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GLI ABITANTI DEL PALAZZO
Già residenza degli Omodei, dei Resolmini e dei De Spuches, la dimora a partire dal 1594 entrò a far parte dei beni del casato dei Filangeri. Pietro Filangeri, conte di S. Marco, proveniente dalla provincia di Messina sposò Francesca De Spuches, proprietaria del Palazzo e unica figlia di Vincenzo De Spuches, giudice della Gran Corte, Presidente del Concistoro, barone di Amorosa e della Mendola. Da quel momento in poi il palazzo divenne dimora palermitana della famiglia Filangeri. La famiglia Filangeri, il cui arrivo in Sicilia si fa risalire al periodo normanno, a partire dal secolo XIII ricopre importanti cariche civili e religiose, assumendo ben presto un ruolo di primo piano fra la nobiltà siciliana del seicento, con l'acquisizione del diritto di esercitare il "mero e misto imperio" ottengono pieno potere sui propri feudi. A seguito del matrimonio del conte don Pietro con Francesca De Spuches, Palazzo Mirto diviene
patrimonio di famiglia. Il titolo Mirtoperviene al casato con Giuseppe Filangeri e Spuches, nominato nel 1643 primo principe di Mirto, dal nomedi un feudo ricadente nel territorio di Messina. La configurazione attuale della dimora risale al 1793 erispecchia a grandi linee quella voluta dal principe Bernardo, le cui glorie sono immortalate nell'affresco sulsoffitto del Salone del Baldacchino e realizzato dall'Interguglielmi nel secolo XVIII. Nel settecento gliinteressi della famiglia vengono rivolti al campo letterario con l'istituzione, da parte di Don Pietro principedi Santa Flavia, dell'Accademia del Buon Gusto, l'attuale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti.Nell'ottocento, estinto il ramo maschile della famiglia, ha inizio il casato Lanza Filangeri, con il matrimoniotra Vittoria Filangeri e Ignazio Lanza avvenuto nel 1830. Nel 1982, donna Maria Concetta Lanza Filangeri,ultima erede di una delle più antiche e nobili famiglie dell'isola,
In ottemperanza alle volontà testamentarie del fratello, il principe Stefano, dona Palazzo Mirto all'Assessorato Regionale per i Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione.
Gli ambienti.
Al piano terreno le ex carceri, la grande e piccola cucina, le scuderie ove sono custoditi carrozze, calessi e finimenti del secolo XIX, costituenti la raccolta Martorana Genuardi dei Baroni di Molinazzo, ormai di proprietà dell'Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali, i magazzini, gli ambienti destinati alla servitù, che con il terzo piano, sede dell'amministrazione della casa, completano la struttura del palazzo.
Il primo piano, o piano nobile, presenta una sequenza di ambienti sontuosamente arredati, che si susseguono uno dopo l'altro, intorno ad un cortile pensile con una splendida fontana barocca e culminante nel Salone del Baldacchino e nel Salone degli Arazzi. In quest'ultimo si svolgevano le feste e tutte le cerimonie ufficiali.
che scandivano la vita nobiliare e che tendevano ad esaltare l'eccellenza del casato, il suo indiscutibile prestigio, ma soprattutto rappresentavano l'occasione per ribadire l'appartenenza ad un ceto esclusivo. Il secondo piano, pur contenendo ambienti destinati ad un uso sociale, ma per una più ristretta cerchia di amici, era riservato alla vita privata della famiglia. In esso sono ubicati la camera da letto dei principi, la sala da pranzo, due biblioteche ed una sequenza di studi e salotti che presentano analoghi elementi decorativi del piano nobile. Gli ambienti del PIANO TERRA Al piano terreno le ex carceri, la grande e piccola cucina, le scuderie, i magazzini, gli ambienti destinati alla servitù, che con il terzo piano, sede dell'amministrazione della casa, completano la struttura del piano terra. Le cucine principali: Nell'ambiente sono degni di nota l'antico pozzo, il forno per il pane, i fornelli a legna e a carbone, i piani da lavoro in.marmo e i mensoloni in pietra.
La Piccola cucina: è collegata con la sala da pranzo del piano nobile attraverso una piccola scala ricavata all'interno della muratura, è inoltre unita alle cucine principali da un passavivande collocato nel pianerottolo dello scalone.
SCUDERIE: Nell'ambiente si susseguono delle imponenti colonne in marmo grigio che lo dividono in tre "navate". Gli alloggi dei cavalli, tutti forniti di singola mangiatoia in ferro battuto e conca in pietra scolpita per il foraggio, sono delimitati da eleganti strutture in legno con pregevoli fusioni in ghisa. In fondo un'imponente fontana in marmo del XVI secolo, testimonianza del più antico palazzo inglobato nell'attuale, porta inciso lo stemma degli Spuches: Arma d'azzurro al monte d'oro di tre colli caricati di una stella d'argento sormontata da un giglio d'oro. Il monte è simbolo di ricchi possedimenti alpestri (lo denota l'uso dell'oro).
Le stelle simboleggiano cuore puro e azioni magnanime, il giglio rettitudine e fede incrollabile. Inoltre si conservano vari abiti, marsine e tube.
IL MAGAZZINO: Il magazzino, luogo destinato al foraggio, era probabile ricovero di carrozze. In fondo, nel vicoletto in origine esterno al palazzo e nel XVIII secolo annesso ad esso, è incisa su di un blocco di pietra la data del 1116. Fino a quando l'economia siciliana resterà definita da un sistema di microstrutture di tipo feudale quasi autosufficienti, venne a mancare una rete viaria percorribile con veicoli a ruote. Prima di quell'epoca a causa delle condizioni del tessuto viario urbano ed extraurbano oltre alle consuete cavalcature come mezzo di trasporto venivano impiegati soltanto portantine e lettighe. Le prime carrozze furono importate in Italia dall'Ungheria nella prima metà del XVI secolo. Nella capitale siciliana ben presto si diffusero e già nel 1647 ne circolavano, tra pubbliche e padronali.
Ben settantadue. Cominciò subito tra nobili una frenetica gara per possedere il maggior numero di carrozze e tra queste le più splendide e sfarzose casse, sospese al traino mediante cuoio, magnificamente intagliate e dipinte o addirittura rivestite con lamina d'argento, dorature e decorazioni eseguite da abili artigiani, specchi, velluti e costosi "guarnimenti di cuoio". Analoga ricchezza era data ai bardamenti degli animali da tiro. Nel settecento la carrozza ebbe larghissimo impiego; in questo periodo grazia ed eleganza si accoppiano alla funzionalità. La viabilità migliora, si stabiliscono regolari servizi di trasporto fra i vari centri e vengono emanati regolamenti per il transito urbano. Il loro uso si era talmente affermato che dopo il 1830 ormai nessuno che avesse un minimo di agiatezza osava presentarsi a piedi a un ricevimento. Chi ne era sprovvisto, come i forestieri, poteva utilizzare una delle 312 carrozze in affitto. Questa
situazione si protrasse fino alla "Bella Époque", che è da considerarsi il periodo di massimo splendore per la carrozza, attraverso la quale si affermava il prestigio del proprietario, il cui casato veniva rappresentato dal colore delle ruote, del timone e dellatappezzeria, ma anche dal colore delle livree dei cocchieri. In Italia a fine del XVIII secolo il numero delle carrozze era tanto grande da ricorrere a norme restrittive per limitarne la corsa nei centri abitati. Con il XX secolo le carrozze iniziarono il loro declino con la comparsa delle prime automobili. Gli ambienti del PIANO PRIMO O PIANO NOBILE Il primo piano, o piano nobile, presenta una sequenza di ambienti sontuosamente arredati, che si susseguono uno dopo l'altro, intorno ad un cortile pensile con una splendida fontana barocca e culminante nel Salone del Baldacchino e nel Salone degli Arazzi. In quest'ultimo si svolgevano le feste e tutte le cerimonie ufficiali che scandivano la vita.Nobiliare e che tendevano ad esaltare l'eccellenza del casato, il suo indiscutibile prestigio, ma soprattutto rappresentavano l'occasione per ribadire l'appartenenza ad un ceto esclusivo.
SALA D'INGRESSO:
La sala è arredata con cassoni siciliani e con due busti di nobili romani della manifattura del barone Malvica (sec. XVIII). Alle pareti i ritratti di due antenati, Giacomo Fardella, barone di San Lorenzo, e Antonio Fardella I. Sul soffitto una pregevole pittura della fine del XVII secolo raffigurante Diana, la dea della caccia, e la ninfa Callisto. Ovidio (Metamorfosi II, 442-443) narra che Giove, invaghito di Callisto, assunse le sembianze della dea e giacque con l'inconsapevole ninfa rendendola gravida. Diana, accortasi della gravidanza, punì l'offesa alla castità trasformando Callisto in orsa e sguinzagliandole dietro alcuni cani, Giove mutò la ninfa in costellazione dandole visibilità nel cielo. Nella sala anche
STANZA DEL NOVELLI: La stanza prende il nome dall'autoritratto del pittore. Sul soffitto una curiosa pittura ottocentesca in cui i puttini, che rappresentano Eros e Anteros, guardano il mondo degli uomini affacciati da balconate fiorite. I due figli di Venere mostrano la loro diversa ma complementare indole: Eros, forte del suo ascendente sugli uomini, gioca a manovrarli come marionette tirate da fili, mentre Anteros contrasta il potere del fratello spezzandogli l'arco. Sulle consolles neoclassiche, alcune preziose porcellane napoletane e svizzere (Nyon). Alle pareti, i ritratti di due antenati della famiglia Lanza e una tela che raffigura Narciso, il giovane che colpito da una freccia di Cupido si invaghisce della propria immagine riflessa nell'acqua (Ovidio, Metamorfosi III, 339-510). Da notare anche
L'elegante cassettone a ribalta con intarsi in avorio, successivo al 1830, che attesta nel doppio stemma dei Lanza-Filangeri l'unione dei due casati; il mobile sostiene l'orologio a lira in ebano violetto realizzato da Cristoforo Mustica. La scultura in marmo bianco raffigurante il timido bagnante, The timid bather, si pensa sia stata ereditata dalla marchesa di Torrearsa. Nelle vetrine sono esposte porcellane di Meissen del XVIII secolo, alcune tra queste fanno parte del servizio da tavola che si troverà lungo il percorso.
SALOTTO DEL SALVATOR ROSA: Il nome del salotto prende spunto da alcuni piccoli oli, posti alle pareti, alla maniera del pittore. Nel soffitto, decorazioni che illustrano, entro finte cornici dorate, arcadiche vicende tratte dall'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Sulle porte drappi ricamati in sete colorate a motivi baroccheggianti del XVIII secolo, alle pareti due dipinti, "Il ritorno del figliol prodigo" (Luca 16,11) e una "Allegoria"
della Musica", copia di Trevi. Presenti inoltre due consolles settecentesche in legno dorato, di fattura napoletana, che sostengono piccoli vasi impero dalle eleganti miniature e porcellane cinesi. Altre porcellane orientali raffiguranti sei degli otto