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L'intervento fascista e l'amministrazione nell'Italia repubblicana
L'intervento fascista fu non tanto di rivoluzione quanto di restaurazione di assetti e logiche di organizzazione che riprendevano la tradizione burocratica ottocentesca. Si punta infatti alla razionalizzazione dell'assetto amministrativo centrale e della spesa pubblica (soppressione di alcuni ministeri e fusione di altri; privatizzazione di alcuni servizi pubblici) con particolare attenzione al controllo amministrativo. L'importanza del ruolo del ministro viene drasticamente ridotta a favore di quello predominante della Presidenza del Consiglio. Infine viene avviato un processo di identificazione (1922-1940: 260 nuovi enti) e una sperimentazione definita taylorismo amministrativo (nuovi principi di organizzazione del lavoro).
L'amministrazione nell'Italia repubblicana, fino al '70, fu di rilevante interesse in questi anni furono la costituzione dell'Istituto per il progresso della pubblica amministrazione e la costituzione del Comitato di organizzazione.
La nascita della "Rivista Trimestrale di Scienza dell'Amministrazione" e dei "nuovi utopisti", l'inaugurazione di una prassi di premi speciali per impiegati che davano suggerimenti per il miglioramento dei servizi ed infine il diffondersi della pratica di scambiarsi esperienze e conoscenze. Nonostante ciò la politica non sostenne tali innovazioni, rimanendo strettamente legata alla burocrazia preesistente e anzi appropriandosi delle gestioni. La PA risultò essere arretrata e non al passo col boom economico di quegli anni, ne conseguì infatti un disordine complessivo. Gli anni 70 si chiusero pieni di contraddizioni irrisolte, inoltre non ci fu alcuna evoluzione nei modelli organizzativi, si istituirono nuovi uffici e un nuovo livello di governo regionale che portò al conseguente proliferare di nuove amministrazioni parallele, e nacquero le authorities (es. le ormai CONSOB, ISVAP, Antitrust ecc). Un ultimo tentativo di risposta: il Rapporto.Giannini Nel 1979 il ministro Giannini elaborò un Rapporto che nel tempo è stato poi riconosciuto come il miglior portatore del riformismo amministrativo. In esso erano esposti i problemi dell'organizzazione della PA secondo 4 temi:
- Tecniche di amministrazione: servizi di connettivo (protocollo, archivio, ecc), modalità di comunicazione interna ed esterna, modalità di decisione, tempi e produttività dell'azione amministrativa;
- Tecnologie (informatiche) delle amministrazioni: lamentando la scarsa diffusione e conoscenza tecnica delle pa;
- Personale: ridisegno dell'ordinamento del personale secondo le funzioni e per classificazione gerarchica; progressione economica sganciata da quella giuridica;
- Riordinamento dell'amministrazione statale: revisione dei raccordi Stato-Regioni, problema del decentramento di compiti e responsabilità, organizzazione delle aziende autonome, cambiamento radicale del sistema dei controlli.
Punti
Chiari ed urgenti, che non videro però alcuno sbocco normativo. L'amministrazione italiana aveva ormai perso il controllo di se stessa, raggiungendo la dimensione massima nella sua storia ma dove ogni ufficio era influenzato da interessi esterni.
Capitolo 2 - La riforma degli anni '90 tra New Public Management (NPM) e New Public Governance (PG)
La riforma amministrativa in Italia: il big bang degli anni '90: le spinte La storia sociale e organizzativa dell'amministrazione italiana analizzata nel capitolo precedente dall'unità d'Italia al 1990, può essere quindi distinta in cinque macrofasi o tappe evolutive:
- Fase 1 (1853-1861): ha origine con la riforma Cavour (1853) nella quale si prevedeva un assetto amministrativo composto da un modello unico di amministrazione centrale (il ministero), un'amministrazione periferica che faceva perno sulle prefetture, nonché la rigida sottoposizione delle amministrazioni locali (Comuni e Province)
Il ruolo attivo della PA nella produzione di servizi
Gli si chiede non più di essere "gestore" quanto "regolatore", ovvero di garantire il rispetto delle regole generali degli attori economici e sociali, anche mediante enti privati.
A ciò si somma il livello di debito pubblico ormai diventato insostenibile; la profonda crisi di fiducia nelle istituzioni che porterà, come vedremo, al riordino generale del sistema amministrativo italiano; il processo di globalizzazione quale fattore di ulteriore pressione sui singoli Stati.
Punti cardinali degli interventi legislativi degli anni '90
I punti cardinali degli interventi legislativi degli anni '90, e quindi del passaggio dall'Old al New Public Management sono:
- Privatizzazione delle holding pubbliche (legge del 1992) come IRI, ENI, INA, ENEL; si chiarisce così che il compito delle PA non è erogare servizi, funzione che viene delegata alle risorse necessarie e imprese private.
- Managerialismo: secondo il quale la gestione della PA deve essere svolta in modo imprenditoriale, con autonomia manageriale e particolare orientamento ai risultati, gestione flessibile delle risorse, introduzione di sistemi di contabilità economica e di controllo direzionale, nuove modalità di
1. Approccio classico: si concentra sulla divisione del lavoro, la gerarchia e la distribuzione di compiti e responsabilità, massimizzando efficacia e efficienza.
2. Neo - istituzionalismo: analizza principalmente temi inerenti a mercato, competizione, contrattazione e trasparenza:
- Teoria delle scelte pubbliche (mercato/competizione): mentre l'elettore è guidato da interessi economici, politici e burocrati puntano a consolidare e rafforzare le loro posizioni privilegiando solo i propri elettori. Ciò conduce a squilibri, quindi si fa in modo che le PA siano in concorrenza con quelle private, lasciando al cittadino la possibilità di scegliere.
- Teoria dei costi di transazione (contrattazione): considerando i costi derivanti dall'erogazione di servizi pubblici, la PA è giustificata nel caso scelga di esternalizzare tale funzione, sotto i vincoli di economicità ed efficienza.
- Teoria principale - agente (trasparenza): la netta separazione tra politica e amministrazione, in cui i primi sono i mandanti degli ordini,
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permette di migliorare il servizio pubblico;
- Controllo sull'output: si preferisce un controllo sui risultati conseguiti dalle PA;
- Competizione: contribuisce ad aumentare le performance;
- Perseguimento dell'efficienza: taglio dei costi superflui e parsimonia dell'uso delle risorse senza penalizzare la qualità;
- contracting out- Uso di meccanismi di tipo mercato: privatizzazioni, cooperazioni come il contracting in (affidare a imprese private o non profit) e il (affidamento ad altre PA), franchising di servizi pubblici, coinvolgimento in settori no profit (volontariato, cooperative, ecc.);
- Importare tecniche manageriali dal settore privato o no profit, come i sistemi di gestione finanziaria e delle risorse umane, programmazione e controllo, marketing e comunicazione.
I limiti del NPM sono:
- Disaggregazione e decentramento col tempo possono ledere alla capacità istituzionale (memoria) del settore pubblico;
- Focalizzazione sui risultati può portare a
preferire l'attenzione su quelli di breve periodo anziché su quelli di lungo