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LA MONODIA LITURGICA CRISTIANA
Non essendo arrivate alla cultura scritta le musiche greche e romane possiamo dire l’unico
repertorio arrivato faticosamente fino alla cultura scritta è quello, di tradizione comunque
orale, che viene comunemente denominato CANTO GREGORIANO in quanto ultimo
prodotto di una lunghissima ed elaborata storia.
Possiamo supporre che la prima comunità cristiana utilizzasse un canto non troppo dissimile
a quello delle sinagoghe infatti la liturgia ebraica era caratterizzata dalla “cantillazione” cioè
parole intonate su forme melodiche tradizionali costituite da intervalli microtonici. Diversa
struttura invece la avevano i salmi che erano recitati su un’unica nota in ripetizione
preceduta e seguita da formule di intonazione e cadenza.
Oltre all’ebraico, la lingua più frequentemente impiegata nella liturgia fu sicuramente il greco
seguita successivamente dal latino che iniziò ad affiancarsi gradualmente a quest’ultimo
diventando predominante nella seconda metà del IV sec. Oggi alcune parole sono la traccia
dell’antica liturgia (alleluia-amen → ebraico, kyrie eleison →greco) ma la forma della messa
latina risale a non prima dell’VIII sec.
313 dc → editto di costantino con libertà di culto
380 dc-408 dc → editto di teodosio e Onorio con eliminazione di templi ed atti di culto non
cristiani quindi nel IV secolo vengono poste le basi per la piena affermazione della chiesa.
Parte integrante della solennità rituale cristiana era ovviamente la musica (amplificazione
rituale), che però svolgeva anche la funzione di amplificazione fonica e melodica.
Amplificazione fonica: cantare fa sentire di più del parlare
Amplificazione melodica: la monodia liturgica rendeva l’intrinseca musicalità della lingua
latina. Questo perché il linguaggio parlato e quello cantato sono molto vicini (cantus
obscurior di cicerone ad esempio) infatti il termine greco PROSODIA (pros odè) significa
vicino al canto ma anche il termine latino accentus proviene da ad cantus. Di ogni parola
latina si può tracciare una sorta di diagramma melodico in cui la sillaba accentata
corrisponde al punto più alto. Il cantus può essere di due tipi → SILLABICO e
MELISMATICO/FIORITO, il primo più essenziale (antifona) mentre il secondo (offertorio) era
più libero e ricco.
Il ritmo si modellava sulla dizione parlata del testo, i melismi erano cantati liberamente
perché generalmente eseguiti da solisti.
Quasi tutto il repertorio gregoriano giunto fino a noi è caratterizzato da amplificazione
melodica con alcune eccezioni dovute a:
1) melodie molto tarde, risalgono ad un tempo in cui l’accentuazione melodica non era più in
uso
2)Salmi: come nell’intonazione ebraica si doveva mantenere fissi su un’unica nota ergo era
impossibile seguire il profilo di ogni singola parola.
3)Inni: composizioni di lode a Dio cantate (in greco) fin dall’inizio del cristianesimo e che
ebbero enorme diffusione in forma strofica con versi regolarmente ritmati e comprensibili. Se
strofica non può avere un legame testo/musica.
Il passaggio da seminarium musices in melodie in senso stretto non avvenne in maniera
repentina né omogenea in quanto gli stili di canto erano diversi nei vari territori. Dal IV
secolo in poi ed in particolare intorno al VI sec i due campi fondamentali erano:
CHIESA D’OCCIDENTE→ con lingua latina e rito vetero-romano, ambrosiano, aquileiese,
beneventano, gallicano, celtico ed ispanico (detto visigotico-mozarabico).
CHIESA D’ORIENTE→ frammentata in molte lingue (greco, armeno, siriaco arabo,
georgiano ecc) e molti riti che si iniziarono a profilare nella prima separazione da roma
(482-518) e concretizzati nel 1054 con lo scisma.
L’attribuzione del canto gregoriano a SAN GREGORIO MAGNO è inesatta, anzi pare che
volesse “celebrare” le diversità nelle varie circoscrizioni territoriali.
CAPITOLO 3
LE GRANDI INNOVAZIONI DEL IX SECOLO
Dopo l’alleanza fra papato ed impero iniziò uno scambio continuo tra Roma ed Aquisgrana
fino ad arrivare all’incoronazione di Carlo Magno ad opera di Papa Leone III nell’800.
Ci si rese conto ben presto che il canto liturgico in uso presso i franchi e quello romano
erano molto differenti (differenza rito gallicano e vetero-romano). Pipino ei suoi discendenti si
occupavano di problemi prettamente religiosi perché si definivano sovrani dotati di
investitura divina (olio sacro) quindi occuparsi della liturgia fu un processo automatico. In
realtà la motivazione fu prettamente politica in quanto il pluralismo rituale avrebbe rallentato
il processo di accentramento voluto dal sacro romano impero. Si cercò quindi di trapiantare
presso i Franchi il rito romano sia inviando maestri da Roma che accogliendo cantori nella
città papale ma, secondo le cronache di Giovanni Diacono e di un biografo di Carlo Magno,
le cose non andarono come si pensava: i franchi incolpano i maestri romani di complottare
contro di loro insegnando nella maniera peggiore possibile mentre Giovanni Diacono
afferma che i franchi fossero solo dei barbari e quindi incapaci di cogliere le raffinatezze del
canto vetero romano. Ovviamente il processo di sostituzione del canto gallicano con quello
romano si rivelò infruttuoso e si concluse con un prodotto ibrido fra i due riti. Il problema
principale era anche la modalità di insegnamento che era basata unicamente sulla memoria
mentre un altro problema era che il rito vetero romano usava intervalli più piccoli (microtoni)
che rendevano la memorizzazione ancora più difficoltosa per i franchi. In ogni caso
l’abolizione del canto gallicano sarebbe rimasta insoluta anche con una gestione diversa del
processo per questo serviva necessariamente una giustificazione “leggendaria” e si optò per
la leggenda di Papa Gregorio I (regno durante il 600) con la leggenda della colomba
dettante le musiche da far trascrivere ad un monaco. L’affermare che lo spirito santo fosse
l’inventore del “nuovo canto” lo rendeva ufficiale agli occhi degli altri e quindi il canto
franco-romano divenne ufficialmente GREGORIANO.
Con il canto gregoriano si forma il concetto di repertorio cioè un corpus di musiche definito
che non può essere più mutato (come del resto la bibbia), questo porta ad una graduale
scomparsa dell’improvvisazione nel canto liturgico ( tranne in alcuni ambiti) perché era
sempre più importante attenersi fedeli ad un testo musicale preesistente. Muta anche la
modalità di insegnamento cioè diventa un apprendimento passivo dove si impara a memoria
con ripetizioni una melodia già codificata (dieci anni erano appena sufficienti per imparare
tutto). Tra l’VIII e il IX sec ci fu quella che è definita cristallizzazione del canto liturgico. Per
favorire la memorizzazione si suddivise il repertorio a seconda del modo (scala) usato,
all’inizio si usavano modi semplici che ruotavano attorno ad una corda madre (do, re, mi)
mentre in epoca carolingia i “poli erano due” cioè la RIPERCUSSIO (o corda di
recita/dominante sulla quale si recitavano i salmi ad es) e la FINALI cioè nota finale. I modi
erano:
Ovviamente tutto questo non aiutava nella memorizzazione IN TOTO, per quello si è sentita
l’esigenza di appoggiarsi ad un nuovo ausilio cioè la scrittura.
Nel IX secolo sacerdoti e diaconi si servivano dei segni convenzionali (neumi ) sui libri
liturgici (una sorta di punteggiatura) per intonare i testi in stile di salmodia.Successivamente,
per assicurare la sopravvivenza del canto gregoriano nella sua integrità e in maniera
identica in tutto l’impero, si iniziarono a compilare dei manoscritti utilizzabili da cantori
(schola cantorum) e dai celebranti che però non servivano per la pratica musicale nel
concreto ma solo per la consultazione qualora servisse.
Come sappiamo dalle testimonianze di Notker Balbulus al tempo di Carlo Magno vennero
introdotti “TROPI E SEQUENZE”.
Tropo: dal verbo farcire, si intende un’amplificazione testuale in ORIZZONTALE che aiutava
la memorizzazione di lunghe linee musicali. Es: Invece di un melisma vuoto sulla parola
“Kyrie” si utilizza la frase “cunctipotens genitor deus omnicreator” così da memorizzare
meglio ma utilizzando comunque una parafrasi della parola kyrie. Il tropo è anche un
melisma del tutto nuovo che si aggiunge per rendere più lunga la musica per le grandi
celebrazioni.
Sequenza: Inizialmente erano le “prose” adattate ai melismi dell’alleluja, poi divennero delle
composizioni autonome in poesia. In esse coppie di strofe erano cantate sulla stessa frase
musicale; nel medioevo erano tantissime ma nel XVI secolo (1545) vennero abolite del tutto
tranne cinque e cioè “ Victimae paschali laudes, Veni Sancte Spiritus, Lauda Sion
Salvatorem, Stabat Mater (prima esclusa poi reintrodotta nel 1727) ed il Dies Irae.
Sempre in epoca carolingia venne introdotta la polifonia nella liturgia che venne quindi
tramandata da fonti scritte. Se le sequenze sono amplificazioni orizzontali, la polifonia è
un’amplificazione VERTICALE.
CAPITOLO 4
LA NOTAZIONE NEUMATICA E GUIDO D’AREZZO
Con il passare del tempo anche la schola cantorum avvertiva l’esigenza di annotare i canti
liturgici (specialmente quelli che non si eseguivano spesso) e spesso l’amanuense doveva
servirsi di spazi minuscoli (anche di pochi millimetri). I segni nelle varie notazioni sono:
a seconda di come era trascritto il pes si aveva un’indicazione di carattere esecutivo.
Le Litterae significativae o lettere aggiuntive sono delle lettere che arricchiscono e
completano i neumi nella notazione adiastematica del canto gregoriano. Queste lettere
possono dare indicazioni melodiche oppure ritmiche.
Esempi di Litterae presenti nella notazione sangallese:
Con significato melodico
a : altius - più in alto.
s : sursum vel susum - salire, alzare.
i : iusum vel inferius - più giù.
e : equaliter - stesso grado, unisono.
Con significato ritmico
c : celeriter vel cito - rapidamente.
t : tenere vel trahere - trattenere.
Con significato di emissione
f : frendor vel fragor - fragore, con forza.
k : klenche - forte.
g : gutture - con la gola.
Con significato espressivo
len : leniter - lievemente.
mott : molliter - con morbidezza.
Questo tipo di scrittura si chiama ADIASTEMATICA (o a campo aperto) perchè non indicava
l’altezza dei suoni mentre quella in uso in alcuni monasteri francesi dell’Aquitania viene detta
DIASTEMATICA in quanto si indicava l’altezza (approssimativa) dei suoni. Quest’ultima finì
per prendere il sopravvento, addirittura G