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Ma che cos’è la verità oggettiva?
(es. questo è un amico vero) La verità può consistere in una qualità di una persona o
di una cosa, chiamata verità dell’essere
(es. un enunciato è vero) e essa può consistere in una relazione tra enunciato e
realtà/fatto evocato, chiamata verità dell’enunciato; tutta via in questo caso non è
contenuto dell’enunciato PROPOSIZIONE
vero un enunciato, ma il che chiamiamo , in
quanto se fosse vero l’enunciato nel senso della semplice successione di suoni, ovvero
l’enunciato nel senso della forma espressiva fisica, la traduzione di ugual contenuto in
verità delle proposizioni
un’altra lingua non sarebbe più vera. Si parla dunque di .
Ciò che discuteremo sarò la verità delle proposizioni sul mondo esterno. Una
proposizione è vera se risponde ai fatti, falsa se non vi corrisponde.
Es. la neve è bianca
Questa concezione della verità si basa sulla conformità o non conformità, perciò si
chiama teoria della conformità; utilizzando il termine inglese correspondence la si può
chiamare anche teoria della verità come corrispondenza (teoria corrispondentista);
essa corrisponde ad una riformulazione della tesi classica, secondo cui la verità è la
corrispondenza della conoscenza con la realtà.
Aristotele, pur non usano il termine corrispondenza, l’ha riformulato in uno dei suoi tre
principi della logica, o principio di non contraddizione: «falso è dire che l’essere non è
o che il non essere è. Di conseguenza colui che dice di una cosa che è oppure non è, o
dirà il vero o dirà il falso».
Attraverso questa teoria delle corrispondenze, non c’è bisogno di dire che una
proposizione è vera, in quanto formulandola diciamo già che è vera; la parola vero può
essere tralasciata, se non per evidenziare il fatto che sia vero, assumendo così una
funzione espressiva, anziché descrittiva.
Contro la definizione della verità come corrispondenza di proposizione e fatto, si
levano parecchie obiezioni:
-la definizione è circolare: da dove sappiamo che sia vero che la verità consiste nella
corrispondenza tra proposizione e fatto? Dovremmo poter confrontare la nostra
definizione della verità con la verità, per poter giudicare se essa corrisponde o meno
ad essa.
-la definizione non è neutrale dal punto di vista epistemologico (cioè della
conoscenza). Questa posizione presuppone un ingenuo realismo epistemologico
(teoria secondo cui si può conoscere la realtà com’è in sé), secondo cui esiste un
mondo esterno in sé oggettivamente e indipendentemente dal modo di concepire
dell’uomo secondo cui la realtà appare così non solo in base alla nostra percezione.
Per sapere se una proposizione corrisponde a un fatto come realmente è,
bisognerebbe conoscere la proposizione e, indipendentemente da essa, anche il fatto.
Bisognerebbe assumere l’occhio di Dio che può vedere le due cose indipendentemente
l’una dall’altra.
- dato che non siamo Dio, la definizione scade in un infinito regredire a fatti infiniti, in
un infinito regresso:
per affermare che p1 corrisponde al fatto, dobbiamo fissare in p2 il fatto menzionato
per giudicare se p1 e p2 corrispondono o no. Ma per sapere se p2 corrisponde al fatto,
dobbiamo fissare questo fatto nella proposizione p3, e così via. Non si può dunque
confrontare il senso della frase, cioè la proposizione, col fatto, per accertare se la frase
corrisponde o meno al fatto, perché come già detto prima non abbiamo accesso al
fatto indipendentemente dalla proposizione.
Nessuno ha ancora visto coi suoi occhi il fatto che la neve sia bianca; esso non esiste
senza la proposizione, perché il fatto è conseguenza della proposizione.
Per questi motivi non possiamo adottare la teoria classica, secondo cui la verità
consiste in una corrispondenza con la realtà; in quanto la corrispondenza tra
proposizione e realtà (significati condivisi dalla collettività) non è una corrispondenza
sperimentabile fisicamente.
Tutta via c’è un metodo che ci permette di attenerci alla definizione classica della
verità, ma solo nei linguaggi la cui struttura sia stata esattamente definita prima.
Alfred Tarski lo ha proposto nel suo saggio; egli parla di enunciati, essendo del
parere che il concetto di proposizione non si abbastanza chiaro. Ovviamente neanche
Tarski intende gli enunciati nel senso di una semplice successione di suoni; egli
intende enunciati sensati a cui la verità e la falsità si addicono solo in modo derivato.
Originariamente solo il senso di un enunciato- la proposizione- è vero o falso. Tarski
riformula la definizione classica: «un enunciato vero è un enunciato che dice che le
cose stanno così e così, e le cose stanno appunto così» ma per lui lo schema generale
degli enunciati veri si rappresenta in questo modo:
“x è un enunciato vero se e solo se p”
X rappresenta un singolo nome a piacere
P l’enunciato stesso
Es. ‘la neve cade’ è un enunciato vero se e solo se la neve cade
Se invece del nome tra virgolette x, utilizziamo la variabile enunciativa «P»:
un enunciato «P» è vero se e solo se p
La verità di un enunciato «P» consiste dunque nell’eliminazione delle virgolette.
Il rapporto equivalente tra «’p’ è vero» e p, si chiama anche lo schema
dell’equivalenza.
Con questa riformulazione, ora la verità non rappresenta più una relazione tra
enunciato e realtà, bensì una relazione tra due diversi enunciati, cioè un enunciato del
linguaggio-oggetto (parole utilizzate per esprimere un determinato
concetto/significato) e un enunciato del metalinguaggio (le stesse parole
prescindendo dal concetto).
Il vantaggio di questa definizione della verità consiste nel fatto che essa non è più
legata ad un realismo epistemologico, ma essa è neutrale dal punto di vista
epistemologico. La concezione semantica dice solo ciò che significa l’espressione
«vero», concetto che appartiene al metalinguaggio. L’inconveniente della concezione
semantica consiste nel fatto che essa esprime soltanto una definizione del significato
dell’espressione vero o verità, ma non un criterio di verità.
Le teorie della verità che si fondano solo sullo schema dell’equivalenza di Tarski si
minimaliste.
chiamano anche
La definizione classica di verità invece si propone di offrire sia una definizione, sia un
criterio di verità; mentre nella riformulazione di Tarski essa non vale come criterio di
verità.
[appunti: Tarski costruisce l’ipotesi di dover riscontrare questa corrispondenza tra le
parole che utilizziamo per esprimere un determinato concetto o significatob(linguaggio
oggetto) e le parole stesse prescindendo dal concetto (metalinguaggio). Entrambi si
compongono però delle stesse parole.
Secondo Tarski la percezione costituisce il primo stadio della rappresentazione
mentale, non l’ultimo. Esso appartiene alla rappresentazione mentale e non alla realtà
oggettiva. Dalla presa d’atto di questa nuova conoscenza, essa non è legata
all’elemento preso in considerazione, ma alla mente, la quale può costruire un’ipotesi
della realtà circostante, esterna, la quale a sua volta la induce a comprendere
l’equivocità di considerarla una cosa reale, esterna alla mente stessa. Con Tarski non
c’è più corrispondenza tra una proposizione, cioè un enunciato di tipo dichiarativo, e la
realtà oggettiva. Egli sposta ciò nel simbolico, cioè nella corrispondenza tra la parte
del linguaggio metalinguaggio e la parte del linguaggio oggetto. Egli taglia fuori
l’elemento esterno, ciò ci consente di affermare che le rappresentazioni mentali non
esistono nella realtà, ma l’elemento esiste nella mente. Detto questo si potrebbe dire
che non c’è nulla e che si può raggiungere la conoscenza senza la realtà oggettiva
(Leibniz- monade)].
A causa dell’inadeguatezza di una definizione della verità che non esprime alcun
criterio di verità, si deve andare alla ricerca di altri criteri di verità, per approcciarsi
alla realtà:
della COERENZA: siamo indotti a ritenere vero quel concetto che risulta
coerente, nel senso che non ci sono contraddizioni, con altri concetti con i quali
entra in contatto.
Es. sistema tolemaico: la proposizione secondo cui il sole girava attorno alla terra, fu
vera in quanto allora era in relazione non contraddittoria con il sistema di altre
proposizioni, cioè copernicane. Questo principio non vale come principio per provare la
verità, ma solo per avvicinarsi.
dell’EVIDENZA: se un elemento è evidente, allora è!
Es. schiavi per natura ai tempi di Aristotele=principio per natura.
Questo criterio conferma la verità in un bacino già confermato e non garantisce la
pretesa di obiettività dunque non permette di arrivare alla verità.
del CONSENSO SOCIALE: prende in considerazione ipotesi secondo cui si
raggiunge la verità se c’è un consenso ampio. Se una comunità è d’accordo nel
considerare vera una determina cosa, essa viene ritenuta vera. In linea di
principio però un’affermazione può essere vera anche quando l’ha riconosciuta
solo una singola persona. Ciò che è riconosciuto vero sembra essere vero, o
meglio è probabile.
dell’UTILITÀ, detto anche criterio pragmatico. Tutto ciò che è utile, è vero.
Es. chiede info stradali
Ma è sempre utile dire la verità? A volte essa non è legata all’utilità. (es. depresso)
Del CONSENSO fra saggi, studiosi: accordo/consenso definitivo di tutti gli
studiosi che si occupano della stessa teoria è la prova della verità di quella
teoria. Ma anche da qui non consegue ancora verità. La ricerca scientifica può
proseguire all’infinito.
La verità in termini assoluti non è raggiungibile dalla mente umana.
Nessuno di questi cinque criteri basta per dire che una proposizione del
linguaggio-oggetto P sia vera.
Il concetto di verità è sopravveniente ai criteri di verità; il concetto di verità ne
dipende, in quanto sena di ess