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A
identificare percorsi di azione da intraprendere per gestire al meglio gli
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che si trovano in posizioni ed evitare di avere o nei ruoli
chiave.
Il turnover tasso di rigiro del personale,
Il tasso di turnover, o è un indicatore “di flusso”
fondamentale per l’analisi del processo di programmazione e per valutare
l’efficacia delle azioni di gestione delle risorse umane. Il flusso naturale di
persone che escono o entrano nell’impresa per effetto di normali eventi di
pensionamento, assunzione, licenziamento, che non minacciano la continuità
produttiva dell’impresa e la sua stabilità organizzativa, viene definito
“turnover fisiologico”.
Questo flusso è il risultato di fenomeni di turnover volontario (è il lavoratore
che decide di lasciare l’azienda e si dimette) e involontario (il lavoratore viene
licenziato o è arrivato all’età di pensionamento).
Accanto alla parte fisiologica del turnover, vi è il turnover definito
“patologico” e che segnala un malfunzionamento delle politiche di gestione
112
delle risorse umane (selezione, retribuzione, carriere, organizzazione del lavoro
ecc.) e delle politiche aziendali in generale.
Anche in questo caso si può distinguere tra un turnover volontario e
involontario. La scelta di lasciare l’azienda può venire dal lavoratore nel
momento in cui le condizioni del contratto psicologico vengano violate, e
pressioni personali e competitive spingano a cercare nuove opportunità
lavorative. Queste possono fare riferimento a:
contesto lavorativo:
cause relative al difficoltà con i superiori e con i
colleghi, rigidità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, scarsa
sicurezza del posto di lavoro, mancanza di risorse per lo svolgimento
della propria attività;
contenuto del lavoro:
cause relative al lavoro monotono e con bassa
autonomia, bassa motivazione e incentivi a ottenere un’elevata
prestazione, carichi di lavoro eccessivi e stress, mancanza di adeguate
politiche di formazione e sviluppo;
mancata valorizzazione:
cause legate alla bassa retribuzione, mancanza
di opportunità di carriera o avanzamenti di carriera troppo lenti,
mancanza di un adeguato piano di valutazione del lavoro.
Non necessariamente tutte le cause elencate agiscono allo stesso modo nelle
diverse aziende e proprio per questo motivo vanno attentamente indagate e
monitorate: sono esse infatti che determinano se un certo tasso di turnover è
fisiologico o patologico, e non il suo valore, per quanto elevato. Tra gli
(exit survey)
strumenti a disposizione dell’impresa ci è il colloquio d’uscita
(vedi Capitolo 6).
L’analisi dei dati di turnover è fondamentale per scegliere adeguate azioni di
gestione, che possono essere implementate con lo scopo di aumentare il
commitment e la produttività delle persone. Inoltre, queste informazioni sono
centrali anche per fare previsioni sui flussi in entrata e in uscita. A tal fine non è
sufficiente l’analisi dei dati interni, ma è necessario analizzare anche le
condizioni del mercato del lavoro (tassi di disoccupazione, politiche di
reclutamento dei concorrenti ecc.) e i fattori personali relativi alla vita privata
della persona (figli, sede di lavoro del partner, persone a carico, attività extra
lavorative).
E’ necessario non perdere di vista la strategia dell’azienda.
E’ necessario tener conto di almeno tre ordini di limitazioni. In primo luogo, è
sempre necessario disaggregare gli indicatori: per esempio per cause
(dimissioni, licenziamenti, pensionamenti ecc.), per classi di età, per qualifica e
per posizione di lavoro, per classe retributiva, per anzianità aziendale. In
secondo luogo, non esiste un valore “ottimale” di questi tassi, dal momento che
variano a seconda del settore economico dell’impresa, delle condizioni del
mercato del lavoro, delle dimensioni aziendali, delle forme contrattuali
considerate. 113
Infine, per la valutazione dell’impatto del turnover e per la scelta degli
interventi correttivi, è importante per l’impresa, accanto alla comprensione
delle cause patologiche, stimare i costi causati dal ricambio del personale.
A questo proposito devono essere distinti costi diretti e costi indiretti.
I costi diretti del turnover riguardano la fase di entrata della persona in
azienda e sono perciò relativi alle attività di reclutamento e di selezione:
inserzioni su riviste e quotidiani, rimborso spese per i candidati, costi per
pagare i selezionatori (interni ed esterni).
I costi indiretti sono determinati dalle riduzioni di produttività associate
all’uscita di una persona e all’entrata di un nuovo lavoratore privo di
esperienza specifica. In queste situazioni i capi e i colleghi devono dedicare
parte del loro tempo ad affiancare il nuovo assunto, sono necessarie attività di
addestramento e formazione, e la produttività del lavoratore entrante sarà per
un periodo di tempo inferiore a quella della persona appena uscita.
Infine, di particolare interesse, anche se raramente considerati nelle imprese,
sono i costi del non turnover, rappresentati dalla mancata uscita di un
lavoratore insoddisfatto, la cui permanenza potrebbe avere un’influenza
negativa sul clima aziendale, condizionare gli altri lavoratori e ridurre la
produttività collettiva.
L’assenteismo
L’assenteismo identifica le situazioni nelle quali il lavoratore non si reca sul
posto di lavoro.
I dati sull’assenteismo costituiscono un’informazione importante per la
programmazione delle attività, ma soprattutto come indicatori del clima
aziendale. E’ possibile distinguere l’assenteismo dovuto alla normale morbilità
della popolazione, sul quale non si può intervenire, dall’assenteismo per cause
organizzative. Nel secondo caso il confine tra assenteismo fisiologico e
patologico è molto incerto e, soprattutto, molto difficile da identificare.
Esistono infatti situazioni di lavoro o condizioni del contesto sociale che
producono vere e proprie patologie scientificamente accertabili. Altre volte
esse producono invece una condizione soggettiva di rifiuto del lavoro, che può
rientrare nell’ambito della patologia, ma che non sempre trova riscontri
obiettivi. E’ all’interno di questo sottile confine che si muovono anche i
mobbing
fenomeni di e situazioni di stress correlate al lavoro, che
rappresentano una delle possibili cause di assenteismo patologico.
E’ possibile ipotizzare diverse situazioni aziendali all’origine dell’assenteismo e
diverse modalità per gestirlo. Per esempio, nell’azienda A, che ha 100 addetti a
tempo pieno, in una giornata media di lavoro sono assenti 3 persone (pari al
(gravità).
3% dell’organico espresso in giornate lavorabili) Inoltre, in azienda gli
episodi di assenteismo sono rari (2 episodi a persona nel corso dell’anno)
(frequenza), durata
ma caratterizzati da una media piuttosto lunga (20 giorni).
114
Nell’azienda B, la giornata di lavoro media si caratterizza per un elevato
numero di assenti (12, pari al 12% dell’organico). In generale, poi, si è rilevato
che gli episodi di assenteismo annui individuali sono frequenti (10) e con una
durata media di 1 giorno. In entrambi i casi il volume dell’assenteismo ha un
valore pari a 120 giorni, ma mentre nell’azienda A si ha un assenteismo
giornaliero basso caratterizzato da lunghi periodi di assenza, probabilmente
imputabili a motivi di salute o personali, nell’azienda B la frequenza e la brevità
dei casi unite all’elevato numero di assenti al giorno potrebbero essere
spiegate da fenomeni di disaffezione o malessere organizzativo. Oltre ad avere
(possibili) cause diverse, il primo profilo di assenteismo è più facilmente
gestibile dalla Dru, che può utilizzare forme di sostituzione del lavoratore
assente con una prospettiva di lungo periodo. Mentre è più difficile
programmare interventi per ridurre gli effetti negativi (per esempio riduzione
della produttività, richiesta di straordinari, malessere organizzativo) del
secondo tipo di assenteismo.
L’assenteismo, qualunque ne sia la causa, genera dei costi che l’impresa deve
monitorare per mantenere sotto controllo il suo equilibrio economico. I costi
dell’assenteismo possono essere classificati in costi diretti (proporzionali e non
proporzionali) e indiretti.
I costi diretti proporzionali sono:
i costi retributivi diretti e accessori che l’impresa sostiene quando la
retribuzione dell’assenza è totalmente o parzialmente a suo carico;
i costi dovuti alla mancata produzione (non utilizzo di impianti e
strutture);
i costi per le ore straordinarie richieste e pagate ad altri collaboratori per
compensare l’assenteismo;
i costi di impiego di personale di sostituzione (per esempio lavoratori
interinali).
I costi diretti non proporzionali riguardano i “costi organizzativi” sostenuti
dall’impresa per gestire l’assenza: costi di amministrazione, tempo per
modificare i programmi operativi, spese per ricerca di rimpiazzi e loro
addestramento.
I costi indiretti, infine, sono quelli relativi al deterioramento del clima e, nel
caso di uso di rimpiazzi, allo scarto tra i rendimenti dell’assente (già addestrato
e integrato nella propria posizione) e quelli del sostituto.
Quanto costa il personale? costi retributivi,
Le categorie di costo che devono essere monitorate sono: i i
costi di funzionamento della Dru costi d’impatto.
e i
I costi retributivi comprendono gli elementi di costo che entrano nel calcolo
della retribuzione del lavoratore. 115
I costi di funzionamento della Dru sono relativi alle attività di gestione delle
risorse umane e alle spese amministrative della funzione. Queste dipendono,
per esempio, dal numero di persone che operano nella Dru, dal grado di
esternalizzazione delle attività e dai singoli costi di attuazione degli interventi.
I costi di impatto fanno riferimento ai costi e ai benefici generati
dall’implementazione (o dalla mancata attuazione) di attività di gestione delle
risorse umane.
A questo livello può essere calcolata anche una serie di indicatori di risultato e
produttività che misurano l’apporto del personale al risultato economico
d’impresa. Questi possono essere distinti in indicatori di risultato e indicatori di
produttività. Tra gli indicatori di risultato ricordiamo: fatturato per addetto,
valore aggiunto per addetto. Tra gli indicatori di produttività, i più