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Stiamo prendendo atto della posizione di Eisenstadt sulla modernità, lui è morto 3 anni fa; parla
delle modernità multiple. Per comprendere la modernità secondo lui bisogna ampliare lo sguardo
al resto del mondo, la modernità è multipla ma resta modernità; il nocciolo della modernità è
un’idea della storia come prodotto e responsabilità degli umani stessi. La modernità è un’epoca
in cui non è più dato per scontato l’ordine sociale, anche gli eventuali fondamentalismi in realtà
nascono entro questo orizzonte; abbiamo visto come la modernità sia molteplice per Eisenstadt
tanto in Europa quanto nel resto del mondo. Questo modello viene riformulato in vari momenti, il
passaggio ultimo è l’illuminismo; tuttavia Eisenstadt ribadisce che anche in Europa la modernità
non è mai stata univoca. E’ molto importante la liberazione degli individui da ciò che ne vincoli
l’autonomia, con l’illuminismo siamo tutti cittadini; tutti quelli che non hanno il diritto di cittadinanza
sono degni di riceverlo. Con la restaurazione gli stati monarchici restaurati riportano le leggi
precedenti ma non riescono a tenerle, è intorno al 1940 che nello stato piemontese vengono dati i
diritti agli ebrei; legittimazione a protestare se ci si sente in deficit di partecipazione. Eisenstadt fa
un passaggio importante:
• Fuori dall’Occidente, la modernità si è imposta come una “sfida” per tutti.
• Il programma della modernità è stato incorporato in aree diverse in modo selettivo
riformandolo diversamente.
I caratteri di tali riformulazioni dipendono
Dal momento storico
o Dallo stato e dalle relazioni internazionali
o Dalle caratteristiche socio-economiche
o
Restano tuttavia alcuni problemi:
La nozione di “civiltà”
o Le questioni del primato storico dell’Occidente e del carattere “endogeno” dello
o sviluppo
I rapporti di sovra e sotto-ordinazione fra le aree del mondo.
o
La civilization è come dire una dimensione della società, per tutto ciò che riguarda idee e costumi il
transito è continuo; è difficile sapere se i confini delle società cambiano nel tempo.
Un’altra difficoltà è che dentro alle civiltà stesse vi possono essere dei conflitti tra i vari orizzonti di
senso, differenze nel modo di dare senso al mondo tra le varie persone di una stessa civiltà; nel
senso di difficoltà a capirsi. Ergo civiltà come modo di dare senso al mondo, Eisenstadt dice che la
civiltà ebrea verrebbe dalla tradizione giudaico-cristiana. Incivile è una persona che non è mai
stata inserita in alcuna società, la seconda questione è che Eisenstadt ricalca Weber nell’idea che
il primato che il primato storico nella formazione della modernità è europeo; alcuni che studiano la
Cina tendono a dire che aveva un programma moderno simile a quello europeo che però ha avuto
sviluppi diversi. Sulla natura endogena dello sviluppo europeo della modernità c’è da esprimere
qualche perplessità, l’Europa era inserita in reti di comunicazioni e commerciali mondiali; sì
l’Europa ha utilizzato merci, idee e tecnologie che venivano da altrove. L’approccio di Eisenstadt è
sostanzialmente comparativo, io posso confrontare Indonesia e Italia ma posso anche ragionare in
termini di sistema; il suo approccio chiede di essere affiancato da un approccio sistemico,
relazionale.
Immanuel Wallerstein è decisamente (come Marx) antidisciplinare.
Braudel ha scritto tante cose, ha lavorato ad esempio sulla storia degli scambi all’interno del
mediterraneo grosso modo nel periodo che noi chiamiamo medioevo; Braudel è uno storico che si
occupa della lunga durata e di una storia molto ampia non solo politica. Wallerstein ne tiene conto,
quando fonda a Binghampton un centro di studio lo chiama “Fernand Braudel Centre”; Wallerstein
pensa la storia dell’aspetto economico come storia di ampi sistemi. Il sistema è una rete di parti
interrelate, nel sistema moderno ci sono centri e periferie; l’economia è quella capitalistica.
Le periferie cedono forza lavoro e materie prime, che devono vendere in un sistema altamente
concorrenziale; i centri sono quelli dove si accumulano davvero i profitti. Le decisioni che si
prendono nel centro hanno effetti sulle periferie, non è vero l’inverso; la modernità è un’epoca in
cui non tutte le aree sono nella stessa posizione. Le periferie possono avere gradi di dipendenza
diversi, che una periferia diventi centro e viceversa è un passaggio molto difficile; le periferie
possono prendere decisioni he riguardano solo sé stesse.
L’Italia è una semi-periferia nel sistema attuale, oggi il centro del potere di questo sistema comincia
a sfuggire dalle mani degli USA;
il centro del sistema-mondo moderno corrisponde alle aree in cui si concentrano le attività
che comportano il potere decisionale strategico, il controllo e l’amministrazione
dell’economia, la ricerca finalizzata all’innovazione, e dove soprattutto si producono in
regime oligopolistico i beni che generano i profitti maggiori.
Le periferie corrispondono a situazioni di sostanziale subordinazione, dove si producono in
regime concorrenziale beni che generano profitti minori.
POSTCOLONIAL STUDIES
• Intendono il passato coloniale come un’eredità che contribuisce in modo sostanziale
a dar forma al presente
La presenza coloniale in Italia:
• 1882: l’Italia occupa la baia di Assab e la Somalia è dichiarata colonia italiana
• 1885: l’Italia occupa Massaua (Eritrea)
• 1895/6: tentano di occupare l’Etiopia (battaglia di Adua)
• 1911/12: conquistano la Libia
• 1931: cattura e impiccagione del leader della resistenza libica Omar al Muktar
• 1935/36: aggressione italiana all’Etiopia; proclamazione dell’Impero
• 1941/43: l’Italia perde le sue colonie africane
• 1949: la Somalia è affidata dalle Nazioni Unite all’Italia in “amministrazione
fiduciaria”
• 1960: termina l’amministrazione fiduciaria della Somalia
GUERRA D’ETIOPIA, ECCIDIO CON I GAS
Sono stati atti armati particolarmente feroci quelli che caratterizzano la storia dei colonialismi, dopo
la prima guerra mondiale ci fu una conferenza mondiale che mise al bando le armi chimiche;
durante la Guerra d’Etiopia gli italiani però le hanno usate. L’atteggiamento in patria era quello di
incoraggiare l’uso di queste armi, sulle cartoline si rappresentava in maniera allegra l’uso di armi
chimiche; in una cartolina con scritto “visioni abissine” si rappresentano le donne come prostitute
e gli uomini come fuggiaschi.
• Il colonialismo in Italia può essere considerato un “trauma culturale” mancato.
Un “trauma culturale” non è costituito tanto da eventi determinati, quanto dal processo
collettivo che porta a identificare certi eventi come traumatici.
Un trauma culturale è un’immagine del passato, pubblicamente sostenuta da qualche
gruppo sociale rilevante, riferita a eventi e situazioni intesi come “una minaccia per
l’esistenza stessa della società o una violazione dei suoi presupposti culturali
fondamentali” (Alexander, 2004).
Un trauma culturale si verifica quando i membri di una collettività sentono di essere implicati in un
qualcosa di orrendo. Ma ciò non si dà naturalmente.
La costruzione di questa rappresentazione ha luogo nella sfera pubblica.
La sfera pubblica è l’ambito della vita delle moderne società democratiche al cui interno i
convincimenti dei cittadini a proposito di questioni di rilevanza collettiva si confrontano e si
influenzano reciprocamente, modificandosi man mano e contribuendo al formarsi dell’opinione
pubblica. La costruzione di un “trauma culturale” nella sfera pubblica implica l’esistenza di gruppi
sociali che abbiano il potere e la volontà di farsi carico della memoria degli eventi in questione,
promuoverne la rilevanza, definirne i danni che gli eventi hanno provocato, identificare le vittime,
attribuire le responsabilità.
La memoria dell’Olocausto – rispetto a cui la nozione di trauma culturale è stata elaborata
non si sviluppò facilmente: la sua emersione nella sfera pubblica è stata dovuta alla
pressione di varie minoranze attive.
Ma le vittime del colonialismo sono per lo più “di colore”. In generale è stato loro difficile costituirsi
in Europa come “imprenditori della memoria”. Al contrario, almeno nel caso italiano, hanno agito
con successo diversi imprenditori dell’oblio: gli studiosi che se ne occupano hanno sottolineato
quanto a lungo gli uffici civili e militari che gestivano gli archivi coloniali si siano opposti alla loro
consultazione. Come non sono emersi gruppi capaci di farsi carico della memoria in questione, è
stata lacunosa la definizione dei danni, delle vittime e delle responsabilità del colonialismo.
“Tempo di uccidere” – romanzo di Ennio Flaiano
Questo romanzo parla di un ufficiale italiano che ha una breve storia d’amore con una contadina
che dorme vicino a lui nella boscaglia; compare una bestia davanti a loro, lui spara per ucciderla
ed accidentalmente uccide la fanciulla.
Secondo Flaiano gli italiani andavano in Africa per fare le cose che in patria non potevano fare,
quello che l’ufficiale ha fatto non viene considerato reato; questo è un romanzo che è stato
famoso.
Carlo Lucarelli – “L’ottava vibrazione”
Questo romanzo è ambivalente perché in fin dei conti ciò che si racconta è solo uno scenario di un
romanzo noir, i giorni e i luoghi di Adua sono solo lo scenario; c’è qualche conversazione che
ricorda un po’ come gli italiani dovevano parlare ad Adua.
C’è una riemersione della storia coloniale, romanzo di Gabriella Ghermandi “Regina di fiori e di
perle”; in questo bellissimo romanzo racconta la storia di una giovane etiope che viene in Italia a
studiare. Compare, in questo romanzo, una donna che è stata a fare la colf in Italia negli anni
’70-’80; questa donna chiede alla colf se ha i peli alle gambe. L’elaborazione del lutto si completa
quando a lei viene in mente di aver promesso al nonno di diventare una grande narratrice, ancora
di più nell’ottica post-coloniale è il romanzo di Isiaba Scego “La mia casa è dove sono”; la sua è
palesemente un’identità ibrida.
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