corda, di corsa a piedi, di boxe, di passeggiate in bicicletta. In
seguito a questi esercizi, i progressi del giovane sono rapidi; Tissié ritiene che «la
ginnastica medica gli ha permesso di integrare la forza che prima utilizzava nella
fuga». Tissié è partito dall’assunto che presuppone che l’uomo sia visto come una
riserva di forza e di energia; nello stato normale, la forza si ripartisce
proporzionalmente ai bisogni, ma sotto l’impulso tutta l’energia si utilizza
permanentemente in una sola direzione. Per Tissié, la volontà che si sviluppa con la
ginnastica medica costituisce l’agente curativo poiché mette ordine nell’orientamento
dell’energia. In altre parole, osservando il bambino, Tissié osserva che il bambino
migliora e ritiene che sia migliorato grazie al movimento che gli ha permesso di
liberarsi di tutte le pulsioni che lo rendevano aggressivo ed iperattivo.
Qualche anno più tardi, Tissié incrementa la propria cura introducendo il controllo della
respirazione, con lo scopo di sviluppare il controllo di sé e sollecitare a livello cerebrale
l’incontro tra il pensiero e il movimento.
Charcot :
Sul versante clinico, nei primi decenni del secolo successivo, qualcosa di analogo
accadeva all’ospizio parigino della Salpêtrière, la più importante scuola europea post-
universitaria di psichiatria. Era diretta da Jean-Martin Charcot, uno dei padri della
moderna psichiatria. Charcot utilizzava l’ipnosi per studiare i sintomi. Per esempio,
davanti ai pazienti diagnosticati come paralizzati isterici, Charcot mostrava i
movimenti dopo averli messi sotto ipnosi; successivamente, gli mobilizzava l’arte
danneggiato, domandando al malato di fare uno sforzo per percepirne i movimenti
attraverso tutti i sensi, a occhi chiusi. Gli chiedeva di descriverli a parole e infine di
riprodurli con l’arto simmetrico sano, per arrivare a trasferire, con uno sforzo
d’attenzione, quelle sensazioni dell’arto paralizzato per provare a ottenere, con la
ripetizione, qualche leggero miglioramento.
In questi e altri episodi Serge Fauché vede l’inizio dell’avventura di impronta francese
della psico-motricità.
Quasi un secolo dopo, nella moderna visione della psicomotricità, Bernard Aucouturier
e altri tratteranno le produzioni aggressive esteriorizzate nel corso di una lezione di
psicomotricità a partire dall’accettazione dell’aggressività dei bambini, inserendola in
uno spazio ludico organizzato.
Sul versante educativo, la psicomotricità fa il suo ingresso ufficiale nell’educazione
nazionale francese attraverso quelle che allora erano le “Scuole speciali”.
Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, la psicomotricità rimette in discussione la
convinzione di poter modificare la psiche attraverso dei semplici esercizi, per
privilegiare ciò che si gioca tra il bambino e l’adulto. Dall’esercizio l’attenzione si
sposta al processo di apprendimento. Il concetto di anormalità sfuma per lasciare il
posto a quello di bambino che soffre. Si sviluppa il gioco libero, l’espressione corporea
in tutte le sue forme, l’attitudine permissiva dell’educatore che si ritiene capace di
rimuovere i blocchi generatori dei sintomi.
Jean Le Boulch :
Nasce nel 1924 e muore nel 2001. Ha origini bretoni; molte volte, l’origine ci aiuta a
capire il motivo di una teoria o di un metodo, in quanto l’ambiente in cui si cresce
influenza notevolmente il proprio pensiero e di conseguenza un proprio metodo. E’ un
insegnante di educazione fisica e insoddisfatto della propria formazione ricevuta
decide di formulare degli assunti su cui si basa il proprio metodo:
1. critica al paradigma biomeccanico proprio della tradizionale educazione fisica.
In altre parole, Le Boulch critica la concezione secondo cui il corpo umano sia
paragonabile ad una macchina. Le Boulch, infatti, afferma che se la macchina è
complicata, l’essere umano è complesso. La concezione del corpo umano come
una macchina presuppone che tutti gli esseri umani vengano allenati nello
stesso modo.
2. sensibilità del tono muscolare ai fattori emotivi ed affettivi. In altre parole, Le
Boulch afferma che c’è una stretta correlazione tra il tono muscolare e la
dimensione affettiva.
3. apprendimento motorio differente per ogni soggetto. Per Le Boulch,
l’apprendimento avviene tramite due modalità:
addestrativa --> si basa sulla ripetizione del movimento. Secondo Le
Boulch, è poco efficace perché genera apprendimenti rigidi non
trasferibili.
flessibile --> presuppone l’utilizzo di una metodica attraverso la quale si
è in grado di trasferire il movimento. Le Boulch sostiene che
l’apprendimento non può che avvenire grazie ad un procedimento capace
di conferire agli apprendimenti motori caratteri di soggettività, plasticità
e apertura. Naturalmente ciò avviò un conflitto con gli insegnati sportivi,
ai quali veniva rimproverato di costringere gli allievi a gesti ripetitivi,
senza valutare la possibilità di raggiungere egualmente gli stessi obiettivi
per una via più attenta alle istanze educative.
4. dimensione psichica e dimensione motoria come processo di adattamento
sociale.
5. “Non si può nel bambino educare il movimento, ma si deve educare il soggetto
attraverso il movimento”. In altre parole, il movimento diventa lo strumento per
educare.
Setting psicocinetico di Le Boulch (esempio pallavolo):
Il setting di Le Boulch richiama esplicitamente alle teorie dello sviluppo di Jean Piaget,
secondo il quale l’apprendimento è conseguenza di un mutuo processo di adattamento
dato dal processo di equilibrazione tra accomodamento e assimiliazione; tuttavia,
rifiuta quella forma passiva e meccanica dell’apprendimento.
Le Boulch suddivide il processo di insegnamento ed apprendimento motorio e sportivo
in 3 fasi:
1. Fase esplorativa globale --> periodo sensomotorio. In questa fase, il bambino
esplora e cerca di trovare delle soluzioni in modo indipendente al “problema”
posto dall’insegnante; il bambino è motivato a provare e l’insegnante si limita
ad osservare ed incoraggiare altre modalità di interpretazione del compito.
Se fossimo stati allievi di le Boulch, ad esempio, avremmo trovato tantissimi
palloni differenti sparsi per la palestra e avremmo avuto il compito di trovare la
soluzione al problema del tenere la palla in volo.
La durata di questa prima fase è variabile ed è legata alla necessità del
soggetto di conoscere un modello efficace di risposta capace di consentirgli un
certo dominio.
2. Dissociazione --> periodo pre-operatorio. E’ una fase in cu