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Ratzel coniò l'espressione “Lebensraum” (spazio vitale) come base teorica per quella lotta per lo spazio che divenne una base ideologica per
l'espansionismo tedesco.
All'inizio del XX secolo alcuni paesi avanzati seppero adeguarsi meglio alle trasformazioni tecnologiche e strutturali che si stavano
verificando e coglierne più di altri i vantaggi. Alcuni vecchi paesi di testa, forse sprofondati nell'autocompiacimento dei loro successi, furono
relativamente lenti a reagire ai cambiamenti strutturali a cavallo del secolo, soprattutto se confrontati con gli Stati Uniti, ma anche rispetto a
nazioni come Francia, Germania e Scandinavia. Nonostante alcuni segnali di debolezza, l'economia francese rivelò una forza impressionante
e la capacità di rinnovarsi: emersero nuove tecnologie e nuovi settori trainanti, come l'industria siderurgica. La Germania dei primi anni
Settanta dell'Ottocento era diventata sede della nuova rivoluzione industriale, facendo il paio con gli Stati Uniti. La Germania divenne una
grande potenza grazie alla sua vigorosa performance economica e alle eccellenti infrastrutture bancarie e dei trasporti. Liberatasi di
tecnologie ormai ritenute obsolete, poté focalizzarsi sui settori emergenti a intensità scientifica e tecnologica, sviluppando una struttura
industriale molto più moderna di quella dei suoi tradizionali rivali.
I paesi scandinavi, che fino a tardo Ottocento furono tra i meno industrializzati, con un'economia incentrata sui prodotti alimentari e le
materie prime, seppero trarre grande profitto dal processo di globalizzazione: presero a produrre per l'esportazione e convogliarono su di sé
consistenti investimenti esteri, soprattutto nelle infrastrutture. Così, all'inizio del XX secolo Danimarca, Svezia e Norvegia seppero adeguarsi
alle nuove esigenze economico-strutturali e imboccarono con decisione la via della moderna industrializzazione.
Capitolo 2: Il declino del laissez-faire e l'ascesa del mercato regolato
In una sua lezione, tenuta nel 1924 presso l'Università di Oxford, John Maynard Keynes mise criticamente a nudo i preconcetti a favore del
laissez-faire. È indubbio che le esperienze della guerra avessero svolto un ruolo importante nella formazione delle sue idee rivoluzionarie e
nella negazione del principio fondamentale di Adam Smith. Il punto di svolta fu, quindi, la prima guerra mondiale, la quale accelerò il crollo
del laissez-faire. Gli esperimenti tedeschi di controllo dell'economia di guerra da parte dello stato divennero una sorta di modello per tutti i
paesi coinvolti nel conflitto, Gran Bretagna compresa. Invece di procedere nella costruzione di un sistema economico di scala internazionale,
questi paesi abbracciarono il nazionalismo economico e perseguirono l'autosufficienza. L'interventismo pubblico giunse a svolgere un ruolo
sempre più rilevante durante la Grande Depressione dei primi anni '30, nella fase della preparazione della guerra nella seconda metà del
decennio e poi nel corso del conflitto. I primi 15 anni del Novecento, fino alla prima guerra mondiale, videro sia l'apice che il precoce
declino del sistema liberale. I primi sintomi della dissoluzione del laissez-faire cominciarono a manifestarsi già durante gli anni '70 del XIX
secolo, quando la prima “Grande Depressione” e la profonda crisi cerealicola europea colpirono numerosi paesi del continente. Fu l'ideologia
stessa del laissez-faire, unitariamente all'egemonia economica britannica e al dominio politico napoleonico, a suscitare fin dall'inizio dissenso
fra economisti e pensatori politici dei paesi non industrializzati. I primi attacchi di successo contro il laissez-faire, tuttavia, furono portati
durante la cosiddetta Grande Depressione del 1873-96. intorno alla fine del secolo, i concomitanti interessi dell'agricoltura (fortemente
colpita dalla concorrenza d'oltreoceano fin dagli anni '70) e dell'industria in sviluppo fecero diffondere in tutta Europa le protezioni tariffarie:
il paese che eresse le barriere protettive più alte fu la Russia. Allo scoppio della prima guerra mondiale, solo Gran Bretagna, Olanda e
Danimarca mantenevano ancora in vigore un sistema di libero mercato. Oltre alle barriere tariffarie, una strategia comune tra i paesi non
industrializzati del continente fu anche l'intervento dello stato nell'economia. Vari tipi di sussidi pubblici sostennero l'industrializzazione di
Russia, Ungheria, Romania e Bulgaria. La prima guerra mondiale contribuì ad elevare ulteriormente le barriere protezionistiche, come
naturale conseguenza sia dell'esaltazione nazionalistica, sia dell'esigenza, di ordine militare, di controbilanciare gli effetti del blocco navale
dell'Atlantico. Anche la Gran Bretagna, il paese pioniere e modello del laissez-faire, derogò ai principi del non intervento nel mercato. Con il
McKenna Act del 1915 anche la Gran Bretagna introdusse tariffe protezionistiche, scrivendo così l'epitaffio del laissez-faire ottocentesco.
Anche l'economia di guerra fu finanziata dallo stato: il governo introdusse nuove tasse e imposte, che durante la guerra risultarono più che
raddoppiate in termini reali; ciò nondimeno, le spese di guerra furono superiori alle entrate, sicché durante gli anni del conflitto il deficit
totale di bilancio superò i 7 miliardi di sterline. Per coprirlo, il governo fece ovviamente ricorso al credito, e il debito pubblico raggiunse il
300% del monte totale del risparmio d'anteguerra; venne emessa nuova carta moneta e tra il 1914 e il 1918 la circolazione monetaria giunse
quasi a duplicare. Alla fine, la Gran Bretagna abbandonò il sistema aureo, almeno temporaneamente. In Germania, l'economia di guerra fu
ancora più complessa e centralizzata, al punto da configurare di fatto un nuovo modello economico. La direzione, il controllo e la proprietà
dello stato divennero la prassi generalizzata delle economie di guerra: in Francia il Ministero della guerra istituì un dipartimento speciale con
il compito specifico di dirigere l'economia. La guerra e il sistema economico bellico ebbero conseguenze pesantissime sull'economia degli
anni tra i due conflitti. L'Europa non fu più in grado di tornare alla “normalità”, se così poteva definirsi il sistema laissez-faire del XIX
secolo. In varia misura, i primi anni del dopoguerra furono caratterizzati del declino economico. Uno dei fenomeni più allarmanti fu
l'inflazione galoppante, causata dall'esigenza di finanziare l'economia bellica, dall'accumulo di enormi debiti, dal grave calo della produzione
agricola e industriale, dall'oneroso fardello della ricostruzione e, in alcuni casi, dagli indennizzi. L'iperinflazione colpì soprattutto Germania,
Austria, Ungheria, Italia e Polonia, ma anche altri stati come Romania e Bulgaria. A subirne gli effetti più gravi, tuttavia, fu la Germania: nel
novembre del 1923 un dollaro era uguale a 4,2 miliardi di marchi; nessuno accettava più pagamenti in moneta, sicché il paese regredì
all'economia del baratto. A differenza dei paesi belligeranti, la maggior parte di quelli neutrali, come Olanda, Spagna, Norvegia e Svizzera,
uscirono dalla guerra e dal con economie rinforzate e redditi in ascesa. Alla fine della guerra, tuttavia, a causa delle carenze di energia, di
materie prime e di mercati, unitamente al riaprirsi della competizione internazionale e al netto restringersi delle possibilità di esportazione,
anche i paesi neutrali subirono delle battute d'arresto. Nessun paese europeo, insomma, fu immune dalle conseguenze negative del conflitto.
In aggiunta ai danni provocati dal conflitto, non venne meno quel clima avvelenato di rivalità mortale tra le grandi potenze, e il continente fu
sommerso da un'ondata di nazionalismo fondamentalista e di estremismo in svariate colorazioni. Infatti il Trattato di Versailles divenne, nella
percezione comune, la pace dei vincitori e, parafrasando Karl von Clausewitz, la pace apparve nulla più della continuazione della guerra con
altri mezzi, dato che sostanzialmente fu un accanirsi dei vincitori, soprattutto la Francia, sui vinti, soprattutto la Germania. Con questo
Trattato furono ridisegnati i confini delle nazioni: 38 unità economiche indipendenti sostituirono le 26 d'anteguerra ed entrarono in
circolazione 27 monete in luogo delle 14 precedenti. Queste variazioni territoriali suscitarono grandi manifestazioni di nazionalismo: si stava
profilando uno scenario di grandi sommovimenti. La Rivoluzione bolscevica in Russia, le rivoluzioni di sinistra i Ungheria, Baviera e
Bulgaria, e i conati rivoluzionari in Germania e Austria lanciarono le prime sfide al sistema capitalistico. Contemporaneamente nasceva
l'estremismo di destra: nel gennaio 1919 venne fondato in Germania il Partito dei lavoratori tedeschi, populista di destra, che aggiunse
l'aggettivo “nazionalsocialista” nel 1921 e adottò l'ideologia pantedesca dell'espansionismo e dell'antisemitismo sotto la guida di Adolf Hitler.
Seguì un'ondata controrivoluzionaria e nella regione baltica, nei Balcani e nell'Europa centrale si insediarono regimi nazionalisti autoritari.
Se il comunismo spesso si mischiò al nazionalismo, come in Ungheria e in Russia, l'estremismo di destra fu impregnato di nazionalismo
fondamentalista (es. fascismo). La Russia avviò il proprio esperimento comunista, mentre la maggior parte dei paesi dell'Europa centrale e
orientale e la totalità di quelli dell'area mediterranea erano governati da dittature di destra.
La radicale trasformazione dello scenario politico europeo dopo il primo conflitto mondiale comportò effetti economici immediati e destinati
a durare. I vincitori temevano di non riuscire a conservare i vantaggi conquistati, mentre i vinti tramavano vendetta. L'ideale divenne
l'autosufficienza, da perseguire bloccando le importazioni e sostituendole con prodotti realizzati internamente; gli strumenti che si diffusero a
questo scopo furono i dazi elevati, l'intervento dello stato e persino la nazionalizzazione delle imprese. Nel rispetto dell'ortodossia ma con
effetti controproducenti, il Gold Standard Act del maggio 1925 ristabilì i tassi di cambio d'anteguerra, di fatto sopravvalutando la sterlina di
un 10-20%; entro il 1926 avevano aderito a sistema 39 paesi, fra i quali la maggior parte di quelli europei. Ma la sopravvalutazione delle
monete colpì le esportazioni, rendendole più costose. Le grandi potenze uscite vincitrici dal conflitto cercarono di ristabilire le condizioni
internazionali d'anteguerra, nonché ovviamente il loro ruolo guida. Numerosi paesi sottoscrissero questa risoluzione, e nel gennaio 1931 si
riprese in mano la questione per valutarne i risultati. Ne emerse che nessuno dei governi firmatari aveva dato seguito all'iniziativa: il tentativo
era dunque fallito. Durante il dibattito, Voijslav Marinkovic, il ministro degli esteri della Iugoslavia, disse che