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I quattro articoli (articoli 25-28) del Capitolo II, Sezione II, della III Convenzione di Ginevra
del 1949 contengono disposizioni relative all’alloggio, al vitto e al vestiario dei detenuti. In primis,
l’articolo 25 richiede l’uguaglianza delle condizioni d’alloggio dei prigionieri rispetto a quelle
riservate ai membri delle truppe della Potenza detentrice che si trovino nella stessa zona. Si fa
particolare riferimento ai dormitori, e precisamente alle misure di superficie totale e alla cubatura
d’aria minima, alle suppellettili, ai letti e al loro materiale. L’alloggio deve essere conforme agli usi
e ai costumi dei prigionieri e non deve danneggiare la loro salute. I locali, perciò, devono essere del
tutto privi di umidità, riscaldati a sufficienza e illuminati. Sono poi previste precauzioni per evitare
il rischio di incendi o per debellare quelli scoppiati. Infine, è obbligo della Potenza detentrice
dotarsi di dormitori separati per le prigioniere. A Guantanamo, a camp Delta, non esistono
apparecchi di condizionamento dell’aria. Nel braccio «Uno», ogni cella ha le misure di un metro e
ottanta di larghezza per due metri e mezzo di profondità. È aperta su ogni lato, perché siano
controllati tutti i movimenti dei detenuti. Il letto è composto da una rete di ferro battuto e da un
materasso di schiuma e occupa quasi tutto il locale. È largo solo settanta centimetri, per impedire
qualsiasi movimento. Il resto dello spazio è occupato da una turca d’acciaio per i bisogni fisiologici
e da un lavabo anch’esso d’acciaio. Tutto ciò, ovviamente, contrasta con l’articolo 25 della III
Convenzione di Ginevra. In più, non esistono tende e non esiste, di conseguenza, intimità, in
un’ulteriore violazione dell’articolo 14 . I prigionieri non hanno la facoltà di vedere il mare, né di
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sentirlo, visto che una «benda di nylon verde copre tutto» il perimetro del campo. In più, la luce li
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acceca giorno e notte, perché, al tramonto, la luminosità naturale del sole è sostituita da luci
fotoelettriche, che creano scompensi fisici e mentali ai reclusi, come racconta Sayed Abassin .
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Relativamente al cibo, la III Convenzione di Ginevra del 1949 contiene specifiche
disposizioni relative al vitto dei prigionieri di guerra. L’articolo 26, in particolare, prevede che «La
razione alimentare quotidiana di base sarà di quantità, qualità e varietà sufficienti per mantenere i
prigionieri in buona salute ed impedire perdite di peso o perturbamenti dovuti a denutrizione. Sarà
pure tenuto conto del regime cui i prigionieri sono abituati». Tale norma stabilisce che la razione
C. BONINI, op. cit., p. 28-32.
1 C. BONINI, op. cit., p. 30.
2 C. BONINI, op. cit., p. 34: «Da quando sono tornato da Guantanamo non riesco più a vedere come prima.
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Colpa della luce accecante del giorno, delle fotoelettriche di notte. Per dormire, provavo a coprirmi il volto
con una coperta, ma le guardie me lo impedivano. Ho vissuto in uno zoo dove tutto era vietato. Anche fare
ginnastica nella mia cella. Ci ho provato una volta e mi hanno punito con cinque giorni di isolamento nella
gabbia dalle mura chiuse…».
quotidiana debba essere varia, di buona qualità e sufficiente a mantenere i prigionieri in buona
salute e a impedire che gli stessi dimagriscano o soffrano di problemi di denutrizione. In ogni caso,
va presa in considerazione la dieta abituale dei prigionieri. Sarà data una razione maggiore ai
prigionieri lavoratori, sulla base del dispendio calorico richiesto dall’incarico svolto. Inoltre, i
prigionieri hanno diritto all’acqua potabile e all’uso del tabacco. Hanno, poi, il dovere di prepararsi
il cibo, con la possibilità di essere adibiti alle cucine e di ricevere i mezzi per cuocere le razioni
supplementari. Refettori e mense saranno collocati in locali confortevoli. Infine, si afferma una
norma fondamentale: il divieto di colpire i prigionieri con provvedimenti disciplinari collettivi
miranti a imporre restrizioni in materia di vitto dei detenuti stessi. C. BONINI dedica un intero
capitolo al vitto dei detenuti di Guantanamo . «Nelle gabbie si ingrassa. (“…”) Di quel grasso si
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mena vanto con gli osservatori della Croce rossa internazionale, perché «sintomo di salute», di
affrancamento dalla nutrizione» . I responsabili del campo, però, tacciono sul fatto che il cibo,
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somministrato tre volte al giorno ai prigionieri, venga, in realtà, imposto: non è possibile rifiutarlo.
Il risultato è l’affiorare di squilibri mentali, che portano alla depressione, e problemi fisici, legati
all’immobilismo forzato nei letti delle celle. Il pranzo è servito alle 11.30, direttamente nelle celle,
anche se ciò è nettamente in contrasto con il quinto comma dell’articolo 26 . I reclusi hanno solo
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venticinque minuti per terminare il pasto. Non sono dotati né di forchette, né di coltelli: è concesso
solo l’uso dello spork, «curioso arnese in plastica incrocio tra un cucchiaio (spoon) e una forchetta
(fork)» , poiché è un oggetto innocuo, inutilizzabile come arma. La cena è fissata alle 20, mentre la
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colazione alle 6.30. Il breakfast non cambia mai, cosa che è contraria all’articolo 26, che prescrive
un’alimentazione varia. Anche la varietà degli altri pasti è, in ogni caso, ripetitiva: infatti ogni
settimana, la «monotona rotazione» si replica, tanto da scandire il tempo per i detenuti. Nonostante
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tutto, agli occhi dei responsabili, i prigionieri avrebbero garantito l’assortimento richiesto dal diritto
internazionale. Nella cucina è persino possibile consultare un «librone bisunto» , che fungerebbe da
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menu. La ripetizione, in realtà, è voluta perché «evadere da un’abitudine imposta può diventare un
sogno, un desiderio insostenibile» . Anche se, si noti, questa quotidianità invariabile può
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C. BONINI, op. cit., p. 37-42.
4 C. BONINI, op. cit., p. 37.
5 «Locali convenienti saranno previsti come refettori e mense».
6 C. BONINI, op. cit., p. 38.
7 C. BONINI, op. cit., p. 39: «Perché quando porterai nuovamente alla bocca il pollo che già hai mangiato,
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significherà che di giorni ne sono passati sette».
C. BONINI, op. cit., p. 39.
9 C. BONINI, op. cit., p. 39.
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trasformarsi in variabile ad una condizione: il prigioniero può ottenere un happy meal di
McDonald’s, delle patate fritte, un frappè oppure una fetta di baklava, ma solamente se collabora
durante gli interrogatori. Occorre, poi, ricordare che molti dei detenuti, se non la totalità, sono di
religione musulmana ed osservano il Ramadam. Per questi periodi (e anche in caso di emergenza),
vengono somministrate ai prigionieri le MRE (acronimo di Meal Ready to Eat). Si tratta di cibo
disidratato, precotto e sottovuoto, pronto al consumo. Tre sono le scelte: Burrito, Tortellini al
formaggio e Pasta in Alfredo’s sauce. 227 grammi l’uno per un totale di 3000 calorie, da consumare
in pochi minuti. «Mangiare MRE è come mettere in bocca una spugna. Ti riempi di retrogusti forti e
lo stomaco si gonfia subito» . Una tortura, che diventa ancora più inumana se pensiamo che viene
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legittimata con il ricorso alla religione, in netto contrasto con l’articolo 75 del I Protocollo del 1977.
In virtù dell’articolo 27, la Potenza detentrice ha l’obbligo di dotare i prigionieri di guerra di
vestiti, biancheria e calzature in quantità sufficiente e di qualità adeguata al clima tipico della zona
in cui si trova il campo. Per di più, qualora il clima lo permetta, possono essere usate per i
prigionieri le uniformi ritirate dagli eserciti nemici. I prigionieri lavoratori avranno indumenti
adeguati a svolgere i propri incarichi. La sostituzione e la riparazione dei capi devono essere
garantite dallo Stato detentore. La violazione dell’articolo 27 può essere rilevata nel campo di
Guantanamo: infatti, ogni gabbia è dotata di «un paio di ciabatte di gomma infradito, due
asciugamani, due coperte, un cuscino, un paio di short arancioni come la tuta, due t-shirt bianche,
un copricapo e dell’olio per la preghiera, una saponetta, uno spazzolino tronco e arrotondato nel
manico, di un materiale impossibile da scalfire, perché nessuno abbia la tentazione di farne un’arma
da taglio» .
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L’articolo 28 provvede all’apertura di veri e propri negozi, forniti di cibo, oggetti, sapone e
tabacco, che i prigionieri potranno acquistare al prezzo di vendita (il quale, tra l’altro, non può
superare il prezzo del commercio locale). Esiste un vincolo di destinazione dei ricavi sviluppati con
le vendite di tali articoli: essi andranno ad arricchire un fondo speciale, che sarà utilizzato solo a
favore dei prigionieri di guerra.
Una persona di fiducia amministrerà la cantina e il fondo. Il saldo a credito di un fondo
speciale di un campo soppresso deve essere consegnato ad un organizzazione umanitaria
internazionale, la quale lo prenderà in carico e lo indirizzerà a prigionieri connazionali di coloro che
hanno creato il fondo stesso. Gli utili che eventualmente residuino dopo il rimpatrio generale, sono
tenuti dalla Potenza detentrice a meno che sia valido, tra le Parti, un accordo di diverso avviso.
C. BONINI, op. cit., p. 42.
11 C. BONINI, op. cit., p. 29.
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