Organizzazione politica europea - Appunti
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ESTRATTO DOCUMENTO
Come si accerta l’infrazione?
• Le direttive hanno una scadenza entro la quale devono essere applicate. Gli
Stati sono tenuti a notificare l’avvenuta trasposizione di ogni atto. Qualora
questa notifica non pervenga, la Commissione avvia la prima fase della
procedura di infrazione.
• In alcuni casi gli Stati sono tenuti a notificare le misure prese in certi settori
(auto-notifica), es. aiuti statali alle imprese vanno notificati
• Cittadini, imprese, Stati, PE (tramite petizioni) e la Commissione stessa possono
indagare su supposte infrazioni.
Per essere corretta, la trasposizione delle norme deve rispondere ai seguenti criteri:
• deve avvenire nei tempi previsti
• deve esprimersi in misure vincolanti
• deve essere conforme
NOTA BENE – I tempi di recepimento da parte dello Stato membro variano a seconda
del metodo di trasposizione adottato: legge secondaria del Governo, legge del
Parlamento etc.
In Italia dopo la riforma La Pergola c’è un’unica sessione comunitaria con cui vengono
implementate tutte le leggi europee (la “comunitaria”).
La Procedura di infrazione
Fase preliminare - Il primo atto consiste nel notificare allo Stato membro la
presunta infrazione. Con una “lettera formale di notifica” si invita lo Stato
membro a fornire una giustificazione entro 1-2 mesi. Questa fase preliminare è
quella nel corso della quale si risolvono la maggior parte delle infrazioni (spesso
si tratta in realtà solo di ritardi o mancata notifica dell’avvenuta trasposizione,
oppure di errori in buona fede).
Primo stadio ufficiale: la Commissione, se ritiene che la giustificazione inoltrata
dallo Stato membro non sia sufficiente, emette un parere motivato che spiega
quali sono gli argomenti legali dell’avvio della procedura di infrazione.
Contestualmente si fissa un limite di tempo entro il quale lo Stato deve
conformarsi.
Secondo stadio ufficiale: se lo Stato non si conforma entro i termini previsti, la
Commissione può adire alla Corte di Giustizia. Prima, però, si cerca di risolvere
la controversia con negoziati bilaterali tra lo Stato membro e la Commissione.
Se non si trova soluzione, la Corte di Giustizia è chiamata ad intervenire in
qualità di arbitro finale. La Corte verifica che vi sia infrazione e che le misure
richieste dalla Commissione siano giustificate, quindi emette la sentenza.
Le aree in cui si registrano più infrazioni sono: ambiente, mercato interno, trasporti.
La maggior parte delle infrazioni si risolvono nelle fasi preliminari, si verificano solo
raramente casi più gravi in cui l’infrazione viene portata di fronte alla CdG.
Le motivazioni:
• Molto spesso gli Stati membri non sono consapevoli di aver commesso una
violazione e si conformano appena Commissione lo rende noto
• Una parte rilevante di nuove procedure di infrazione (30-50%) sono per
mancata o tardiva notifica
• Gli Stati vogliono evitare di arrivare alla fase giudiziale della procedura di
infrazione, che comporta comunque una perdita di reputazione
• La Commissione può decidere di non proseguire fino alla Corte di Giustizia.
I tempi sono piuttosto lunghi: intercorrono in media due anni tra la notifica di
infrazione e l deferimento alla Corte di Giustizia, la quale impiega poi in media altri
due anni per elaborare il giudizio. Sono lunghi anche i tempi di conformazione alla
sentenza: in media uno Stato membro impiega un anno o un anno e mezzo.
Il trattato di Lisbona (art, 279) ha introdotto la possibilità, da parte della Corte, di
adottare misure ad interim per evitare che lo Stato membro continui con attività
dannose (si vedano ad es. le attività venatorie in Italia e Malta).
Decentramento della sorveglianza
Sono stati introdotti dei meccanismi di decentralizzazione della sorveglianza:
• Scoreboard sul mercato interno – Introdotto nel 1997, consiste nella
pubblicazione delle performance degli Stati membri nell’implementazione della
legislazione sul mercato interno (graduatorie, numero di infrazioni etc.). In
merito si è parlato di “naming and shaming”: l’obiettivo sarebbe quello di
spronare all’autocorrezione.
• Sistema SOLVIT – Sistema introdotto nel 2002 che riguarda esclusivamente la
legislazione sul mercato interno. Attraverso la creazione di sportelli SOLVIT negli
Stati membri (generalmente presso ministeri economico-finanziari, in Italia si
trova presso il Dipartimento delle Politiche Comunitarie della Presidenza del
Consiglio) è possibile decentrare la sorveglianza, poiché un cittadino o
un’impresa possono rivolgersi direttamente ad essi (o alla Commissione, che poi
indirizza il caso al centro SOLVIT dello Stato per cui è sorto il problema) qualora
abbiano una rimostranza sull’applicazione della legislazione sul mercato interno
in uno Stato membro.
Entro 10 settimane i centri SOLVIT devono risolvere il caso (ma possono
rigettarlo se richiede un cambiamento nella legislazione) .
• EU Pilot – Sistema avviato in forma sperimentale nel 2008 e relativo alla
legislazione che non riguarda il mercato interno. Si applica a rimostranze
individuali in merito all’applicazione della legislazione comunitaria in uno Stato
membro, ma qui il caso è trattato direttamente dalla Commissione e dallo
sportello EU-Pilot dello Stato membro (collocato come quello SOLVIT) : entro 10
settimane lo Stato deve dare risposta e fornire una soluzione e la Commissione,
se la ritiene conforme alla legislazione Europea, la accetta e la passa al
ricorrente.
Sembra che SOLVIT e Pilot abbiano avuto risultati positivi sulla riduzione del numero di
procedure di infrazione, in particolare per i casi sollevati da individui o aziende.
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IL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Anche se dovrebbe costituire uno dei corpi legislativi dell’UE, ha anche competenze
esecutive.
Storia del Consiglio
E’ una delle istituzioni originarie dell’UE: esiste sin dal trattato di Parigi del 1950 che
istituisce la CECA. La sua istituzione fu richiesta fortemente dai paesi piccoli, nel caso
specifico dai Paesi Bassi, che temevano che l’Alta Autorità della CECA risultasse
egemonizzata dagli Stati più grandi e dai loro interessi in assenza di un controllo
intergovernativo.
Con il Trattato di Roma del 1957 si delinea un quadro istituzionale più intergovernativo
e meno sovranazionale rispetto alla CECA. E’ in questa occasione che il Consiglio
diventa legislatore . Il suo compito è quello di coordinare le politiche economiche
generali e prendere le decisioni.
In seguito il Consiglio fu oggetto di diverse modifiche. Del modello originario restano:
• Procedure di voto: MQ, MS, unanimità
• Presidenza a rotazione (sebbene modificata rispetto alle origini)
• Limitato potere di emendare le proposte della Commissione (cosa possibile
solo all’unanimità)
• Differenza sostanziale rispetto agli esecutivi nazionali: i settori di policy sono
predefiniti dai trattati.
L’evoluzione
La traiettoria di modifica si apre con l’AUE, che introduce
• Un’estensione della MQ.
Si riesce a pervenire a questo risultato perché tutti gli Stati membri, compresi
quelli euro-scettici, desideravano pervenire al completamento del mercato
interno.
• Una politica estera europea, con la CPE (Cooperazione Politica Europea), le cui
responsabilità vengono affidate al Consiglio
Il trattato di Maastricht riforma la CEE trasformandola nella UE e introduce la
famosa struttura a tre pilastri. Nel secondo e terzo pilastro (ovvero PESC e GAI) il
Consiglio è l’organo decisionale: il PE è di fatto irrilevante, si tratta di aree che, per
volontà degli Stati membri, sono gestite a livello eminentemente intergovernativo.
Con Maastricht, e in seguito ancor di più con i trattati di Nizza e Amsterdam, il
Consiglio condivide la legislazione su base sempre più paritaria con il PE: ci si dirige
verso una procedura bicamerale. Parallelamente, si assiste ad una progressiva
estensione della VMQ.
Il trattato di Lisbona:
• da “codecisione” a “procedura legislativa ordinaria”: viene di fatto sancita
la parificazione di PE e Consiglio, sebbene permangano aree di policy in cui il PE
ha un ruolo subordinato.
• modifica della VMQ: la ponderazione dei voti è abbandonata, si introduce la
doppia maggioranza.
Le funzioni del Consiglio
Anche se, come sempre parlando dell’UE, è difficile attribuire in modo univoco alle
istituzioni le funzioni politiche, si può dire che il Consiglio:
• abbia funzioni principalmente legislative, e quindi di policy making
• abbia anche alcune funzioni esecutive
• abbia infine funzioni di mediazione (la cooperazione interistituzionale è
basilare per il funzionamento dell’UE)
1. La funzione legislativa
Il Consiglio è un legislatore sui generis. Rispetto alle istituzioni legislative nazionali:
• non detiene l’iniziativa
• ha una legittimità indiretta (in questo ricorda la Camera alta tedesca, il
Bundesrat)
• ha dei meccanismi di voto anomali:
unanimità
o maggioranza qualificata
o
• ha il potere di fare emendamenti solo all’unanimità
• lavora in modo meno trasparente e quindi meno facilmente sorvegliabile, con
contrattazioni che spesso ricordano quelle diplomatiche (sebbene ci sia stata
un’evoluzione in merito)
Il potere di iniziativa indiretta
Sin dalle origini, il Consiglio, pur non avendo un potere di iniziativa diretta, ha avuto un
potere di iniziativa indiretta (o iniziativa dell’iniziativa): con una richiesta formale
può chiedere alla Commissione di stendere una proposta su un determinato ambito. La
richiesta può essere formulata anche in termini molto specifici, con delle istruzioni
precise: in questo modo, la Commissione è chiamata ad agire come una sorta d
segretariato tecnico.
In ogni caso, il fatto che il Consiglio abbia un potere di veto sostanziale rispetto alle
proposte della Commissione (è necessaria la sua approvazione affinché una proposta
si traduca in atto legislativo) fa sì che esso giochi un ruolo determinante nell’orientare
le attività della Commissione stessa: le reazioni anticipate la spingono a non avanzare
proposte troppo audaci o che saranno prevedibilmente considerate inaccettabili dal
Consiglio.
Il Consiglio ha comunque altri modi per influire sull’agenda della Commissione e sulla
sua iniziativa:
• Emanazione di atti di “soft law”, quindi non vincolanti (come le
raccomandazioni o le comunicazioni) – Si tratta di atti che sottolineano
l’importanza di un determinato problema o aspetto. Pur non essendo vincolanti,
hanno un peso politico talvolta non indifferente.
• Programmi della Presidenza - Il Consiglio può produrre progetti di policy,
soprattutto tramite i “programmi della Presidenza”
• Coordinamento aperto - In settori in cui non c’è disponibilità politica da parte
degli Stati a cedere prerogative al livello sovranazionale, si può avviare una
forma di coordinamento atta a rendere sinergiche le differenze o specificità
nazionali. In questi ambiti non si produce legislazione europea, e pertanto la
Commissione non interviene: i passi avanti vengono fatti attraverso linee guida,
raccomandazioni (anche rivolte a singoli Stati), valutazioni complessive, tutte
tipologie di atto di cui il Consiglio è l’autore principale.
Es. Processo di Bologna (coordinamento dei sistemi universitari, vi aderiscono
UE e altri Paesi); Agenda 2020.
2. Le funzioni esecutive
• La Comitologia, che assiste la Commissione nella fase di implementazione
degli atti, è di fatto un’emanazione del Consiglio: quando un Comitato
ritiene che un atto sia da respingere, la questione viene passata al Consiglio.
• Nella PESC, è il Consiglio Europeo a dettare le linee guida, ma è poi il Consiglio
a prendere le decisioni legali che rendono tali linee guida operative.
3. La funzione di mediazione
Essendo composto di rappresentanti degli Stati membri, il Consiglio è la sede dove
viene costruito il consenso e dove vengono negoziati i compromessi tra preferenze
nazionali e ideologiche diverse tra loro. Con il crescere degli stati membri e l’ampliarsi
dei settori di intervento, questa funzione è diventata sempre più importante. Il lavoro
di mediazione ricade soprattutto sul Presidente del Consiglio.
Si può parlare di una mediazione su due livelli:
• interna: mediare tra gli interessi dei diversi Stati membri, tra gli approcci
ideologici diversi etc
• esterna: mediare tra Consiglio, Commissione e PE.
I poteri del Consiglio vanno aumentando o diminuendo?
• C’è stato un vasto approfondimento funzionale dell’UE, cui consegue
necessariamente un certo ampliamento dei poteri del Consiglio: l’UE ha un
maggior numero di compiti, pertanto anche il Consiglio ha maggior potere
(complice anche l’introduzione di una procedura nuova come il coordinamento
aperto)
• L’introduzione del Consiglio Europeo ha in un certo modo sottratto potere al
Consiglio: attualmente è il vertice politico vero e proprio dell’UE.
• A partire dagli anni ’80, il PE ha rivendicato con successo poteri maggiori,
erodendo lo spazio del Consiglio, che non è più l’unico vero legislatore ma un
co-legislatore.
Il Consiglio e le sue componenti
La gerarchia
Il Consiglio è un organo complesso, con più livelli. Si può fare una macrodistinzione tra:
• livello politico (Consiglio Europeo, Consiglio)
• livello burocratico (CoRePer II, CoRePer I, Gruppi di lavoro)
Il livello politico
Il vertice del livello politico è rappresentato dal Consiglio Europeo, che tuttavia è solo
un organo di indirizzo politico, non agisce direttamente sul legislativo. Il livello
sottostante è rappresentato dal Consiglio dei Ministri con le sue 10 possibili
formazioni.
Il livello burocratico
Il livello burocratico, cui spetta il lavoro preparatorio, è a sua volta su più livelli. Il più
alto, ovvero il più vicino al livello politico, è costituito dal CoRePer (suddiviso in
CoRePer I e CoRePer II). Al di sotto si hanno i Gruppi di lavoro, divisi per temi e
composti da funzionari degli Stati membri.
Le formazioni del Consiglio
Il Consiglio è un’istituzione unica, tuttavia si articola in dieci formazioni diverse,
specializzate funzionalmente.
Il numero delle formazioni è cambiato molto nel corso della storia della CEE/UE. Il loro
numero è andato aumentando mano a mano che veniva estesa la competenza dell’UE,
soprattutto negli anni ‘80. La crescita delle formazioni fu indiscriminata fino agli anni
’90, quando si raggiunse il tetto massimo rappresentato da 22 formazioni. Consapevoli
della necessità di una riforma, si cercò di razionalizzare.
• 1999: una riunione del Consiglio Europeo @Helsinki ridusse il numero delle
formazioni a 16
• 2002: @ Siviglia le formazioni vengono ridotte a 9
• Trattato di Lisbona: si formalizzano 10 formazioni (l’aumento è dovuto allo
smembramento della formazione Affari Generali in due formazioni distinte:
Affari Generali e Relazioni Esterne)
Le attuali formazioni possibili sono:
1. Affari Generali
2. Affari Esteri
3. Affari economici e finanziari (EcoFin)
4. Giustizia e Affari Interni
5. Occupazione, politica sociale, sanità, tutela del consumatore
6. Concorrenza
7. Agricoltura e Pesca
8. Trasporti, Energia, Telecomunicazioni
9. Ambiente
10.Istruzione, Gioventù, Cultura
I più importanti sono: Affari Generali, Relazioni Esterne, EcoFin
Lo smembramento del Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne
S’è visto che in occasione del Trattato di Lisbona si decise di smembrare la vecchia
formazione Affari Generali e Relazioni Esterne (CAGRE) in due formazioni diverse. Il
Cagre aveva due competenze generali:
• gestire le relazioni esterne dell’UE
• coordinare le altre formazioni del Consiglio, preparare il Consiglio Europeo e
dirimere le questioni controverse che altre formazioni non sono riuscite a
chiudere.
In un primo momento, @ Siviglia, si decise di lasciare le due aree alla stessa
formazione, imponendo però che venissero gestite in sessioni separate. Con il trattato
di Lisbona si scelse invece di separare le due aree istituendo due formazioni diverse:
• Affari Generali – Composta dai Ministri degli Affari Europei, prepara i lavori del
Consiglio Europeo in collaborazione con la Presidenza
• Affari Esteri – Composta da Ministri degli Esteri e presieduta dall’Alto
Rappresentante alla PESC. Due volte l’anno, presenziano alle riunioni anche i
Ministri della Difesa.
La decisione di smembrare la formazione si deve all’aumento del carico di lavoro
relativo alle Relazioni Esterne verificatosi in seguito al trattato di Maastricht e a
maggior ragione dopo quello di Amsterdam.
Periodicità
Ciascuna formazione ha una periodicità diversa a seconda della sua importanza:
• EcoFin, Affari Esteri, Affari Generali: di solito si riuniscono una volta al mese, se
necessario più spesso
• Agricoltura e GAI: una volta al mese
• Tutti gli altri: di norma due volte a semestre, almeno
NOTA BENE – EcoFin e il Consiglio Affari Generali hanno anche riunioni informali.
L’EcoFin
• Composto dai Ministri dell’economia e della finanza, con Presidenza a rotazione.
• Si riunisce prima del Consiglio Europeo.
• Insieme al PE, è chiamato ad approvare il bilancio e la prospettiva finanziaria.
• L’EcoFin è solitamente preceduto da riunioni dell’Eurogruppo, un sottoinsieme
dell’EcoFin composto dai Ministri dell’economia e della finanza dei Paesi
dell’Eurozona. Quando l’EcoFin è chiamato a prendere decisioni in merito
all’euro, i Paesi che non hanno adottato la moneta unica non votano.
La composizione del Consiglio
Ciascuna formazione del Consiglio è composta da:
• Delegazioni nazionali: solitamente presiedute dal Ministro, che viene
accompagnato da sottosegretari o dai Ministri di dicasteri affini. In aggiunta,
sono presenti anche funzionari e, in alcuni casi (Germania) rappresentanti
regionali.
• Delegazione della Commissione: se il tema è importante, presenzia il
Commissario relativo, altrimenti alti funzionari.
• Delegazione del segretariato generale del Consiglio
Dal momento che, come è evidente, il Consiglio è spesso molto affollato, è possibile
chiedere una riunione ristretta (Ministro + 1, Ministro + 2 o, eccezionalmente, un
Ministro e la Commissione).
NOTA BENE – è stata la Germania a sollevare per prima la questione dei rappresentanti
regionali. Di fatto, l’ampliamento delle competenze UE ha determinato un passaggio di
competenze dallo Stato alla UE stessa. Questo intimoriva i Lander, che paventavano
l’avvento del centralismo quale sottoprodotto dell’integrazione europea. Per questo
hanno chiesto e ottenuto che alle riunioni del Consiglio partecipasse anche un
Osservatore dei Lander. In seguito, altri Stati hanno espresso il desiderio di affiancare
alla loro delegazione nazionale un rappresentante delle regioni.
La presidenza del Consiglio
Fino a Lisbona la Presidenza era a rotazione per un semestre.
In origine la rotazione avveniva in ordine alfabetico, in seguito al primo allargamento
mediterraneo (1983, Grecia) si introduce la troika: il Paese cui spetta la Presidenza è
affiancato dal Paese che deteneva la Presidenza nel semestre precedente e da quello
che avrà la Presidenza nel semestre successivo. In questo modo si istituiva una sorta
di tutoraggio dei nuovi Stati membri. Nel 2004 l’ordine di rotazione viene riorganizzato
in modo che tutti gli Stati membri abbiano la Presidenza prima o dopo Stati che fanno
parte dell’UE da più tempo.
Il trattato di Lisbona ha introdotto un nuovo sistema, reso necessario
dall’allargamento massiccio sperimentato negli anni 2000: il trio di Presidenza per
18 mesi.
Il Paese cui spetta la Presidenza esprime:
• i Presidenti di tutte le formazioni del Consiglio eccetto quella degli Affari Esteri
(che spetta all’Alto Rappresentante),
• il Presidente del CoRePer,
• il Presidente dei Comitati che fanno il lavoro preparatorio
• il Presidente dei Gruppi di Lavoro.
Compiti della presidenza
• Organizzare e presiedere le riunioni (eccetto quelle del Consiglio Affari Esteri)
• Mediare (compito arduo quanto necessario)
• Costruire consenso intorno alle iniziative
• Portare avanti le iniziative del programma del trio
• Assicurare continuità e coerenza
• Rappresentare il Consiglio nelle relazioni interistituzionali (soprattutto con il PE),
eccetto che per gli Affari Esteri.
Vantaggi e svantaggi della Presidenza
Vantaggi:
• grande occasione di visibilità e momento di prestigio, anche per gli Stati piccoli
• possibilità di influire sull’agenda, inserendovi magari questioni che stanno
particolarmente a cuore
Svantaggi:
• carico di lavoro non indifferente
• perdita di prestigio in caso di performance deludente (cfr. Presidenza francese
nel 2000, con Chirac: il trattato di Nizza, che ne fu un prodotto, è
sostanzialmente un pessimo compromesso, cosa che danneggiò il prestigio del
governo Chirac)
• difficoltà nel difendere gli interessi nazionali cercando al contempo il consenso
Una buona Presidenza
• Deve riuscire a costruire consenso, presentandosi come “credible and honest
broker”
• Richiede capacità di leadership, credibilità, dedizione. Conta anche la stabilità
del Governo: una crisi di politica interna allo Stato che esprime la Presidenza di
turno può danneggiarne l’operato o la credibilità.
Il livello burocratico
E’ il livello cui è affidata la preparazione delle decisioni, pertanto ha un’importanza
fondamentale. E’ composto da diversi organi cui sono affidati diversi compiti
burocratici.
Il CoRePer
Ogni Stato membro dispone di una Rappresentanza Permanente @ Bruxelles,
simile ad una ambasciata. Ciascuna di esse è capeggiata da un Rappresentante
Permanente, un diplomatico di alto rango. Al di sotto del Rappresentante vi è uno staff
composto da diplomatici e alti funzionari dei ministeri (principalmente di quei ministeri
maggiormente coinvolti nell’attività dell’UE), coadiuvati da uno staff
tecnico-amministrativo.
I membri delle Rappresentanze Permanenti formano i due CoRePer, che di norma si
incontrano una volta a settimana. Il trattato di Roma prevedeva che i Governi si
dotassero di strutture di coordinamento, fu poi il trattato di fusione del 1965 a definire
in modo specifico le caratteristiche e le funzioni del CoRePer nella sua forma attuale.
Funzioni
• preparazione dei lavori del Consiglio (es. elabora l’ODG)
• svolgimento di altri compiti assegnati dal Consiglio
Il CoRePer è in realtà distinto in due organi:
• CoRePer I – lavora per i Consigli più tecnici (ma non il Consiglio Agricoltura), è
composto da funzionari dei ministeri (è infatti necessaria una competenza
specifica della materia). Ogni delegazione nazionale è guidata dal vice
rappresentante permanente. Assistito dal “gruppo Martens”, composto da
funzionari di alto grado delle Rappresentanze Permanenti nazionali.
• CoRePer II – è il più importante e politico, lavora sui pacchetti di proposte
cruciali e controversi (classicamente quelli di formazioni come: Affari Generali,
GAI, EcoFin). E’ formato da delegazioni di diplomatici presiedute dai
Rappresentanti Permanenti. Viene assistito dal “gruppo Antici” formato da
funzionari di alto grado delle Rappresentanze Permanenti nazionali.
Esistono altri organismi addetti al lavoro preparatorio, in particolare si ricordino:
• Comitato speciale per l’agricoltura: le decisioni del Consiglio Agricoltura
vengono preparate esclusivamente in questa sede. Il Comitato è composto da
funzionari dei ministeri dell’Agricoltura degli Stati membri.
• Comitato politico e per la sicurezza: composto da diplomatici che fanno
capo al Rappresentante Permanente. E’ il principale Comitato del Consiglio per
quanto riguarda la PESC.
• Comitato permanente per l’occupazione: si occupa del coordinamento della
politica del lavoro. E’ stato istituito ad Amsterdam (contestualmente alla nascita
del SEO). Composto da rappresentanti dei governi (guidati dagli stessi Ministri)
e da rappresentanti degli interessi del lavoro e delle imprese: pertanto, presenta
due anomalie rispetto ai Comitati standard (presenza dei Ministri e
rappresentanza degli interessi). Si riunisce due volte all’anno per formulare
raccomandazioni al Consiglio dei Ministri dell’Occupazione e degli Affari Sociali.
I gruppi di lavoro
• Numerosi gruppi specializzati funzionalmente, circa 150. Sono formati da
rappresentanti degli Stati membri, circa 3-4 per Stato.
• Possono anche essere creati ad hoc.
• Sono i primi organi a ricevere le proposte legislative della Commissione e le
analizzano dettagliatamente per poi indirizzarle al CoRePer o al Comitato
Speciale per l’Agricoltura.
• Hanno un ruolo più specifico dei Comitati, in quanto responsabili dell’analisi
dettagliata delle proposte legislative (su una singola proposta possono lavorare
anche più Gruppi di lavoro se essa implica un’area di applicazione molto vasta).
• Le loro riunioni possono essere sistematiche – nel caso di Gruppi permanenti
con un forte carico di lavoro – o sporadiche – per Gruppi destinati ad aree meno
“calde”.
• Alla fine del lavoro di analisi, i Gruppi riferiscono al CoRePer o ai Comitati di alto
livello.
Il ruolo del livello burocratico: l’ODG del Consiglio
Il CoRePer riceve le proposte dai gruppi di lavoro, quindi le scompone in punti prima di
inoltrarle al Consiglio.
• punti A: quelli per cui nel CoRePer si è già trovato un accordo tra gli Stati,
devono solo essere ratificati
• punti B: quelli che richiedono dibattito in Consiglio
E’ infatti al livello del CoRePer e quindi di negoziazione tra i Rappresentanti Permanenti
che viene trovata la maggior parte degli accordi: c’è chi ha detto che il CoRePer “stira
le pieghe” delle proposte legislative, in modo che il livello politico possa lavorare
meglio (European Voice).
A cosa si deve questa capacità di problem solving o comunque di trovare
compromesso?
• Il CoRePer è composto dalle rappresentanze dei vari Stati membri che, a
differenza dei Ministri che siedono nel Consiglio, lavorano insieme
permanentemente: sono pertanto facilitati nel cercare intese.
• L’obiettivo stesso dei membri del CoRePer è quello di cercare accordi: questa è
la mission in cui si identificano, il vero nucleo del loro mestiere.
• Essendo permanentemente a Bruxelles, sono meno legati alla politica nazionale
dello Stato che rappresentano (questioni elettorali) .
Polemiche
• Il CoRePer, a differenza del Consiglio, non ha alcuna legittimità democratica,
neanche indiretta
• Il CoRePer crea intese sulla base di contrattazioni interne di tipo
sostanzialmente diplomatico, meno trasparenti di quelle del Consiglio
• C’è chi parla per questo di “potere burocratico”, di “faceless and unaccountable
men” (the Economist) o di “power house”: le decisioni prese in seno al CoRePer
sono sottratte alla politica e cioè al controllo elettorale.
• D’altra parte, c’è anche chi vede nel CoRePer un organo sostanzialmente
sovranazionale ed europeo incuneato nel Consiglio, l’organo intergovernativo
per eccellenza.
Il Segretariato generale del Consiglio
Un altro organo burocratico, composto da 3500 funzionari circa. Costituisce il
principale supporto amministrativo al lavoro del Consiglio.
In generale, il compito del Segretariato è quello di far funzionare la macchina del
Consiglio nel suo complesso: dal livello ministeriale a quello dei Gruppi di lavoro. Nello
specifico, le sue funzioni sono:
• Assistere la Presidenza di turno (es. forniscono documentazione che chiarisce
qual è la situazione attuale sulle questioni in agenda e sulle possibili tattiche
prima di ogni riunione del Consiglio)
• Garantire la continuità tra le Presidenze
• Esercitare un ruolo di mediazione
Il Segretariato Generale è presieduto da un Segretario Generale che viene nominato
all’unanimità dal Consiglio Europeo. Prima del trattato di Lisbona, il Segretario
Generale fungeva anche da Alto Rappresentante per la PESC.
Le Presidenze di turno si avvalgono dei servizi del Segretariato in misura variabile,
elevata soprattutto per i paesi piccoli. In alcuni casi, capita che la Presidenza
preferisca avvalersi soprattutto del proprio staff nazionale.
LE FUNZIONI DEL CONSIGLIO
1. La funzione decisionale
L’agenda del Consiglio
L’agenda può essere molto varia e contenere:
• proposte legislative della Commissione da discutere e approvare
• prese di posizione su questioni di politica generale (come crisi internazionali o
altro)
• questioni tecniche
• questioni amministrative (Es. nomine …)
• punti che fanno riferimento al settore di responsabilità funzionale della
formazione del Consiglio
Le procedure di voto
Il Consiglio può votare:
• all’unanimità (con astensione che non blocca): è di regola per la PESC,
frequente per GAI, politica fiscale e politica sociale.
• a maggioranza semplice: rara, si usa soprattutto per questioni procedurali.
• a maggioranza qualificata (MQ): la più utilizzata. E’ con l’AUE che viene
introdotta per il Mercato Interno, poi viene gradualmente estesa. Si basa sulla
ponderazione dei voti, che vengono attribuiti ai singoli Stati in modo
rozzamente proporzionale alle dimensioni demografiche.
La maggioranza qualificata
Il sistema attuale è stato elaborato a Nizza in vista degli allargamenti che si sarebbero
verificati di lì a poco. Si decise di attribuire un pacchetto di voti che andava da un
minimo di 3 (Malta) a un massimo di 29 (Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia). Agli
Stati “medi” come Spagna e Polonia vennero attribuiti 27 voti, pur essendo loro molto
meno popolosi degli Stati “grandi”: di fatto, i due Paesi hanno una posizione molto
vantaggiosa, poiché sono sovra rappresentati (questo spiega perché siano
attualmente contrari alla riforma del voto).
Secondo le norme di Nizza, la maggioranza è raggiunta se si danno due condizioni:
• i voti espressi rappresentano la maggioranza degli Stati membri
• i voti ponderati sono almeno 255, ovvero il 73,9 % del totale
Si può inoltre chiedere il controllo demografico, ovvero verificare che la
maggioranza rappresenti almeno il 62 % della popolazione totale dell’UE.
Il Trattato di Lisbona ha riformato il sistema della MQ, oltre ad averne esteso
ulteriormente l’uso.
Il nuovo sistema, più semplice del precedente, abolisce la ponderazione dei voti e
introduce il sistema della doppia maggioranza:
• maggioranza degli Stati membri (15 su 27)
• maggioranza della popolazione (almeno il 65 % della popolazione)
Queste regole dovrebbero entrare in vigore nel 2014, tuttavia il trattato prevede che,
fino al 2017, gli Stati possano chiedere di votare con la MQ pre-Lisbona.
E’ comunque rimasto in vigore un meccanismo che ricorda il compromesso di
Lussemburgo: esso permette a uno Stato membro che si sente danneggiato da una
votazione di ottenere una nuova discussione intorno alla questione, fino al
raggiungimento del consenso.
Quali sarebbero le conseguenze delle nuove regole?
• Maggior facilità nel prendere le decisioni
• Più tutelati Stati piccoli e Stati grandissimi (rispetto al metodo precedente)
• Meno tutelati gli Stati medi (Spagna e Polonia) (sempre rispetto al metodo
precedente)
• Problemi in caso di entrata nell’UE della Turchia, che tra pochi anni, a causa
della sua crescita demografica, sarà più popolosa della Germania.
La tendenza alla votazione consensuale
Nella pratica, al di là delle indicazioni del trattato, la MQ non viene usata
frequentemente: tra il 70 e il 90 % delle volte in Consiglio si vota all’unanimità. A cosa
si deve quest’uso larghissimo delle decisioni consensuali?
• Motivi politici: si cerca di non inasprire il confronto, di non imporre ad alcun
Stato membro soluzioni per lui inaccettabili, si cerca compromesso.
• Motivi pratici: si cerca di evitare di creare motivi per mancata
implementazione o applicazione (una legge sgradita potrebbe essere boicottata)
Come si raggiunge il consenso?
• Grazie al CoRePer, cui le decisioni possono essere rimandate per ulteriori
contrattazioni
• Tramite i negoziati tra ministri, anche in via informale
• Attraverso la Presidenza, che media
• Con le “compensazioni laterali”
Il processo decisionale del Consiglio: un bilancio
• Il processo decisionale è piuttosto lungo
• Le decisioni hanno spesso una natura sub-ottimale: si rinuncia a molto pur di
mettere tutti d’accordo, oppure si appesantisce l’atto con cavilli, eccezioni etc.
che lo rendono accettabile, ma anche più pesante e complesso oltre che meno
efficace
• Data la difficoltà, c’è chi ha parlato di “trappola della decisione congiunta”
(Scharpf)
Il declino dell’unanimità
Diversi fattori stanno però lentamente riducendo la preferenza accordata sin’ora alle
decisioni consensuali:
• allargamento: con il continuo aumentare del numero degli Stati membri,
diventa sempre più difficile mettere tutti d’accordo.
• Consapevolezza dell’impatto negativo sulla qualità della legislazione
• Volontà di mettere in pratica le riforme di voto ottenute con tanta difficoltà
L’importanza della MQ
Anche se non viene utilizzata spesso, la MQ ha comunque una ricaduta positiva sul
processo decisionale. Si usa dire che i dibattiti che portano alle decisioni prese
consensualmente avvengono “all’ombra del voto”: gli Stati membri intenti a
negoziare sanno che si potrebbe richiedere di passare alla votazione a MQ da un
momento all’altro, pertanto sono più disposti a fare concessioni.
La formalizzazione del dissenso
Dichiarazioni formali di dissenso rese note durante i dibattiti e, soprattutto, nelle
decisioni finali, da parte dei Ministri in disaccordo con gli esiti del negoziato.
Servono al Ministro per “salvare la faccia” e tutelarsi di fronte al proprio elettorato, e
sono sempre più frequenti: ormai il 45 % delle decisioni vengono prese con una o più
dichiarazioni formali di dissenso.
La trasparenza in Consiglio
Si può dire che il meccanismo decisionale del Consiglio sia tra quelli in cui è più
evidente il deficit democratico dell’UE. Di fatto si tratta di un legislativo dal modus
operandi sostanzialmente diplomatico, cosa che presuppone una certa mancanza
di trasparenza. In realtà sono stati fatti alcuni passi avanti in direzione di una maggiore
apertura dei lavori del Consiglio: sito internet, streaming …
Al contempo c’è chi si chiede se trasparenza e libertà negoziale siano o non siano
due obiettivi che si danneggiano a vicenda.
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IL CONSIGLIO EUROPEO
Il Consiglio Europeo è attualmente un vertice semestrale dei capi di Stato e di Governo
dei Paesi membri dell’UE. Si tratta ovviamente di personalità dal forte mandato
politico. Le decisioni che vengono prese dal Consiglio Europeo non hanno un valore
legislativo, bensì un valore eminentemente politico: ciononostante, come sottolinea
Nugent, il Consiglio Europeo si trova “al cuore stesso della struttura decisionale
dell’UE”: esso svolge un ruolo chiave nella definizione dei parametri generali del
sistema UE.
La storia del Consiglio Europeo
L’esigenza di un polo decisionale
Riunioni informali e non sistematiche dei capi di Stato e di Governo dei Paesi membri
dell’UE avvenivano sin dagli anni ’60, tuttavia è solo in occasione del vertice di Parigi
del ’74 che il Consiglio Europeo viene formalizzato. La proposta fu del Presidente
francese Valery Giscard d’Estaing (conservatore successore di De Gaulle, europeista
convinto), immediatamente appoggiata dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt
(socialdemocratico). Un semplice comunicato, il cosiddetto “Comunicato di Parigi”,
formalizzava in pochi paragrafi le riunioni quadrimestrali del Consiglio Europeo.
Di fatto, la formalizzazione di questa prassi rispondeva a un’esigenza forte, quella di
individuare un nuovo polo decisionale capace di rendere la Comunità più efficiente e
solida, tanto sul piano interno quanto su quello esterno. La Comunità Europea
sembrava infatti,in particolare dopo la “crisi della sedia vuota”, orfana di un’istituzione
che fosse in grado di guidarla, dettare un indirizzo politico di ampio respiro, rispondere
a sfide sempre più ampie e complesse. Di fatto, le decisioni della CE venivano
costruite in contesti segmentati che sembravano incapaci di trovare unità di intenti,
soprattutto perché;
• la Commissione era recentemente stata indebolita dal compromesso di
Lussemburgo, che metteva enfasi sull’intergovernatività dei processi decisionali
• il Consiglio era di fatto paralizzato dalla pratica di procedere solamente
all’unanimità
Altri fattori che contribuivano a spingere verso la formalizzazione del Consiglio
Europeo:
• crisi economica
• allargamento della Comunità (dall’Europa dei Sei all’Europa dei Nove)
Fin dall’inizio, comunque, il Consiglio Europeo viene formalizzato in modo generico:
esso, di fatto, manca di uno status costituzionale o giuridico ben definito, né è chiaro il
suo funzionamento. Inizialmente, il Consiglio Europeo non viene integrato sul piano
formale nel quadro comunitario.
La parabola istituzionale
Il Comunicato di Parigi del 1974 era, come s’è detto, piuttosto vago nella definizione
del funzionamento e del ruolo del Consiglio Europeo. Alcune dichiarazioni del Consiglio
Europeo stesso negli anni successivi (es. Londra 1977) hanno contribuito a dare
qualche chiarimento, ma è solo con l’Atto Unico del 1986 che si perviene ad un suo
riconoscimento giuridico.
Il primo riconoscimento giuridico è l’Atto Unito, che però si limita a ribadire in pochi
paragrafi la composizione del Consiglio Europeo del comunicato del ’74 (Capi di Stato
e di Governo, accompagnati dai Ministri degli Esteri, più il Presidente della
Commissione) e a ridurre il numero dei suoi incontri a due ogni anno (semestrali).
Il trattato di Maastricht porta ad un grado ulteriore di formalizzazione: esso attribuisce
al Consiglio Europeo il compito di definire gli orientamenti politici generali dell’UE e
prevede che la Presidenza del Consiglio Europeo presenti al Parlamento dei rapporti
scritti. Inoltre, al Consiglio vengono conferiti importanti poteri in ambito PESC.
Continua però a mancare una vera e propria istituzionalizzazione del Consiglio
Europeo, che ancora non è incluso tra le “istituzioni” vere e proprie dell’UE ed è
pertanto escluso dall’area di controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia. Questo
aspetto è rimarcato dal fatto che gli articoli in merito al Consiglio sono inseriti nelle
“Disposizioni comuni” e non nel testo del trattato.
Questa situazione si mantiene inalterata fino al trattato di Lisbona (a Nizza ci si limita
a conferire base giuridica ad una prassi ormai già consolidata, ovvero la nomina del
Presidente della Commissione da parte del Consiglio Europeo). E’ solo con il trattato di
Lisbona che:
• le disposizioni relative al Consiglio Europeo vengono inserite nel corpo stesso
del trattato
• il Consiglio Europeo viene istituzionalizzato e diviene quindi soggetto al
controllo della CdG
Inoltre, nel trattato:
• Si esplicita il fatto che il Consiglio è un organo di natura democratica e
democraticamente responsabile
• Si introduce la carica di presidente del Consiglio Europeo semi-permanente,
eletto a MQ e la cui carica è incompatibile con mandati nazionali (in precedenza
il Consiglio aveva un presidenza a rotazione). Il suo ruolo è, almeno de iure,
scarsamente definito.
La composizione del Consiglio Europeo
Attualmente partecipano alle riunioni del Consiglio Europeo:
• capi di Stato e di Governo
• eventualmente: un ministro (degli Esteri o tecnico)
• Presidente del Consiglio Europeo
• Il segretario generale del Consiglio
• Il capo di gabinetto del Presidente del Consiglio Europeo
• Il Presidente del CoRePer II
• Presidente della Commissione
• Il Segretario generale della Commissione
• Se necessario: l’Alto Rappresentante alla politica estera
• Staff tecnico, funzionari del Segretariato, traduttori etc
Di solito il numero totale di partecipanti si aggira intorno al centinaio, anche se
ovviamente non tutti siedono al tavolo.
Prima del trattato di Lisbona nel Consiglio Europeo sedevano:
• capi di Stato e di Governo
• Ministri degli Esteri
A Lisbona, in seguito all’allargamento massiccio del numero di Stati membri, si è
deciso di ridurre il Consiglio Europeo, in cui ora siedono solo i capi di Stato e di
Governo accompagnati, all’occorrenza, da un Ministro (degli Esteri o dell’area
economico-finanziaria).
Il Presidente
Fino al trattato di Lisbona la Presidenza del Consiglio Europeo era tenuta, a rotazione,
da uno Stato membro. Questo poteva essere rischioso, ad esempio nel caso in cui il
semestre di Presidenza coincidesse con una fase difficile per il Paese in questione.
Il Trattato di Lisbona introduce una Presidenza stabile, rivestita da un personaggio
esterno a incarichi nazionali: viene scelto dai membri del Consiglio Europeo stesso (a
MQ) e viene votato ogni 2 anni e mezzo (con mandato rinnovabile una sola volta). Il
suo ruolo è però scarsamente definito dagli articoli del trattato: non possiede poteri
specifici, eccetto quello di convocare speciali riunioni del Consiglio Europeo.
Compiti della presidenza
• presiede il Consiglio Europeo e ne guida i lavori
• assicura la preparazione e la continuità del lavoro del Consiglio in cooperazione
col Presidente della Commissione e sulla base del lavoro del Consiglio Affari
Generali
• facilita la costruzione del consenso nel CE
• presenta un rapporto al PE dopo ogni riunione del CE
• assicura la rappresentanza esterna della UE in questioni di politica estera e di
sicurezza comune “senza pregiudizio per i poteri dell’Alto Rappresentante”
nota bene – Richard Corbett, 2011: il compito del Presidente del Consiglio Europeo
è così difficile che lo descrive così: “come guidare una mandria di gatti”
Nel 2009 uno dei candidati fu Tony Blair (fautore della “terza via”, tra socialdemocrazia
e liberalismo), che però venne escluso dalla corsa. A Blair venne preferito, al primo
giro, il belga Van Rompuy, di basso profilo. Sulla scelta pesò molto la questione della
guerra in Iraq, che aveva spezzato gli equilibri “elettorali” interni all’Unione Europea.
Van Rompuy ha auto-definito il proprio ruolo, ritagliandosi una figura particolare, che
di fatto risulta tratteggiata solo vagamente all’interno dei Trattati.
Il Consiglio Europeo e l’ECOFIN
Le relazioni tra le due istituzioni sono diventati importanti dopo l’avvio dell’UEM: per
questo si è deciso, nel vertice di Siviglia del 2002, di formalizzare la prassi ormai
avviata di permettere ai ministri dell’area economico-finanziaria di presenziare alle
riunioni del Consiglio Europeo in luogo dei ministri degli Esteri. Per la stessa ragione,
normalmente una riunione dell’ECOFIN procede in parallelo con la riunione del
Consiglio Europeo.
La scarsa istituzionalizzazione: cause e conseguenze
Il basso livello di formalizzazione rappresenta un vantaggio per il Consiglio Europeo
perché, dato l’altissimo profilo politico che deriva dalla sua composizione, di fatto gli
permette di operare con maggiore autonomia e informalità .Si può dire che il Consiglio
Europeo abbia cercato di evitare di essere condizionato troppo strettamente dalle
norme e di mantenere il massimo di flessibilità e manovrabilità.
Da ciò deriva una libertà di azione che, coniugata con l’alto grado di autorità detenuta
dal Consiglio Europeo, gli ha permesso di esercitare molti ruoli e funzioni.
Le riunioni del Consiglio Europeo: sede, numero, durata, metodo decisionale
ed esiti
[ Sede ] Le riunioni del Consiglio Europeo si tengono attualmente a Bruxelles,
nell’Europa Building. In precedenza, almeno una delle due riunioni annuali si teneva
nel Paese che esprimeva la Presidenza di turno.
[ Numero ]In origine (e fino al trattato di Lisbona), il Consiglio Europeo era tenuto a
riunirsi almeno due volte l’anno. Sul finire degli anni ’90 inizia a diventare sempre più
frequenta la pratica di indire tre o quattro vertici l’anno (es. con il lancio della
“strategia di Lisbona” nel 200 si introdusse la pratica di indire un summit sul tema in
primavera), finché il trattato di Lisbona non formalizzò l’obbligo di riunirsi due volte a
semestre. Esistono anche vertici straordinari, come avvenne nel 2008 per la crisi in
Georgia o nel 2010 per i problemi di bilancio della Grecia).
L’aumento della frequenza delle riunioni del Consiglio Europeo è sintomatica
dell’importanza del suo ruolo: essa conferma il trend di aumento
dell’intergovernativismo nell’UE, con una graduale sostituzione del Consiglio Europeo
al Consiglio (o alla Commissione) in quanto sede di policy making.
[ Durata ] Il Consiglio Europeo si svolge in circa 2 giorni. La sera prima dell’inizio del
summit, i Capi di Governo si trovano per una cena “informale”. Si cerca di far sì che la
riunione si mantenga su un piano il più possibile informale, sebbene sia di fatto
impossibile (complice anche l’allargamento).
[ Metodo decisionale ]Le decisioni, normalmente, vengono prese per consenso, senza
che vengano sottoposte al voto. Sono previsti rari casi che prevedono l’uso di regole
decisionali specifiche (ad es. l’unanimità per la difesa, la MQ per le nomine) ma, di
fatto, non vengono mai utilizzate. Il trattato di Lisbona stesso certifica questa pratica.
[ Esiti ] Le Conclusioni del Consiglio Europeo sono il documento che riporta gli esiti
decisionali del vertice. Dal momento che il Consiglio Europeo non ha alcun titolo per
esercitare funzioni di tipo legislativo, le sue Conclusioni hanno solo un valore politico,
sebbene rilevante, ma non legale .
Dopo ogni vertice si tiene una conferenza stampa della Presidenza e dei capi di
governo in cui le Conclusioni vengono presentate ai media. Successivamente, il
Presidente del Consiglio Europeo e il Presidente della Commissione presentano al PE i
risultati del summit.
Le caratteristiche del Consiglio Europeo
• Autorità: dal momento che gran parte dei componenti del Consiglio Europeo
(quelli che, di fatto, detengono il potere effettivo) sono capi di Stato e di
Governo e detengono molta autorità, le decisioni dell’organo, pur non
legalmente vincolanti, hanno un peso politico decisivo.
• Informalità: nonostante le difficoltà connesse con l’allargamento, con la
composizione numericamente importante del Consiglio Europeo e con la
delicatezza dei temi trattati, si cerca di far sì che le riunioni siano informali.
Questa caratteristica originaria, che il Consiglio Europeo aveva inizialmente, è
destinata a venir meno in modo sempre più vistoso.
• Flessibilità: a lungo il Consiglio, complice la sostanziale indeterminatezza
giuridica della sua posizione, non ha avuto delle regole procedurali vere e
proprie. Anche dopo la loro introduzione a Lisbona, le norme vengono osservate
con flessibilità, nell’ottica di preservare, per quanto possibile, l’informalità dei
vertici.
• Diseguaglianza di fatto (contro l’eguaglianza formale): l’informalità rende
più vistose delle situazioni de facto che una prassi più formalizzata avrebbe
quanto meno celato. Pertanto, sebbene tutti i capi di Stato e di Governo siano
ufficialmente considerati come eguali (appunto data l’essenza intergovernativa
dell’istituzione), il ruolo giocato dalle differenze di peso politico o economico
degli Stati (ed anche dalla seniority e autorità dei loro rappresentanti) è
piuttosto marcato in sede di contrattazione.
Le funzioni del Consiglio Europeo
• orientamento strategico dell’UE, indirizzo politico alle altre istituzioni
• funzioni decisionali (non previste in origine, ma sviluppate di fatto): il Consiglio
Europeo prende le decisioni quando non si riesce a raggiungere un accordo a
livelli più bassi.
• funzioni relative al metodo del coordinamento aperto (OMC): cfr. Lisbona 2000
(strategia di occupazione e welfare). La strategia Europa 2020 assegna
esplicitamente al Consiglio Europeo la valutazione dei progressi compiuti. L’OMC
viene utilizzato sia per politiche settoriali (Conferenza di Bologna, es. CFU), sia
per strategie globali comprendenti progetti di riforme istituzionali “interne”.
• politica estera (linee di base per definire politica europea di vicinato)
• riforma dei trattati
L’agenda del Consiglio Europeo: quali generi di tematiche tratta?
Come s’è detto, il Consiglio Europeo gode di una vasta libertà di scelta delle proprie
attività, complici la vaghezza della legislazione in merito e l’alta statura dei suoi
componenti. Pertanto, le attività del Consiglio Europeo tendono a variare in funzione
delle circostanze o degli obiettivi dei capi di Stato e di Governo: ad esempio, negli anni
’70 il Consiglio agì da traino del processo di integrazione e dedicò molto tempo all
discussioni generali sui maggiori problemi economici e monetari, laddove negli anni
’80 dominati dalla Thatcher l’interesse per problemi di natura redistributiva fece sì che
il Consiglio sì concentrò su dettagliate procedure decisionali. Secondo Nugent
attualmente è ancora in corso la tendenza che ha iniziato a svilupparsi alla fine degli
anni ’80, che vede il Consiglio Europeo nei panni di una sorta di consiglio di
amministrazione : stabilisce il quadro generale e prende decisioni sulle iniziative
maggiori, ma lasciando la parte applicativa nelle mani di Consiglio dei Ministri e
Commissione.
Attualmente i settori o argomenti principali di cui si occupa il Consiglio Europeo si
possono raggruppare in cinque categorie:
• Evoluzione dell’Unione Europea: in Consiglio vengono trattate le discussioni
riguardanti i criteri di allargamento e le eventuali annessioni. Inoltre, è in
Consiglio che si trattano le crisi istituzionali di vasta portata.
• Questioni istituzionali o costituzionali:
sviluppo e riforma dei trattati (cfr. Vertice di Milano,
o 1985, decisivo per l’AUE), problemi ad essi connessi
(fallimento referendum irlandese del 2008 e
conseguenti trattative per la correzione del trattato)
nomine (presidenza del Consiglio Europeo, Alto
o Rappresentante PESC, propone al PE un nome per la
presidenza della Commissione …)
• Politiche economiche e monetarie dell’UE: fino agli anni ’90,la divergenza tra gli
Stati membri circa le misure da prendere e l’assenza di una disponibilità
collettiva alla condivisione delle scelte di politica economica, faceva sì che
decisioni afferenti a questa sfera si risolvessero in mere esortazioni prive di
effettive ricadute. E’ stato solo con la UEM e poi con la strategia di Lisbona che
il Consiglio Europeo divenne effettivamente una sede di policy making
economico strategica, dal momento che entrambe richiedono un certo
coordinamento. Anche la crisi economica del 2008 ha reso necessaria una
risposta del Consiglio Europeo.
• Relazioni esterne
Decisioni relative al coordinamento della posizione dell’UE rispetto a
o negoziati internazionali (G8, G20, WTO … )
Relazioni della UE rispetto ad altre potenze economiche
o Da Maastricht in poi, il Consiglio Europeo ha un ruolo di guida sulla
o direzione generale della politica estera e di sicurezza
Il Consiglio Europeo è autorizzato a rilasciare dichiarazioni su aspetti
o chiave della politica internazionale, talvolta accompagnate da strumenti
politici (es. sanzioni o aiuti economici)
cfr. Libia 2011, Georgia 2008
• Specifici problemi di policy: nonostante l’intenzione originaria di fare del
Consiglio Europeo la sede di decisioni di tipo ampio e generale, esso si occupa
anche di problemi delicati specifici che richiedono decisioni al massimo livello
(es. 1996, divieto esportazione carne bovina britannica a causa dell’alta
incidenza di encefalopatia spongiforme) oppure di problemi di carattere
generale che richiedono approccio intersettoriale che solo il Consiglio Europeo è
in grado di formulare (es. Patto per l’Immigrazione – ratificato nel Consiglio
Europeo del 15-16 ottobre 2008). Spesso si tratta di questioni lasciate irrisolte
dai consigli settoriali.
Gli interventi del Consiglio Europeo in merito possono essere:
Propositivi di nuove politiche
o Di indirizzo rispetto alle attività di Consiglio o
o Commissione
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Il PARLAMENTO EUROPEO
L’esistenza di un Parlamento eletto direttamente dai cittadini degli Stati membri (e
dunque pienamente legittimato) costituisce un’anomalia dell’UE rispetto alle
organizzazioni internazionali.
Nel corso del tempo i poteri e le responsabilità del PE sono cresciuti: attualmente, il PE
è co-legislatore in molte materie, tanto che si può parlare, per l’UE, di un legislativo
bicamerale (sebbene anomalo). Vistoso è stato l’aumento dei suoi poteri anche per
quanto riguarda la nomina dei Commissari. Infine, si sono rafforzati i suoi poteri di
controllo.
L’elezione del PE
L’Assemblea Parlamentare originaria, prevista nella CECA e replicata poi anche per
Euratom e CEE, era un’assemblea di secondo livello (composta da delegazioni dei
Parlamenti nazionali). Tale fisionomia doveva essere però solo transitoria: l’art 138 del
trattato CEE prevedeva che l’Assemblea Parlamentare elaborasse un progetto per la
sua elezione a suffragio universale diretto e provvedesse a definire la legge elettorale,
(l’articolo lasciava però al Consiglio di deliberare all’unanimità le disposizioni per
raccomandare agli Stati membri di indire le elezioni). Nonostante il formale intento di
riforma, per molti anni l’Assemblea mantenne la sua fisionomia originaria, soprattutto
perché l’istituzione di un organismo eletto direttamente dai cittadini avrebbe spostato
l’equilibrio di legittimità. Fu solo nel 1976 che si decise di procedere con le prime
elezioni dirette del PE, che si tennero poi nel 1979.
Con l’attuale sistema, l’elezione dei parlamentari del PE è diretta, però la legge
elettorale non è uniforme in tutta l’area UE. Fino al 1998 le leggi elettorali differivano
anche per il modello adottato – maggioritario o proporzionale – e fu solo nel 1998, in
seguito alla riforma elettorale in Gran Bretagna, che si poté procedere con l’adozione
di un modello uniforme (proporzionale).
Attualmente quindi le leggi elettorali per la nomina degli eurodeputati sono
proporzionali in tutti gli Stati membri, tuttavia permangono differenze nazionali che
determinano una scarsa uniformità di fatto:
• età a cui si accede al voto (18 anni nella maggior parte dei casi, ma 16 in
Austria ad esempio)
• differenza nei collegi elettorali (collegio unico per Paesi piccoli, collegi grandi
per UK e Italia, piccoli per la Spagna … )
• soglie di sbarramento
Incompatibilità
Nel 1976, in previsione delle prime elezioni a suffragio diretto, venne stabilita
l’incompatibilità tra la carica di eurodeputato e alcune cariche nazionali o comunitarie:
• Ministro di Governo nazionale
• commissario
• giudice o avvocato generale della Corte di Giustizia Europea,
• funzionario comunitario
Dal 2002 la carica di europarlamentare è incompatibile anche con le seguenti cariche:
• membri del Tribunale di prima istanza,
• membri del direttorio della CE
• Ombudsman europeo.
Nella stessa occasione venne proibito a livello europeo anche il “doppio mandato”:
in precedenza tale questione era stata lasciata alla legislazione nazionale e quindi era
pratica comune in alcuni Stati (Italia, Francia), generando assenteismo. Attualmente,
anche la carica regionale è incompatibile con il mandato europeo.
La partecipazione alle elezioni
Nonostante la parabola di aumento dell’importanza del PE tanto nel processo di policy
making dell’UE quanto nel suo ruolo di organismo di controllo, nel corso degli anni si è
verificato un significativo calo nel livello di partecipazione dei cittadini alle elezioni
europee.
• Dal 1999 è meno del 50 % degli aventi diritto a votare.
Nell’ultima tornata (2009) è stato superato di poco il 40 %.
La media europea di partecipazione al voto: dal 62 % degli aventi diritto (1979) al
40 % circa (2009).
Osservazioni sulla geografia del voto
1. Il calo della partecipazione elettorale alle Europee non riguarda solo l’Italia ma
in generale tutta l’UE, pur con qualche eccezione come Malta, Belgio,
Lussemburgo (ma in questi ultimi due vige il “voto obbligatorio”, con sanzioni
per chi non si reca alle urne).
2. Sicuramente il vecchio trend, nel quale i Paesi in cui si votava di più per le
elezioni europee erano quelli del Sud Europa e l’Irlanda, è stato ormai
abbandonato.
3. Anche Danimarca e Svezia hanno visto una partecipazione maggiore della
media negli ultimi anni, tuttavia la motivazione è principalmente
l’euroscetticismo dei loro elettorati, che spinge a votare per tenere sotto
controllo la situazione eleggendo rappresentanti altrettanto euroscettici.
4. Tra gli Stati che fanno parte dell’UE da più tempo, è la UK ad avere la
partecipazione più bassa alle tornate elettorali.
5. Anche negli Stati di recente adesione – Lituania, Slovenia, Bulgaria – l’affluenza
alle urne è scarsa.
6. Sicuramente è grave che si registri un calo non indifferente anche nei paesi
fondatori e anche in paesi tradizionalmente molto legati alla sfera europea.
Come spiegare questo calo?
In parte si può ricondurre a fattori generali che riguardano anche le elezioni politiche
nazionali (anch’esse interessate da questo calo della partecipazione elettorale), ad
esempio
• Cinismo
• Vecchiaia della popolazione
• Disaffezione alla politica
Esiste però un problema specifico delle elezioni europee, che registrano percentuali
di elettori significativamente più basse di quelle nazionali
Ad es. in Italia:
Comunali del 2009: 77 % aventi diritto
Provinciali del 2009: 69 % degli aventi diritto
Europee del 2009: 65 % aventi diritto
Negli ultimi anni sono state fatte diverse analisi di questo fenomeno, nel tentativo di
individuare le ragioni che portano tanto all’astensione involontaria (non motivata
da specifiche ragioni politiche) tanto all’astensione volontaria
Astensione involontaria
Incidono sull’affluenza alle urne fattori come:
• obbligatorietà o non obbligatorietà del voto
• data delle elezioni (giorno feriale o giorno festivo)
• durata delle elezioni (1 giorno o 2 giorni)
• abbinamento delle elezioni europee ad altre elezioni nazionali
Astensione volontaria
Ci sono diverse motivazioni possibili:
• Volontà di esprimere con il non-voto orientamenti euroscettici consapevoli
• Sfiducia nei confronti della politica
• Mancanza di informazione o ignoranza sul PE e sull’UE in generale da cui deriva
scarsa consapevolezza dell’importanza del voto
• Insoddisfazione nei confronti del PE e del suo operato
Un’analisi più specifica e approfondita è quella proposta da Schmitt e Reif negli anni
’90. I due politologi definiscono le elezioni europee come “second rate elections”,
ovvero
• Elezioni che gli elettori percepiscono come meno importanti e i cui esiti
sembrano meno cruciali in quanto meno direttamente in grado di incidere sulla
vita degli elettori
• Elezioni per le quali, conseguentemente, gli elettori applicano una logica di voto
diversa rispetto a quella delle “first rate elections”, e diversa su due piani:
se votare o no
in base a cosa votare e dunque chi votare nelle second rate
elections gli elettori sono portati a scegliere a chi dare il proprio
voto in modo diverso dal solito: prevalgono il voto di protesta
(classicamente le opposizioni prendono più voti alle europee dei
partiti governativi) o il voto dato a partiti “single issue”, ovvero dai
programmi ristretti e specifici (es. quelli ambientalisti).
Questo perché l’elettore non ha la sensazione di stare nominando
coloro che lo governeranno e quindi è propenso a votare con
obiettivi diversi.
Secondo il modello proposto, i risultati tipici delle second rate elections sono:
• scarsa affluenza
• migliori risultati dei partiti piccoli, nuovi o di protesta
• alto numero di schede bianche o nulle
• prestazioni migliori per le opposizioni e peggiori per i partiti governativi rispetto
alle politiche
Confrontando questo schema con i dati effettivi delle elezioni europee il risultato è
piuttosto persuasivo: le elezioni europee sembrano corrispondere al modello di second
rate elections.
Tentativi di soluzione
Naturalmente il PE non è rimasto indifferente al problema del calo dell’affluenza alle
urne, anche perché questo mina alla base la sua legittimità, il puntello principale della
sua forza. Pertanto, in vista delle elezioni europee del 2009 il PE ha lanciato una
campagna istituzionale che cercava di dare visibilità alla dimensione europea e di
dimostrare ai cittadini la salienza dell’UE nella loro vita (si cercava così di ovviare alla
radice del problema, ovvero la sensazione che le elezioni europee siano
sostanzialmente irrilevanti quanto l’UE).
NOTA BENE – Equilibri di genere negli eletti: in tutta Europa le donne sono circa il 35 %
degli eletti, sebbene ci siano Paesi in cui si raggiunga la parità.
Il sistema partitico dell’UE
Le elezioni europee, come s’è detto, avvengono a livello nazionale, con leggi elettorali
nazionali (sebbene accomunate tutte dal sistema proporzionale), sulla base di liste
fondate sui partiti nazionali.
Pertanto, le liste sono molto numerose e diversificate e, complici anche le logiche di
voto delle second rate elections, gli eletti appartengono ad un panorama politico
particolarmente sfaccettato, in cui sono rappresentate forze politiche molto diverse
ascrivibili a due grandi categorie:
• partiti classici, originari, che replicano le famiglie ideologiche nazionali
(comunisti, social-democratici,cristiano-sociali …)
• partiti “single issues” che esprimono istanze singole, nuove o relativamente
nuove (ambientalismo, xenofobia, nazionalismo … )
Come si può studiare il sistema partitico UE?
Ci si può servire degli strumenti e delle categorie analitiche che si usano nello studio
dei sistemi partitici nazionali, ad esempio:
• grado di frammentazione
• grado di polarizzazione o distanza ideologica (cfr. la distinzione fatta da Sartori,
che parlava di sistemi politici moderati o polarizzati)
• cleavages, linee di frattura: cosa distingue i partiti? Quella tradizionale è
destra/sinistra, ma ce ne sono molte altre possibili: città/campagna; partiti
religiosi/partiti laici etc; nel caso europeo l’altra grande linea di frattura è quella
europeisti/euroscettici.
Le caratteristiche del sistema partitico UE
• Alto grado di frammentazione: dovuto al fatto che le elezioni si svolgono su
base nazionale e agli esiti della logica delle second rate elections
• Esistenza di due linee di frattura:
Destra vs Sinistra
o Europeisti (più integrazione) vs Euroscettici (meno integrazione)
o
Questo fra sì che partiti dai contenuti molto simili sul piano delle distinzione tra
destra e sinistra siano distanziati dall’approccio nei confronti dell’Europa.
cfr. Cristiano democratici (europeisti) e Conservatori UK (euroscettici)
I partiti europei o Europartiti
Con l’espressione “partiti europei” si designano solitamente due cose:
• i gruppi politici nel PE, attori principali nel processo politico, detti anche
“partiti interni” (livello parlamentare)
• le federazioni transnazionali partitiche, attualmente deboli ma in via di
rafforzamento, detti anche “partiti esterni” (livello extra-parlamentare)
I partiti interni
Nel PE gli eletti si aggregano in gruppi politici che travalicano l’appartenenza partitica
in senso stretto per diverse ragioni:
• ci sono spesso elementi di somiglianza o affinità che possono legare anche
eletti appartenenti a partiti di nazioni diverse
es. i partiti di ispirazione cristiano-sociale
es. i partiti ambientalisti
• è il regolamento del PE stesso a incentivare questa tendenza:
l’appartenenza a gruppi politici è condizione
o necessaria per ricoprire determinate cariche: di fatto i
lavori parlamentari sono organizzati intorno ai gruppi
politici
i fondi sono attribuiti ai gruppi politici e sono
o proporzionali al numero dei loro membri
pertanto, i singoli parlamentari sono spronati a
unirsi a gruppi politici e i gruppi politici sono
incoraggiati ad accettare nuovi membri, anche a
discapito dell’omogeneità politica.
Regole per l’istituzione di un gruppo politico
• Devono essere rappresentati almeno 7 Stati membri per gruppo politico
• Devono esserci almeno 25 deputati per gruppo
• I gruppi devono basarsi sull’affinità politica
• I gruppi sono mutuamente esclusivi
• La formazione del gruppo deve essere dichiarata al Presidente e pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale
I partiti interni: una rassegna
• PPE (Partito Popolare Europeo)
Attualmente è il primo partito del PE
o Orientamento: centrodestra, cristiano-democratico, europeista
o Fino al 2009 comprendeva anche i conservatori UK, che hanno poi deciso
o di distaccarsi formando un gruppo a parte, l’ECR.
Attualmente le componenti più forti del PPE sono quelle tedesca e
o italiana, mentre il Presidente del gruppo è il francese Joseph Daul.
• ECR (Conservatori e riformisti europei)
Formato prevalentemente da conservatori UK, che detengono anche la
o Presidenza (Martin Callan), ma con forti componenti polacche e ceche
Si definisce euro-realista, è di fatto euroscettico
o Attualmente consta di circa 50 membri
o
• PSE (Partito socialista europeo)
Fino al 1999 fu il primo partito, declina nel 2004 e poi crolla nel 2009.
o Riunisce tutti i partiti di ispirazione social-democratica, tendenzialmente
o europeista (soprattutto da quando esiste una politica sociale europea)
L’attuale Presidente è l’austriaco Swoboda.
o
• ALDE (Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa)
Liberal-democratici e radicali europei, racchiude tutti i partiti liberali e
o democratici di centro
E’ stata una delle famiglie politiche più importanti per l’integrazione
o europea, tuttora è molto europeista
Attuale presidente: Guy Verhofstadt
o
• VERDI – Libera alleanza per l’Europa
Gruppo politico la cui importanza è senz’altro maggiore a livello europeo
o che a livello nazionale
Creato nel 1999 da partiti ambientalisti e rappresentanti delle minoranze
o Molto composito, la componente più forte è quella dei verdi tedeschi
o Molto europeista, grande attenzione per le questioni di genere (es.
o co-presidenza, attualmente i presidenti sono il francese Cohn-Bendit e la
tedesca Harms)
• GUE – NGL (gruppo confederato delle sinistre unite – Sinistra verde nordica)
Partiti comunisti e verdi no global, soprattutto nord-europei
o Più critici nei confronti dell’Europa rispetto ai Verdi
o Presieduto dalla tedesca Zimmel
o
• EFD (Europa della libertà e della democrazia)
Populismo euroscettico
o Forte anti-islamismo, contrario a “open borders”
o Non molto ampio: attualmente ha 32 parlamentari
o Composto soprattutto da:
o • Ukip
• Lega Nord + Magdi Allam
• Veri finlandesi
• Partito popolare danese (populista)
Le federazioni transnazionali o partiti esterni
Sono i cosiddetti “partiti esterni”, ovvero forme di organizzazione transnazionali che
collegano partiti nazionali affratellati tra loro sulla base di un’affinità ideologica. Il
trattato di Maastricht riconosce loro un’importanza decisiva, definendoli “importanti
fattori dell’integrazione nella UE”.
Attualmente sono:
• Partito Socialista Europeo
• Federazione dei Partiti Liberali
• Partito Popolare Europeo
Le loro caratteristiche:
• Creati alla fine degli anni ’70 (in vista delle prime elezioni del PE)
• Hanno un ruolo di coordinamento dei partiti nazionali (es. piattaforma comune
per l’elezione del PE)
• Sono organismi di secondo livello: gli individui vi partecipano tramite il loro
partito nazionale
• Comprendono anche partiti di Paesi non UE o dei Paesi candidati
• Secondo quanto stabilito da un regolamento entrato in vigore nel 2003,
ricevono i finanziamenti dall’UE.
I finanziamenti
Fino al 2003, i partiti esterni europei traevano il loro finanziamento e lo staff dai gruppi
politici nel PE. Una sentenza della Corte nel 2000 ha stabilito che questa prassi era
illecita. Tre anni dopo, in seguito all’introduzione della MQ per quanto riguarda le
decisioni relative agli euro partiti (trattato di Nizza), si introdusse un regolamento che
disciplina i finanziamenti. Secondo il regolamento, un euro partito può accedere ai
finanziamenti dell’UE solo se:
Ha personalità giuridica nel paese in cui ha sede.
o Ha dei membri eletti al PE , nei parlamenti Nazionali o regionali in almeno
o ¼ degli stati membri (7 paesi) oppure ha ottenuto almeno il 3% dei voti in
un quarto degli Stati membri (7 Paesi) nelle ultime elezioni al PE
Il suo programma e attività devono rispettare I principi democratici e di
o rispetto per i diritti umani e legalità
Partecipa alle elezioni al PE o esprimere le intenzioni di farlo
o
Le modalità di finanziamento devono rispettare i seguenti criteri:
• Ogni partito deve finanziare almeno ¼ del suo bilancio annuale con risorse
proprie (onde evitare l’eccessiva dipendenza dal finanziamento pubblico)
• I partiti membri possono ancora contribuire al finanziamento, ma solo in misura
non superiore al 40% del bilancio del partito.
Le risorse vengono così distribuite agli europartiti:
• Il 15 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento ai partiti viene
distribuito in parti uguali tra i partiti che soddisfano le condizioni di eleggibilità
(155-160.000 € a ciascun partito)
• Il restante 85 per cento deve essere distribuito in proporzione al numero degli
eletti al PE (12.000 circa per membro)
Ruolo e forza degli euro partiti
Si può parlare di veri e propri “partiti europei”, intesi come partiti in grado di svolgere
a livello europeo quelle funzioni di selezione della leadership politica, di aggregazione
della domanda politica, di integrazione “verticale” dei cittadini nella polity europea che
i partiti politici hanno svolto e svolgono nei sistemi politici nazionali?
Generalmente i partiti hanno un’importante funzione integrativa, trasmettono idea di
cittadinanza condivisa (questo vale soprattutto per i partiti di massa). Di sicuro in un
contesto in divenire come quello europeo sarebbero utili dei partiti forti e in grado di
esercitare le stesse funzioni dei partiti nazionali.
Come stabilire se e quanto gli euro partiti rispondono a questo ruolo?
E’ possibile riflettere sul tema attraverso alcuni stimoli:
• verificando se i partiti europei sono avviati su un percorso di
istituzionalizzazione
• facendo un confronto tra partiti europei e partiti nazionali, capendo qual è il
grado di autonomia dei secondi rispetto ai primi e qual è la sede in cui vengono
effettivamente prese le decisioni
L’esito di questo genere di analisi rivela che, sebbene esista un trend di rafforzamento,
gli Europartiti rimangono piuttosto deboli rispetto ai partiti nazionali.
I politologi Svasand e Randal, nel 2002, hanno proposto un modello di analisi del
livello di istituzionalizzazione dei partiti europei. Tale modello si basa su quattro
dimensioni o parametri:
• due parametri interni: sistematicità e infusione di valori
• due parametri esterni: autonomia decisionale e reificazione
Queste due categorie di parametri sono ulteriormente incrociabili con:
• struttura
• atteggiamento
Il risultato dell’incrocio dei parametri è una tabella che fornisce un’utile architettura
analitica.
Ciascun parametro si può analizzare in modo individuale:
• Sistematicità: riguarda la crescita della densità, dell’ambito e della regolarità
delle relazioni che costituiscono un partito. Un partito ad alta sistematicità ha
congressi stabili, organi capillari etc.
Si può parlare di una crescita di sistematicità da parte degli Europartiti,
o avviata negli anni ’90 e concretizzatasi con l’istituzione di Congressi,
Comitato Esecutivo, Presidenza.
Anche alcune pratiche segnalano una tendenza alla sistematicità, ad
o esempio:
prima dei summit del Consiglio Europeo si tiene un summit dei
leader nazionali dei partititi del Partito Socialista Europeo;
sempre per quanto riguarda il PSE, le decisioni interne degli organi
sono prese a maggioranza (maggiore sovranazionalità).
Più in generale: prima delle elezioni europee i partiti europei
elaborano delle piattaforme comuni che possono essere solo
indicative (es. PPE) o anche abbastanza vincolanti (ad es. nel PSE
non c’è opt-out, il che vuol dire che i singoli partiti nazionali non
possono sostenere posizioni incompatibili con la piattaforma
comune)
• Autonomia: relazione di tipo strutturale con il proprio ambiente, capacità di
differenziarsi rispetto ad altri organi dell’ambiente stesso. Gli altri organi
dell’ambiente sono, per gli Europartiti, i partiti nazionali e i partiti interni.
Si può individuare in merito al rapporto tra i partiti interni e gli Europartiti
o una crescita del livello di autonomia di questi ultimi: ad es. il regolamento
2003/4 accentua la loro autonomia finanziaria e permette l’esistenza di
uno staff proprio.
Al contempo però permangono forti elementi di scarsa autonomia: in
o particolare, la selezione dei candidati avviene tramite i partiti nazionali,
cosa che determina il mantenimento di un legame privilegiato tra eletti e
partito nazionale.
• Infusione di valore: indica il grado in cui le identità e le lealtà sono dirette al
partito europeo.
Essendo i partiti europei organi di secondo livello, la membership e il
o legame di fiducia sono indiretti: ad essere infuso di valore è il partito
nazionale.
Ci sono parziali eccezioni che non alterano la sostanza della cosa, ad es.
o ELDR permette anche la membership diretta.
• Reificazione: grado in cui il pubblico di massa è a conoscenza e ritiene
importante il partito europeo.
In merito, è la natura stessa delle elezioni europee a rendere difficili
o cambiamenti alla situazione attuale, in cui i partiti europei sono in media
poco noti, poco considerati e poco valutati dai cittadini.
PES e VERDI hanno cercato di rafforzare il loro livello di reificazione con
o dei programmi comuni in vista delle elezioni europee del 2990, ma
situazione è rimasta pressoché invariata.
Si può quindi parlare in generale di un lento processo di istituzionalizzazione e
rafforzamento degli Europartiti che tuttavia, visti più da vicino, mantengono un profilo
sostanzialmente sfumato.
La coesione
Un altro parametro utile per valutare se e quanto i partiti europei sono istituzioni forti
in relazione ai gruppi politici è misurare il loro grado di coesione.
In merito ci si può rifare al paradigma interpretativo suggerito da Samuel Huntington
nel suo “Ordine politico e cambiamento sociale”. Nel testo l’autore elenca gli indicatori
della forza di un’istituzione, come ad esempio:
• autonomia
• flessibilità
• coesione
Per “coesione” si intende: capacità dei membri di ritrovarsi su finalità e
comportamenti condivisi.
Nel caso di un partito, la coesione si manifesta eminentemente attraverso il voto. E’
quindi possibile valutare il grado di coesione degli Europartiti analizzando il voto al
PE e verificando in che misura i membri dello stesso Europartito votano allo stesso
modo.
Generalmente si può dire che il comportamento di voto degli Europartiti sia
• Meno uniforme di quando avvenga in sistemi unitari
• Più organico di quanto avvenga in sistemi federali o confederali
Questo perché:
• generalmente gli eurodeputati sono chiamati a votare su questioni meno
divisive rispetto a quelle discusse nei parlamenti nazionali (es. aspetti tecnici o
molto minuti); tanto che, nel momento in cui si sottopongono al PE questioni più
delicate e divisive anche il voto degli Europartiti tende a spezzarsi di più (es.
direttiva Bolkestan).
• Il contesto istituzionale in cui gli euro partiti operano e la loro fisionomia non
stimolano la coesione:
i partiti non insediano l’esecutivo, viene quindi meno una ragione di
o coesione
il legame di fedeltà del deputato è soprattutto o esclusivamente rispetto
o al partito nazionale: in caso di conflitto di lealtà, il deputato tende a
sacrificare la coesione rispetto all’Europartito adeguandosi alle direttive
del partito nazionale
eterogeneità ideologica dei gruppi: le regole (in particolare
o l’assegnazione dei finanziamenti) spingono ad aggregarsi soprassedendo
sulle differenze ideologiche
Si può dire che il grado di coesione medio degli Europartiti sia almeno in parte dovuto
alle condizioni in cui essi operano.
Organizzazione dei lavori nel PE
Le sedi
Normalmente il Plenum si riunisce a Strasburgo, anche se occasionalmente si riunisce
a Bruxelles. Le Commissioni parlamentari hanno sede a Bruxelles per due settimane al
mese perché si interfacciano con la Commissione e, infine, il Segretariato del
Parlamento Europeo ha sede a Lussemburgo.
Strutture organizzative
Presidente del PE e bureau di presidenza
Il Presidente del PE: eletto all’inizio della legislatura a maggioranza assoluta e
rinnovato a metà legislatura. Normalmente la carica ruota tra i due gruppi più grandi
per due anni e mezzo: il primo appartiene al gruppo politico più grande, il secondo al
secondo gruppo politico per consistenza. Di solito la rotazione avviene tra PPE e PSE,
ma nel quinquennio 1999-2004 la rotazione avvenne tra PPE e ALDE.
Ruolo del Presidente:
• dirige le attività del PE
• rappresenta il PE alle riunioni di altre organizzazioni (es. seduta di apertura del
Consiglio Europeo)
Vicepresidenti
Sono 14, scelti tra i gruppi politici principali. Tra loro vengono scelti i membri dei
Comitati di Conciliazione previsti dalla procedura legislativa ordinaria.
Altri organismi:
• Collegio dei questori: con funzioni amministrative.
• Conferenza dei presidenti : formata dai capigruppo dei gruppi politici del PE
e dal Presidente del PE : prepara l’agenda dei lavori del PE e propone la
composizione dei gruppi parlamentari
• Conferenza dei presidenti delle commissioni parlamentari: si riunisce
almeno 2 volte al mese per verificare l’andamento dei lavori parlamentari. Le
riunioni sono trasmesse in streaming.
Le Commissioni parlamentari
Sono estremamente importanti, dal momento che, come avviene del resto anche per
altre assemblee parlamentari ampie e dall’agenda complessa, rappresentano la vera
sede di attività legislativa.
Esistono 20 Commissioni permanenti, ma possono anche essere create
commissioni temporanee o ad hoc. Le Commissioni più importanti sono: Affari
Esteri, Bilancio, Mercato interno, Agricoltura.
Alla prima sessione del neoeletto PE si determinano numero, consistenza e
compiti delle Commissioni.
Ogni europarlamentare fa parte di almeno una Commissione.
Hanno ampiezza variabile: tra 20 e 66 membri a seconda dell’importanza della
materia.
Naturalmente, per i Paesi più grandi è strategico occupare ruoli chiave nelle
Commissioni più grandi.
La loro composizione partitica è proporzionale rispetto al PE. Le presidenze e le
vice-presidenze delle commissioni parlamentari sono assegnate secondo un
accordo di spartizione tra i gruppi politici, che scelgono quali commissioni
presiedere in un ordine determinato dall’ampiezza del gruppo politico.
Con eccezioni (ad es. Commissione ambiente), la tendenza è quella di non
accumulare seniority: gli europarlamentari di solito siedono in commissioni
diverse da una legislatura e l’altra (ricambio elevato).
Si riuniscono almeno due volte al mese.
I compiti delle Commissioni parlamentari
Le Commissioni agiscono tanto in sede referente quanto in sede deliberante, sebbene
sia più forte il loro ruolo in sede referente. Nello specifico:
• In sede referente (analisi delle proposte legislative): nel momento in cui la
Commissione indirizza una proposta legislativa al PE, questa viene smistata alla
Commissione parlamentare competente per un esame. Quindi, la commissione
parlamentare presenta una relazione all’aula. La figura che segue l’iter della
proposta e presenta la relazione all’aula è detta rapporteur.
• In sede deliberante (approvazione delle proposte legislative): in circostanze
specifiche e limitate (su proposta della conferenza dei presidenti e voto
favorevole del PE dei 9/10 dei votanti).
Il ruolo delle Commissioni nei Comitati di Conciliazione
La procedura legislativa ordinaria prevede che, qualora non si pervenga ad un accordo
tra PE e Consiglio entro la seconda lettura, si istituisca un Comitato di Conciliazione
composto da membri del PE e membri del Consiglio. Di questi Comitati fanno parte il
Presidente della Commissione parlamentare competente e il rapporteur della proposta
legislativa.
Commissioni parlamentari e lobbying
Essendo le Commissioni la sede in cui avviene il grosso del lavoro legislativo, con il
crescere dell’importanza del PE, cresce anche il livello di lobbying cui le Commissioni
parlamentari sono sottoposte.
Le Commissioni ad hoc: un esempio
La Commissione su crimine organizzato, riciclaggio etc presieduta da Sonia Alfano
(ALDE). E’ stata creata nel 2012 per un anno, rinnovabile, e si pone come obiettivo
quello di studiare il problema in una prospettiva europea e progettare un piano di
azione.
Altre strutture e organismi del PE
Il PE dispone anche di altre strutture o altri organi che svolgono funzioni diverse
(restando però tendenzialmente meno coinvolti con il legislativo):
• Delegazioni del PE
Gruppi parlamentari creati ad hoc, ad esempio in occasione di circostanze di
crisi o problematiche specifiche.
• Delegazioni inter-parlamentari
Delegazioni del PE e dei parlamenti di Paesi terzi in vista di azioni comuni o di
trattati di associazione.
• Intergruppi
Gruppi trasversali che attraversano i singoli gruppi politici su questioni
particolari, es. intergruppo federalista
Le funzioni del PE
Le funzioni del PE somigliano a quelle di un Parlamento nazionale, ma affievolite,
esercitate in forma molto più debole.
Un elenco:
• funzione legislativa (e controllo del bilancio)
• funzione di controllo sull’operato delle altre istituzioni comunitarie
• funzioni di nomina o insediamento di cariche o istituzioni dell’UE
• funzioni di sviluppo istituzionale (partecipazione sempre più attiva del PE : se in
origine ogni passo avanti veniva concordato e deciso nelle IGC lasciano il PE a
margine delle trattative, attualmente il PE partecipa)
Grandi differenze rispetto a Parlamenti nazionali
• No potere di iniziativa
• No responsabilità in politica estera
Due peculiarità rispetto al modo in cui il PE svolge queste funzioni:
• il contesto politico è diverso rispetto a quello in cui opera un parlamento
nazionale
es. dialettica governo/opposizione non è chiara come lo è negli Stati nazionali,
né per quanto riguarda la nomina della Commissione né per quanto riguarda il
processo legislativo: sono fratture di diverso tipo ad imporsi.
• Nello svolgimento dei suoi compiti il PE appare come un’istituzione molto
orientata al rafforzamento dei propri poteri e alla ridefinizione degli equilibri
istituzionali a proprio vantaggio. Nagent parla in merito di strategia
“massimalista” e “incrementalista” messa in atto consapevolmente e
collettivamente dal PE.
Nello specifico:
strategia massimalista: il PE cerca ad ogni tornata di riforme
o istituzionale di ottenere un rafforzamento della sua posizione
strategia incrementalista: il PE usa ogni opportunità offerta dalle
o regole esistenti (o da una loro interpretazione più ampia) per valorizzare
il proprio potere e ottenere, anche solo nella prassi, un più ampio spazio
di manovra. Si può quindi dire che il PE faccia un uso strategico delle
norme.
Il trend di rafforzamento
Complice anche la strategia di cui s’è detto, il PE è stato protagonista di un processo di
rafforzamento delle proprie prerogative che si può rintracciare o seguire nei trattati.
Gli ambiti principali in cui il PE rafforza le proprie prerogative sono: legislativo (ci si
avvicina sempre più ad una procedura bicamerale, di fatto sancita, sebbene non per
tutte le aree, a Lisbona), di nomina (cfr. insediamento della Commissione) e di
controllo (il PE partecipa a più processi decisionali o procedure, cfr. procedura di
regolazione con controllo nella fase di implementazione).
La crescita delle prerogative legislative del PE: profilo storico
L’Assemblea Legislativa tratteggiata dal trattato di Roma era un’assemblea di
secondo livello e aveva pochi poteri: l’unica procedura legislativa contemplata era
quella di consultazione (in cui il parere del PE era quindi non vincolante), che spesso
non veniva neanche seguita a dovere (anche perché il PE cercava di manifestare il suo
dissenso ritardando l’effettiva produzione del parere).
Il primo passo avanti si ha nel 1979 con l’elezione diretta dei membri del PE. Nel 1980
con la sentenza Isoglucosio il PE ottiene un ulteriore importante riconoscimento: la
Corte di Giustizia, il cui interevento era stato chiesto dal PE stesso con un ricorso,
stabilisce che la consultazione del PE, sebbene non vincolante, non può essere elusa,
in quanto obbligatoria.
Con l’AUE (1986) vengono introdotte due nuove procedure:
• procedura di cooperazione: attribuisce al PE maggiori poteri di
emendamento rispetto al Consiglio (se il PE approva un emendamento che
viene appoggiato anche dalla Commissione, il Consiglio può abrogarlo solo
all’unanimità). Per il resto, la procedura è ben lungi dall’assegnare al PE poteri
equiparabili a quelli del Consiglio. Si rivela comunque molto produttiva: è utile
quando serve un’approvazione rapida delle misure e permette al PE di ottenere
significative vittorie nel momento in cui in Consiglio siedono Ministri disposti ad
allearsi con esso.
• procedura di parere conforme: attribuisce al PE un potere di veto. E’ relativa
solo a circostanze in cui si può solo approvare o non approvare una proposta
(senza possibilità di emendare), quindi un numero piuttosto limitato di ipotesi
(es. approvare o non approvare un trattato internazionale).
Il PE, in questa procedura, ha una posizione forte che non esitò ad usare, es.
trattato commerciale con Israele bocciato dal PE.
Con il trattato di Maastricht (1993) si introduce la codecisione: procedura
complessa, che prevede molte letture, nella quale PE e Consiglio sono su un piano
quasi paritario perché normalmente è necessaria l’approvazione di entrambi per far
passare una legge; tuttavia il Consiglio, all’unanimità, può approvare un atto anche in
assenza del consenso del PE.
Con Nizza l’uso di codecisione e parere conforme viene esteso, mentre ad
Amsterdam (1999) si rimuove la clausola che permetteva al Consiglio di approvare
una legge all’unanimità scavalcando il parere del PE: la codecisione diviene quindi una
procedura pienamente bicamerale.
Con il trattato di Lisbona (2009) la codecisione viene rinominata “procedura
legislativa ordinaria”. Inoltre il suo utilizzo viene significativamente esteso, in
particolare ad ambiti come:
• pesca e agricoltura (ma con alcune eccezioni)
• fondi strutturali
• energia
• immigrazione
La funzione legislativa
Il potere legislativo del PE si traduce nella sua partecipazione all’approvazione degli
atti legislativi proposti dalla Commissione. Nell’esercitare queste prerogative, il PE
agisce in modo anomalo rispetto ad un parlamento nazionale. Nello specifico:
• esistono importanti settori di politica pubblica in cui il PE ha un ruolo ristretto,
ad es. quasi esclusivamente consultivo (cfr. politica estera, su cui riesce a
influire solo trasversalmente attraverso il controllo del bilancio)
• non ha potere di iniziativa formale
Potere di iniziativa indiretta o informale
Il PE può esercitare un potere di iniziativa informale in modi diversi:
• approvando un rapporto di iniziativa (che tuttavia non vincola la
Commissione all’elaborazione effettiva di una proposta)
• votando a maggioranza assoluta la richiesta formale alla Commissione
Europea di preparare un testo legislativo su una questione basandosi su una
relazione elaborata dalla Commissione parlamentare competente. La richiesta
può essere articolata anche in termini molto specifici, indicando precisi
contenuti. Sebbene la Commissione non sia vincolata all’effettiva produzione
del testo, il peso politico di questo genere di richieste da parte del PE è forte.
• Attraverso il processo di bilancio: l’approvazione del bilancio è bicamerale (è
stato proprio in merito al bilancio che il PE ha visto i primi rafforzamenti del suo
potere) e il PE può richiedere lo stanziamento di fondi per aree di policy ancora
prive di base legale. Se il bilancio così strutturato viene approvato, la
Commissione è poi tenuta a legiferare per colmare il vuoto. Non sempre questa
procedura va a buon fine: è capitato che la Corte di Giustizia impugnasse le
norme così prodotte.
es. 1998, finanziamenti alle piccole e medie imprese
• Influenzando la programmazione annuale della Commissione
Il potere informale di iniziativa legislativa è tutt’altro che banale: nel PE, complici
anche le logiche di voto alle elezioni europee, è significativa la presenza di partiti
single issues in grado quindi imporre o suggerire norme molto avanzate in settori
normalmente trascurati, come la tutela ambientale. In questo modo, nell’agenda
europea trovano spazio temi che raramente riescono ad imporsi a livello nazionale.
Le procedure legislative
Le procedure attuali, secondo il trattato aggiornato a Lisbona, sono:
• Procedura di consultazione: il parere del PE non può essere eluso ma non è
vincolante. L’unica strategia a disposizione del PE per manifestare dissenso è
quella di prendere tempo rimandando la votazione. Fino a Lisbona questa
procedura riguardava anche la politica agricola in toto. Attualmente riguarda:
alcune aree dell’agricoltura, Giustizia e Affari interni.
• Parere conforme: prevede una sola lettura e nessun emendamento, il PE
esprime un parere vincolante.
Attualmente riguarda: ammissioni, nuovi accordi internazionali etc. (atti non
emendabili)
• Procedura legislativa ordinaria: procedura di fatto bicamerale.
Solitamente nell’applicazione di questa procedura le votazioni del
o Consiglio si svolgono a MQ.
Qualora alla seconda lettura non si pervenga ad un accordo sul testo si
o convoca un comitato di conciliazione, un organismo tipico dei sistemi
federali in cui di norma siedono rappresentanze paritetiche dei due rami
del legislativo.
Attualmente: è la procedura principale, utilizzata in tutti gli ambiti esclusi quelli
in cui vige l’uso delle altre procedure.
Il comitato di conciliazione
Il comitati di conciliazione è composto da:
• 27 membri della delegazione del Consiglio, solitamente quadri del CoRePer,
capeggiati dal Ministro che ricopre la presidenza.
• 27 membri del PE, scelti in modo da rispecchiare la sua composizione partitica.
Di solito: Tre membri scelti tra i Vicepresidenti del PE
Membri della Commissione parlamentare responsabile di quel
settore di policy, inclusi il Presidente della stessa e il rapporteur
La codecisione: tempi della procedura e problemi ad essi legati
La procedura di codecisione ha dei tempi piuttosto lunghi, soprattutto se si arriva alla
terza lettura e dunque al Comitato di conciliazione. Per questo, nella prassi, la
tendenza è sempre più quella di cercare di raggiungere l’accordo interistituzionale il
prima possibile:
tra 1999 e 2004: il 50 % della legislazione veniva votata alla seconda lettura
tra 2004 e 2009: il 65 % della legislazione veniva votato alla prima lettura
tra 1999 e 2004: il comitato di conciliazione venne convocato nel 22 % dei casi
tra 2004 e 2009: il comitato venne convocato solo nel 9 % dei casi
Negli ultimi anni la tendenza si sta ulteriormente rafforzando: l’82 % degli atti è
stato approvato in prima lettura nel 2012.
In media l’iter legislativo richiede un anno per l’approvazione in prima lettura, se si
giunge alla convocazione del Comitato di conciliazione si arriva a 3 anni.
Sicuramente è interessante notare che l’allargamento non sembra aver inciso granché
sui tempi di approvazione delle norme.
Il PE e il bilancio
Il processo di bilancio dell’UE è sostanzialmente bicamerale. I poteri di controllo del
PE rispetto al bilancio sono i più datati: in merito, già negli anni ’70 avviene
l’equiparazione con il Consiglio ( prima ancora, negli anni ’60, ruotava intorno alla
procedura di bilancio anche il pacchetto Hallstein).
La legge di bilancio è annuale ma è inserita, dal 1988, in un quadro pluriennale, la
“prospettiva finanziaria”, o “MMF”, che fissa dei tetti di spesa e viene approvata dal
PE.
La procedura: il progetto di bilancio viene preparato dall’esecutivo, ovvero dalla
Commissione (DG budget), tenendo conto dei suggerimenti di Consiglio e PE (si parla
di trialogue). Il Consiglio lo vota, quindi lo trasmette al PE.
Il PE può emendare il progetto di legge della Commissione per quanto riguarda le
spese non obbligatorie (ovvero la maggior parte), incluse quelle afferenti le relazioni
esterne (un modo indiretto, questo, con cui il PE riesce occasionalmente a influenzare
la politica estera dell’UE; es. bloccando finanziamenti per le imprese militari)
L’influenza del PE sul legislativo
In generale la capacità del PE di influenzare il legislativo a più livelli, e non solo
nell’approvazione degli atti, è andata aumentando.
Sicuramente l’introduzione della codecisione ha segnato un passo avanti, poiché essa
forniva al PE la possibilità di emendare gli atti. Attualmente, inoltre, il PE ha modo di
influenzare anche la fase di produzione della legislazione di dettaglio attraverso lo
scrutinio sulla Comitologia quando le decisioni riguardano una legge approvata con la
codecisione.
Restano comunque numerose – nonché di importanza significativa – le aree di policy in
cui il Consiglio può agire senza la partecipazione del PE (es. accordi commerciali,
accordi con paesi terzi, politica estera).
Le funzioni di controllo
Nagent sottolinea che le tradizionali funzioni di controllo dell’esecutivo che, a livello
nazionale, sono svolte dai parlamenti, risultano, nel caso dell’UE, indebolite. Questo
dipende da diversi aspetti:
• dal fatto che il potere esecutivo è condiviso tra Commissione, Consiglio dei
Ministri e Consiglio Europeo
• dal fatto che l’implementazione delle politiche, tipica attività dell’esecutivo,
nella UE avviene prevalentemente a livello degli Stati membri
Rispetto a Commissione e Consiglio, il PE esercita il suo controllo soprattutto
attraverso poteri di scrutinio e solo più raramente con poteri di sanzione. In sostanza
quindi il PE può richiamare, in diversi modi, le due istituzioni a rendere conto del loro
operato, ma non ha che pochi mezzi per sanzionarle formalmente.
In particolare:
• Rispetto alla Commissione:
Poteri di scrutinio
o Il PE può installare commissioni di inchiesta su richiesta di ¼ dei
deputati
Il PE può rivolgere interrogazioni alla Commissione cui essa è
tenuta a rispondere oralmente o per iscritto
Il PE può presentare una mozione di censura motivata e presentata
da almeno il 10% dei deputati
Poteri di sanzione
o Il PE può sciogliere la Commissione costringendola alle dimissioni
con una maggioranza di 2/3 dei votanti e assoluta dei suoi membri.
• Rispetto al Consiglio (solo poteri di scrutinio)
audizioni della Presidenza di turno, a inizio e fine semestre
o i ministri dei paesi che detengono la Presidenza partecipano alle sedute
o plenarie e alle commissioni parlamentari nel loro settore di competenza.
il PE può rivolgere interpellanze sull’attività del Consiglio
o
Le funzioni di nomina
Il PE partecipa o è unico responsabile della nomina di alcuni organi o istituzioni dell’UE:
• partecipa alla nomina della Commissione (cfr. paragrafi sulla Commissione)
• nomina l’Ombudsman (Mediatore) europeo: esso viene designato dai deputati
a scrutinio segreto a maggioranza dei voti e dura in carica per la legislatura. Il
Mediatore esamina le denunce dei cittadini su casi di cattiva amministrazione
comunitaria.
• nomina dei membri della Corte dei Conti
• partecipa alla nomina dei membri del Comitato esecutivo (Pres+Vicepres+ 4 )
della Banca Centrale Europea (scelti dagli stati membri previa consultazione del
PE).
Il deficit democratico
Pur essendo il PE l’unica istituzione direttamente legittimata di tutta l’UE, si può
parlare in merito di deficit parlamentare, mettendo in luce la scarsa incisività dei
suoi poteri nell’autorizzazione e nel controllo dell’esecutivo nonché nell’attività
legislativa (es. no iniziativa formale, aree di policy in cui il PE non è coinvolto etc).
Il vero problema di legittimità si colloca però al livello della partecipazione al voto: il
trend di rafforzamento istituzionale non è infatti andato di pari passo alla crescita della
partecipazione al voto, anzi, come s’è visto, è avvenuto il contrario. Attualmente,
quindi, benché il PE resti nei sondaggi l’istituzione UE più popolare, la sua legittimità
risulta nei fatti indebolita dalla bassa partecipazione al voto dei cittadini europei.
LA CORTE DI GIUSTIZIA
La Corte di Giustizia è un’istituzione che è stata piuttosto trascurata dai politologi: per
motivazioni comprensibili, è oggetto di studio soprattutto da parte dei giuristi. Eppure,
la CdG presenta alcuni aspetti molto importanti dal punto di vista politologico e in
particolare per quanto riguarda il suo contributo allo sviluppo dell’UE:
• La CdG e il diritto comunitario sono gli aspetti più genuinamente
sovranazionali dell’UE, quelli più federali. La Corte infatti:
ha caratteri di (quasi) assoluta indipendenza dagli Stati membri
o può emettere sentenze vincolanti, imporre sanzioni, dichiarare
o l’incompatibilità di norme nazionali rispetto a quelle europee …
• Alcune delle sentenze emesse dalla CdG hanno contribuito all’integrazione
europea: si può dire che essa ricopra un importante ruolo di institution
building.
I tribunali UE
Attualmente la CdG è in realtà un insieme di tribunali, organizzati gerarchicamente:
1. Corte di Giustizia propriamente detta: il tribunale originario, esistente sin
dalla CECA
2. Tribunale (ex Tribunale di prima istanza), introdotto dall’AUE
3. Tribunali specializzati (come il Tribunale di funzione pubblica): camere
giurisdizionali varate dal Consiglio, introdotte a Nizza
La Corte di Giustizia
Composta dalla corte in senso stretto – giudici – affiancati dagli avvocati generali:
• Giudici: 27 in totale, uno per Stato membro.
Restano in carica 6 anni rinnovabili e sono inamovibili. Ogni tre anni, con un
sistema di rotazione, viene rinnovata la metà dei giudici della Corte.
Hanno funzione giurisdizionale: emettono sentenze vincolanti per gli Stati
membri e per le persone fisiche e giuridiche.
• Avvocati generali: 8 in totale, 1 per ogni Stato grande e tre a rotazione per gli
Stati piccoli. Attualmente la Polonia, il sesto Stato per dimensione, vorrebbe
essere inclusa nel novero degli Stati grandi. Ogni tre anni viene rinnovata la
metà degli avvocati generali.
Hanno lo stesso rango dei giudici (i requisiti di nomina sono gli stessi), ma
svolgono principalmente funzioni di tipo preparatorio. Di solito elaborano un’
opinione ragionata che poi la CdG può rifiutare o accogliere.
In aggiunta, la CdG dispone anche di personale tecnico e funzionari di assistenza,
in particolare tre avvocati legali per ciascun giudice e ciascun avvocato generale, con
compiti di assistenza e preparazione delle bozze di sentenze o opinioni motivate.
Nomina dei Giudici
I giudici vengono scelti in autonomia dagli Stati membri e la loro nomina non può
essere appellata.
Tale procedura potrebbe far pensare che essi siedano nella Corte in qualità di
rappresentanti degli Stati membri, ma in realtà, come s’è già detto, la CdG è l’organo
più sovranazionale dell’UE. Il motivo per cui sono gli Stati membri a nominarli è che il
loro ruolo richiede che i giudici portino con sé la conoscenza del loro diritto nazionale.
A tutelare l’indipendenza e la neutralità della Corte sono:
• requisiti di nomina: si tratta di requisiti di professionalità molto alti,
esplicitamente previsti nei trattati (diritto primario). Si richiede che sia i giudici
sia gli avvocati presentino i titoli e le condizioni richieste per esercitare la
carica giuridica più alta nei rispettivi Paesi. Nei fatti, i giudici e gli avvocati
generali appartengono a due categorie:
giudici delle corti alte (es. Corte costituzionale
o italiana)
docenti di diritto di chiara fama
o
Ogni Paese ha propensioni diverse in merito: la Germania nomina più che altro
professori, laddove la Francia tende a nominare magistrati.
L’alta professionalità richiesta, oltre ad essere essenziale per il buon
funzionamento della CdG, assicura anche la neutralità della corte, dal momento
che si ritiene che gli standard della professione influenzino il
comportamento dei giudici spingendoli ad agire in modo equidistante.
• Regole dello statuto della CdG: le norme dello statuto regolano la posizione dei
giudici assicurandone l’indipendenza. I giudici sono inamovibili e
indipendenti, la Corte decide in modo collegiale e i voti individuali non sono
resi pubblici.
Controllo dei requisiti e nuove proposte
Il trattato di Lisbona ha introdotto un nuovo organo di controllo: un comitato
composto da ex giudici o ex avvocati generali della CdG, di cui uno nominato dal PE,
chiamato a verificare che gli Stati membri si attengano alle norme per la nomina dei
giudici. Tale comitato, una volta istituito, resta in carica quattro anni.
Si è proposto di dilatare il mandato dei giudici a 12 anni non rinnovabili onde
rafforzare ulteriormente l’indipendenza della CdG, ma la questione rimane tuttora
sospesa.
Modalità di riunione
La CdG può riunirsi in sessione plenaria o, su richiesta di uno Stato membro o di
un’istituzione che sia parte in causa, in Grande Sessione (1/2 dei suoi componenti),
tuttavia di norma la sua attività si svolge in Camere ristrette di 3-5 giudici. Ogni
giudice viene assegnato a due Camere giudiziarie all’inizio dell’anno e i casi vengono
assegnati alle varie Camere dal Presidente della Corte.
La procedura di funzionamento della CdG
1. Raccolta della documentazione legale e fattuale sulla causa.
2. Eventuale – non obbligatoria – udienza pubblica
3. Sentite le parti in causa, l’Avvocato generale cui è stato assegnato il caso
prepara l’opinione ragionata e poi la presenta alla Corte in seduta plenaria
4. La Corte, sulla base del materiale e dell’opinione ragionata, esprime il verdetto
collegiale . La decisione è presa a maggioranza e vige il divieto di rivelare
eventuali opinioni dissenzienti.
La CdG, in quanto tribunale, è un organismo reattivo: non agisce su iniziativa propria,
bensì su sollecitazione di altri, siano essi individui, istituzioni o Stati membri.
Classificazione delle dispute legali
Le tipologie di dispute che vengono sottoposte alla corte sono ascrivibili a sei
categorie:
• Procedure di infrazione (nell’ambito della funzione di tutela dell’ordinamento
giuridico esercitata dalla Commissione)
• rinvio pregiudiziale (art.234 ex 177), ovvero la richiesta di interpretazione del
diritto europeo da parte di una Corte nazionale, solitamente per valutare se
esista incompatibilità tra diritto comunitario e diritto nazionale.
L’interpretazione fornita dalla CdG tramite la sentenza ha poi valore anche per
gli altri Stati.
• procedure di annullamento di atti comunitari
• ricorsi in carenza
• azioni di danni
• richiesta di pareri su accordi internazionali
Le categorie più importanti, quelle in cui il ruolo sovranazionale è più marcato, sono le
prime due, in particolare con alcune sentenze di rinvii pregiudiziali la CdG si è resa
protagonista della costruzione stessa dell’UE, e inoltre ha compiuto un’importante
opera di livellamento del diritto degli Stati membri. Infine, il rinvio pregiudiziale di fatto
prefigura un’architettura legale europea integrata a più livelli in cui le Corti nazionali e
la CdG collaborano in modo fruttuoso, poiché attraverso questa procedura la CdG è
chiamata a giudicare i ricorsi presentati dai singoli soggetti che si appellano ad essa
tramite il proprio tribunale nazionale.
Es. sentenza Defrenne, 1976.
Fondamentale per il diritto sociale UE e in particolare per il tema dell’uguaglianza tra i
sessi.
Un’hostess della compagnia di bandiera belga fece ricorso ad un tribunale (nazionale)
perché la compagnia in questione era solita licenziare le donne al compimento del
40esimo anno di età. La corte belga si rivolse alla CdG – tramite, appunto, il rinvio
pregiudiziale – per verificare se questa prassi fosse in contrasto con le normative
europee. La sentenza finale, a favore della signora Defrenne, conteneva prese di
posizione forti sul tema dell’uguaglianza di genere, e spianò la strada a ulteriori
provvedimenti in materia.
Tempi e costi
A partire dall’AUE si è cercato di decentrare una parte del lavoro della CdG ma
nonostante tutto essa rimane sovraccarica. Da ciò deriva la lunghezza dei tempi
giudiziari: occorrono circa 20 mesi per un ricorso e 23 per i rinvii giudiziali.
Un altro problema è quello dei costi: le spese legali del ricorso sono elevate e non
facilmente sostenibili da parte di individui privati o piccole aziende.
Le sentenze finali, infine, sono generalmente lunghe e molto complesse.
Il tribunale di prima istanza
Composto da 27 giudici, uno per Stato membro, nominati tra professionisti di indubbia
indipendenza. Non vi sono Avvocati generali. Anche il Tribunale, come la CdG, lavora in
Camere ristrette.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GNZ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Organizzazione politica europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Pavia - Unipv o del prof Confalonieri Maria Antonietta.
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