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Approcci teorici sull'Unione Europea

Gli approcci teorici che sono stati utilizzati per interpretare il processo di integrazione europea e i suoi esiti sono numerosi. I principali approcci teorici possono essere distinti in due grandi categorie (teorie generali e teorie a medio raggio) entro cui è possibile inquadrare le singole teorie. Uno schema riassuntivo:

  1. Grand theories (Teorie generali)
  2. Normalmente derivano il loro apparato concettuale dalla teoria delle relazioni internazionali e hanno come soggetto la natura della polity europea e il processo di integrazione nel suo insieme, di cui cercano di spiegare le motivazioni profonde. I modelli più ampi e ambiziosi non si limitano al caso europeo ma puntano a fornire risposte valide anche per altre esperienze più o meno analoghe di integrazione sovranazionale.

    All'interno della macro-categoria delle grand teories si possono individuare due filoni:

    1. Teorie funzionaliste
    2. Teorie neofunzionaliste
  3. Mid-range theories (Teorie a medio raggio)
  4. Si concentrano su specifici aspetti del processo di integrazione europea, come ad esempio il ruolo delle istituzioni, delle politiche pubbliche o delle identità nazionali. Queste teorie sono spesso basate su approcci sociologici o politologici e cercano di spiegare fenomeni specifici all'interno dell'Unione Europea.

Il funzionalismo di Mitrany, poiesplodono nel secondo dopoguerra con il cosiddetto neofunzionalismo. Un revival importante si ha negli anni post-Maastricht, in cui si tentò anche di applicare il funzionalismo ad altri processi di integrazione regionale diversi da quello europeo.

Teorie riconducibili all'approccio realista:

  • Vede gli Stati come attori centrali dell'integrazione europea: secondo la dottrina realista, gli Stati sono orientati strategicamente all'ottimizzazione dei propri fini.
  • Esistono due versioni del realismo:
    1. Realismo classico, che accetta le premesse standard e affronta in modo non problematico la questione delle origini delle preferenze degli Stati (sostanzialmente: sicurezza e potenza).
    2. Intergovernativismo liberale, un filone più recente (anni '90) che ha come massimo esponente Moravsik ("The choice for Europe").
  • Condivide con il realismo classico l'idea che l'integrazione sovranazionale derivi soprattutto
dall'interazione strategica tra Governi, ma, a differenza del realismo classico, affronta in modo più analitico la questione delle preferenze degli Stati, che si vedono come sostanzialmente derivate dalla politica interna. Si può quindi dire che l'intergovernativismo liberale sia una teoria a due livelli: - livello interno: le preferenze degli Stati si formano attraverso un processo pluralista - livello esterno: teoria intergovernativa, incentrata sull'analisi delle negoziazioni strategiche tra Stati 2. Teorie a medio raggio Teorie che guardano all'UE come ad un sistema politico, per quanto sui generis, e che pertanto lo analizzano con modelli e teorie di policy analysis - Istituzionalismo - Multi-Level Governance e Policy network - Le teorie funzionaliste Tutte le teorie funzionaliste condividono una premessa: i processi di integrazione regionale rispondono a una necessità funzionale. Come già visto, questo genere di dottrine si collocano in

Diversi momenti storici: in primis, si può vedere un antecedente del funzionalismo la dottrina di Mitrany (anni '40), in seguito si apre la grande stagione del neo-funzionalismo (anni '60) e, infine, si ha un revival del neo-funzionalismo (una sorta di neo-neo-funzionalismo, o di neo-funzionalismo riveduto e corretto) negli anni successivi al trattato di Maastricht.

Mitrany: il padre del funzionalismo

Il primo analista la cui dottrina si può ricondurre al funzionalismo è Mitrany, esule ungherese attivo negli anni '30/'40 alla London School of Economics, che all'epoca era uno dei centri principali di elaborazione teorica del socialismo fabiano (che coniuga socialismo, umanitarismo e liberalismo).

A quel tempo, il cosmopolita clima culturale londinese era segnato da preoccupazioni di tipo umanitario e sociale, ma inevitabili erano anche riflessioni generate dalle coeve esperienze totalitarie.

In questo contesto, lo stesso in cui nacque la scuola

federalista britannica, Mitrany, che era sostanzialmente un analista storico (sebbene vicino alla scienza politica empirica), giunse a elaborare una teoria basata sull'idea che l'integrazione sovranazionale sia ciò che permette di rispondere meglio ai "bisogni umani". Quello di "bisogni umani" è il concetto di partenza (Mitrany, quindi, non avvia la sua riflessione partendo dall'idea di Stato): lo Stato-Nazione territoriale non è adeguato a rispondere alle effettive necessità degli uomini, bisogna quindi superarlo, trascenderlo, dando vita a organizzazioni di polity trans-nazionali. Questo garantirebbe, oltre che una più adeguata gestione delle necessità umane, anche il raggiungimento della pace. L'idea centrale è dunque quella che la forma istituzionale debba derivare dalle funzioni che essa è chiamata a svolgere, assumendo i caratteri più adeguati in base ad esse. Mitrany rifiuta

L'idea che l'organizzazione transnazionale o regionale assuma forma statuale: l'integrazione deve al contrario essere funzionalmente differenziata, attuata tramite la creazione di organizzazioni internazionali a geometria variabile dedicate a specifici settori di politica pubblica. Per questo, Mitrany fu un sostenitore di CECA e Euratom, ma non della CEE, che riteneva troppo generalista e di cui criticava anche la membership ristretta ad un numero chiuso di Paesi. La sua posizione si può quindi considerare radicalmente cosmopolita e anti-nazionale.

Attualmente la visione di Mitrany si può considerare sotto molti aspetti desueta, tuttavia mantiene la sua rilevanza, soprattutto storica, dal momento che:

  • è il fondatore del funzionalismo, e dunque il padre delle diverse teorie neo-funzionaliste successive
  • ha anticipato le teorie delle relazioni internazionali basate sulla constatazione della crescente interdipendenza tra Paesi e quindi sulla
perdita di sovranità de facto dei singoli Stati, cui consegue la necessità di dare vita ad organismi internazionali per gestire alcune aree di policy. Ha anticipato alcune teorie nate dopo Maastricht sull'integrazione differenziata, ove la carte, che propugnano l'idea di istituire un insieme di organismi funzionalmente differenziati e tra loro sovrapponentisi. Non mancano comunque le critiche alla visione di Mitrany: Teoria permeata di elementi prescrittivi e concetti nebulosi (es. l'idea che esistano "bisogni umani" oggettivamente determinabili). Teoria basata sull'idea un po' ingenua che il comportamento degli attori internazionali sia improntato esclusivamente alla razionalità, e che quindi tali attori siano portati a scegliere l'opzione più efficace in modo automatico. Il neofunzionalismo Il neofunzionalismo è stato la teoria dominante in merito all'integrazione europea per quasi.

Tutti gli anni '60. Tale approccio in parte ispira e in parte fotografa il progetto di Jean Monnet, che era in sostanza quello di avviare un processo di integrazione europea per settori funzionali in vista di una futura unione politica.

Il neo-funzionalismo nasce, soprattutto nella sua versione classica, soprattutto per spiegare l'integrazione europea, e quindi non tanto per definire cosa sia la polity europea quanto per spiegare quali siano i meccanismi e le dinamiche che l'hanno resa possibile pur in un contesto di secolare frammentazione del continente europeo (ovvero il sistema post-Westfalia, rispetto al quale le Comunità degli anni '50 segnano una fortissima discontinuità).

La parabola del neofunzionalismo. La "golden age" delle teorie funzionaliste corrisponde con la fase di crescita dell'integrazione europea, l'epoca della Commissione Hallstein, dei primi grandi successi e del consenso permissivo, nonché di uno spill over.

che sembrava destinato ad ampliare continuamente il numero di settori di policy sottratti agli Stati e demandati alle istituzioni europee. Testi classici pubblicati in questa fase:
  • Haas, "The uniting of Europe" (1958); "Beyond the nation State" (1964)
  • Lindberg, "The political dynamics of European Economic Integration" (1963)
La "crisi delle sedie vuote" e la successiva battuta d'arresto subita dal processo di integrazione segnano la fine di un'epoca nella storia del funzionalismo: il paradigma funzionalista sembra esserci inceppato, e di fronte ad una CEE statica e incapace di rinnovarsi si moltiplicano i critici del funzionalismo o i sostenitori di teorie opposte (segnatamente l'idea, fatta propria dal Milward, che l'integrazione abbia salvato, se non rafforzato, gli Stati nazione). Il neofunzionalismo in quanto paradigma interpretativo conserva però una sua utilità, tanto che alcuni autori.

contemporanei ne hanno recuperato alcuni aspetti (epurandoli però delle velleità deterministiche). Significativo soprattutto il tentativo di utilizzare nozioni neofunzionaliste anche al di là del contesto europeo, anche per rispondere all'accusa di "ad hoc-ing". Questo neo-funzionalismo post-Maastricht si differenzia però dal neofunzionalismo classico, poiché:

  • sebbene riprenda l'idea base di Mitrany - la maggiore efficienza dei processi di integrazione - che era stata fatta propria dal neofunzionalismo degli anni '50/'60
  • vi coniuga una maggiore attenzione per gli attori coinvolti, ovvero gli Stati, il cui comportamento viene analizzato in modo più chiaro

Gli attori principali del neofunzionalismo

Gli attori del processo di integrazione, secondo i neofunzionalisti, non sono solo gli Stati intesi come autorità pubbliche centrali (i Governi), ma anche:

  • i protagonisti della loro

politica interna, ovvero gli artefici effettivi delle scelte di policy degli Stati (segnatamente i gruppi di interesse)

le istituzioni sovranazionali (soprattutto la Commissione). Particolarmente rilevante è l'importanza attribuita ad attori sub-statali e al ruolo che viene loro riconosciuto di artefici collettivi o corali delle scelte degli Stati.

In merito alle tipologie di attori prese in considerazione dai neo-funzionalisti, si può parlare di una vicinanza al paradigma pluralista: l'integrazione è vista come l'esito dell'azione di una pluralità di attori, non solo nazionali, ma anche sub-nazionali e sovra-nazionali. In particolare:

  • gli attori sovranazionali tendono ad agire secondo una logica di auto-accrescimento e sono portati a facilitare il concerto tra Stati, inoltre rappresentano il bene comune
  • gli attori sub-nazionali, sempre agendo a tutela dei propri interessi, sarebbero portati a spostare
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Publisher
A.A. 2011-2012
92 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/04 Scienza politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GNZ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Organizzazione politica europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pavia o del prof Confalonieri Maria Antonietta.