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Nel 1848 il compositore aveva iniziato ad abbozzare un poema che voleva mettere in musica, La

morte di Sigfrido, che negli anni seguenti si allargò proliferando nella tetralogia de L’anello del

nibelungo (L’oro del Reno, Sigfrido, Crepuscolo degli dei). Nel 1860 tentò la strada di Parigi, dove

fu rappresentato il Tannhäuser, che suscitò scandalo ma ottenne l’effetto di far acquistare risonanza

europea al compositore. Nel 1864, a causa dei soliti problemi economici si trasferì presso la corte di

Monaco di Baviera, dove furono rappresentate alcune sue opere e dove, grazie a una generosa

sovvenzione del re, fu costruito un teatro dedicato appositamente alla musica di Wagner.

Dal 1877 al 1882 Wagner si dedicò alla composizione del Parsifal, il suo ultimo dramma musicale.

La concezione wagneriana del dramma musicale, come si vede ne L’anello del Nibelungo è molto

particolare  musica dell’avvenire: Wagner partiva da una premessa radicale, che troncava alla base

ogni idea di musica “assoluta”: la musica aveva bisogno secondo lui di una giustificazione esterna

di carattere poetico, drammatico o coreografico, altrimenti rimaneva priva di senso.

Con Beethoven però le cose cambiarono, e a Wagner egli apparve come colui che definitivamente

aveva chiuso la stagione della musica strumentale pura, conducendola al traguardo da sempre

ambito dell’unione con la parola.

Proseguendo su questa strade “beethoveniana”, Wagner giunse a formulare quella che per lui

doveva essere l’opera d’arte dell’avvenire: il Wort-Ton-Drama, cioè l’unione di parola-suono-

azione in un’opera d’arte totale, così come accedeva nella tragedia dell’antica Grecia.

Fra le tre costituenti dell’opera d’arte totale non vi è però parità: il fine di tutto è il dramma e

musica e parola non sono altro che i mezzi per realizzarlo. Secondo Wagner inoltre il dramma deve

raffigurare il “puramente umano”  soggetti mitici mostrati nella loro essenza più pura e universale.

Se la musica è al servizio del dramma, nello stesso tempo ne è anche il grembo materno, essendo il

dramma la resa visiva delle azioni musicali  ecco la tecnica del Leitmotiv, come tessuto connettivo

dell’intero dramma. Tutto ciò che avviene sulla scena può essere rafforzato o contraddetto dalla

trama dei Leitmotive: l’orchestra raffigura spesso l’inconscio dei personaggi. Poiché inoltre ogni

Leitmotiv viene impiegato numerose volte lungo la partitura, esso deve possedere una natura tale da

potersi adattare a qualsiasi contesto armonico in cui venga introdotto  cromatismo (Tristano e

Isotta).

L’adattamento dei Leitmotive ai contesti più disparati rende quasi obbligatorio l’abbandono delle

forme chiuse, che non offrirebbero l’elasticità necessaria a un tale principio drammaturgico; così la

forma musicale è data dalla stessa connessione dei motivi conduttori, che si incastrano fra loro

senza far ricorso ad alcune formula di riempitivo cadenzale  melodia infinita che si snoda senza

interpunzioni (tecnica dell’elaborazione motivico-tematica del Classicismo elevata all’ennesima

potenza).

Se tutto deve essere al servizio del dramma è ovvio che per quanto riguarda lo stile vocale il primo

intento deve essere quello di far capire bene le parole.

La drammaturgia wagneriana si staglia sull’orizzonte della sua epoca come un blocco unitario e

compatto, ma non sono poche le contraddizioni che ne minano la granitica coerenza  volontà di

fare una “musica dell’avvenire” guardando però molto al passato (slanci rivoluzionari convivono

con atteggiamenti fortemente reazionari). Un’ulteriore contraddizione riguarda la ricezione del suo

teatro musicale: i drammi di Wagner sono piuttosto ostici all’ascolto (lunga durata, mancanza di

“melodie”, richiesta di notevole concentrazione), eppure la “moda” wagneriana dilagò in tutta

Europa, soprattutto il Parsifal generò quasi una specie di culto.

Nel 1888 però un wagneriano d’eccezione come Nietzsche, si scrollò di doso l’ammirazione per il

compositore di Lipsia contrapponendogli la nitidezza tagliente e crudele del giovane compositore

francese Geoges Bizet (1838-1875) nella Carmen rappresentata per la prima volta nel 1875, la cui

atmosfera è quanto di più lontano ci fosse rispetto al mondo wagneriano e che introduce nel mondo

operistico personaggi completamente nuovi (amori sensuali, mancanza del senso della morale,

omicidio in scena, completa mancanza di sentimentalismo): l’opera scontentò tutti i parigini e solo

dal 1883 l’opera si impose in un successo che non conobbe più tramonto, anche se nel frattempo la

morte aveva colto il suo autore.

18. Il sinfonismo del secondo Ottocento, da Brahms e Mahler – storia di “progressiti” e

“conservatori”

La forza di convincimento esercitata dai neotedeschi, con produzione musicale e campagna di

stampa, sembrava inarrestabile. Ma nel 1854 fu pubblicato a Lipsia un volumetto di estetica che

sosteneva tesi radicalmente opposte: si trattava del saggio di Eduard Hanslick, critico, musicologo

ed est etologo. La posizione di Hanslick, detta poi formalismo, era molto semplice: la bellezza della

musica non consiste nel sentimento che essa vorrebbe esprimere, ma è interna alla musica stessa.

Nella sua epoca però Hanslick non fu l’unico ad andare controtendenza: nel 1860 un piccolo gruppo

di musicisti decise di firmare un manifesto per dichiarare pubblicamente la propria indipendenza dai

neotedeschi, che rischiavano di apparire come l’unica corrente compositiva della Germania. Tra

questi giovani vi era Johannes Brahms.

Brahms, il “conservatore”

Johannes Brahms (1833-97) aveva solo vent’anni quando intraprese una tournée pianistica

attraverso la Germania, che gli permise di conoscere e stringere un saldo rapporto con Schumann,

che fu il trampolino di lancio per la sua consacrazione a nuovo astro nella musica tedesca.

Ad un così fulgido avvio seguì però un periodo di crisi creativa: per trovare “vie nuove” Brahms

protese il suo sguardo all’indietro e negli anni ’60 riaffiorò con uno stile musicale personale e

solidissimo, coniugando l’insegnamento di Bach e Beethoven  il contrappunto di stampo bachiano

diventa un mezzo quasi onnipresente per realizzare il principio beethoveniano dell’elaborazione

motivico-tematica. Questo intenso lavorio compositivo, tipico nello stile classico della musica da

camera, venne esteso da Brahms anche alla musica sinfonica, corale e al Lied per pianoforte.

A ben vedere, anche se egli parte da premesse ben diverse da quelle dei neotedeschi, alla fine

giunge a risultati assai simili. In realtà è tutta la sua epoca ad andare nella stessa direzione, in un

processo che conduce da una forma “architettonica” ad una forma “logica”.

Forse per sottolineare il suo profondo legame con il Classicismo viennese, alla fine del 1862 egli

andò a vivere proprio a Vienna, dove divenne amico di importanti musicisti, musicologi e

intellettuali, fra i quali Hanslick, amministrando in modo molto metodico le sue finanze.

Altrettanto metodico si dimostrò nell’accostarsi ai veri generi musicali  dapprima musica per

pianoforte, negli anni ’60 musica da camera, deliberatamente trascurata dai neotedeschi in quanto

troppo connessa alla tradizione che volevano superare; frattanto aveva scritto numerosi Lieder e

varie composizioni corali, fra le quali una contribuì in modo decisivo alla sua notorietà: Un requiem

tedesco, liberamente tratto dalla Bibbia in tedesco. Dopo vaste composizioni sinfonico-corali giunse

il momento di approdare alla sinfonia: la sua Prima sinfonia in do min. vide la luce nel 1876, di

stampo profondamente beethoveniano e proposta ad un pubblico abituato ormai ad ascoltare solo

musica a programma. Due furono infatti le accuse mosse a Brahms: quella di essere “accademico” e

quella di scrivere musica difficile.

Proprio negli anni ’70-’80 si assistette ad una nuova fioritura della sinfonia e Brahms fu seguito da

altri compositori su questa strada: una volta sciolto il ghiaccio con il genere sinfonico, seguirono per

il compositore anni di intensa produttività.

Non va dimenticato che il compositore il cui nome è maggiormente associato alla musica da camera

ha riservato più della metà delle sue pubblicazioni alla musica vocale, tanto per una o più voci e

pianoforte, quanto per coro con o senza accompagnamento.

Gli altri “progressisti”

Anche gli altri musicisti contemporanei a Brahms vennero coinvolti, loro malgrado, dalla faziosità

dell’atmosfera di quei tempi. Per l’amicizia che lo legava a Wagner, Anton Bruckner (1824-96) fu

assimilato ai neotedeschi, anche se con essi aveva ben poco a che fare sia sul piano musicale che su

quello ideologico e dell’“attivismo culturale”. Un altro compositore austriaco, Hugo Wolf (1860-

1903), fece in tempo a schierarsi dalla parte dei “progressisti”.

Tramonto dell’Ottocento: Gustav Mahler e Richard Strauss

L’Ottocento stava giungendo al tramonto e germinavano i fermenti di una crisi profonda che

sarebbe deflagrata nel periodo che va dal 1914 al 1945.

Queste crepe vennero messe in lucida evidenza dalla musica di Gustav Mahler (1860-1911): le sue

sinfonie sono percorse da frequenti squarci di musica “bassa”, uniti a motivi più “nobili”  in

Mahler il “bello” si appropriava anche del “brutto” o del banale per rendere in musica la totalità del

mondo, con tutte le sue contraddizioni. Ma il pubblico dell’epoca non era pronto ad accogliere un

atteggiamento così nuovo e provocatorio: agli occhi dei contemporanei per di più, l’eterogeneità dei

materiali musicali impiegati da Mahler non era riscattata neppure da espliciti programmi letterari,

infatti egli sottolineava piuttosto la necessità di un “programma interno” fatto di sensazioni, rispetto

a un “programma esterno” che fungeva da mero punto di partenza.

Anche se alcuni tratti della sua produzione sono fortemente indebitati con l’atmosfera tardo-

romantica, per altri versi Mahler fu salutato da compositori del Novecento come Schönemberg,

come loro maestro e capofila, visto che vari caratteri della musica mahleriana sono anticipatori delle

nuove tendenze  atteggiamento dissacratorio, posizione all’infuori dell’estetica romantica

servendosi di materiali precostituiti che andava a riassemblare insieme, come ebbe amplissima eco

nel secolo che stava iniziando.

Se Mahler, più o meno consapevolmente, anticipa alcune tendenz

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A.A. 2014-2015
39 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/07 Musicologia e storia della musica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher viola_fr di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della musica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Cafiero Rosa.