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Marmor Parium, un regesto di tutti gli eventi del mondo attico fra il mitico Cecrope e l’arconte Diogneto.

CAPITOLO 4 – L’ARSENALE

Un senso della comunità, antagonismo fra comunità e la capacità di esplicare la propria individualità sono i

sentimenti che innescano la diffusione dei monumenti artistici e dei documenti storici nelle poleis greche.

L’arte greca era ingranata nella vita quotidiana, si trova nei templi, nei teatri, nei portici, non nei musei. Se il

gusto per la meraviglia costituisce un aspetto spesso presente nella pratica museale, il problema

dell’autoidentificazione non è questa ricerca del meraviglioso ma proprio la presenza del modesto, del

quotidiano, una delle caratteristiche più tipiche della meraviglia è infatti l’an-esteticità. Fuchs scriveva

riguardo ai musei dei suoi tempi, sottolineando la loro tendenza ad accaparrare, esporre e pubblicizzare

solo il pezzo-forte. Indicava poi nei musei etno-antropologici quelli più vicini ai suoi interessi, dicendo che più

che privilegiare l’opera individuale è più interessante capire in che modo una comunità si rapporta al mondo

e alle cose. In Grecia esisteva la convinzione che osservare il lavoro dell’uomo o i suoi prodotti tecnologici è

interessante e poetico come osservare i suoi prodotti tipicamente artistici. Un esempio è l’ergasterion di

Fidia a Olimpia con lo Zeus crisoelefantino, un altro è la skenotheke di Filone, definito da Plutarco una

meraviglia. L’arsenale sorgeva al Pireo ed era stato costruito ai tempi di Licurgo per volontà di Filippo II (346

a.c.). La navata principale collegava il porto militare all’agorà ippodamea ed era predestinata al passaggio,

ma le laterali alla costruzione delle navi, deposito di vele e remi. Il pubblico poteva così attraversare la

galleria, osservando esemplari dell’arte navale e la costruzione di vele, corde e riparazioni affidate alla cura

dei magistrati. Il materiale necessario era conservato su scaffalature e le condizioni di luce ottimali erano

garantite da finestre poste nella parte alta delle navate laterali. L’arsenale rappresenta un caso straordinario

di integrazione fra lavoro artigiano, didattica e propaganda politica, e fra percorsi pubblici e percorsi museali.

Demetrio, figlio di Poseidone e Afrodite, fece erigere sull’isola di Delo un ampio edificio destinato a

contenere un’intera nave da guerra, come dono votivo e trofeo della vittoria su Tolomeo re d’Egitto: è la sala

dei Tori. Di questa musealizzazione di una nave non c’è da meravigliarsi, presso molti popoli antichi la nave,

con motivazioni simboliche, entra a far parte delle sepolture.

Per i greci è vivo il richiamo della nave come grande macchinario, come luogo essa stessa di ulteriori

marchingegni. Attenzione della civiltà classica ai vari macchinari di ogni genere, bellico, navale e

cantieristico e alla possibilità che possano diventare oggetto da collezione e quindi da esposizione. Le navi

nella cultura del macchinari sono un esempio importante, sia nelle dimensioni che nella sostanza, e i

Romani si dotarono anch’essi di musei navali. I primi navalia vengono citati nel 332, quando i romani portata

a termine la conquista del Lazio, si fanno consegnare le navi dagli abitanti di Anzio. Alcune vengono

bruciate, altre conservate nei navalia lungo il Tevere, dove si prende l’abitudine di esibire non solo le navi

sottratte al nemico ma anche vecchie glorie marittime repubblicane. Ai tempi di Cesare e Augusto

sopravviveva la moda di esibire navi in forma museale, e Augusto dopo la battaglia di Anzio, aveva fondato

un neorion dove venivano esposti esemplari di navi sottratte al nemico, secondo Plinio era situato a

Pozzuoli.

Ogni museo deve rivolgersi agli abitanti del territorio. Le grandi opere meravigliose rappresentano il

momento della massima ubiquità e trans-epocalità delle cose: non è un caso che le spoliazioni che i siti

archeologici hanno subito negli ultimi secoli siano cominciate dagli oggetti più importanti, in quanto ritenuti

più capaci di alimentare il mercato dei collezionisti e di venir acquistati dalle grandi istituzioni pubbliche.

Forse la Nike di Samotracia può essere ancora un valido oggetto di contemplazione estetica anche se

parlerebbe di più se non fosse in un angolo del Louvre ma all’aperto del mar Egeo. E’ diventata oggetto di

devozione che niente ha di educativo, perché la meraviglia degenera spesso nella scontatezza. A volte è un

oggetto inatteso a far riflettere.

CAPITOLO 5 – IL TEATRO

La musealità della città classica ed ellenistica ha una componente teatrale. Se il museo oggi è un percorso

dove il movimento si unisce alla visione, alla lettura e partecipazione, niente più del mondo classico può

testimoniare di quanto un’idea completa di quanto sia necessario a coinvolgere fosse già perfettamente

maturata. Il rapporto tra temenos, templum e teatron è topologico e funzionale, e i Greci ne erano ben

consci servendosi di un onnicomprensivo termine, àgon, che definisce tutto ciò che è posto al centro

dell’attenzione, che implica un confronto critico, che sia una battaglia, uno spettacolo teatrale, una gara

sportiva. Il teatro è il luogo dove si impara a guardare. Museo e teatro condividono l’attenzione a uno spazio

topologico, esistenziale, visuale e vitale al tempo stesso. Il teatro greco resta la prima rappresentazione

dello spazio mentale occidentale moderno. Anche la didattica museale, specialmente quella rivolta ai più

giovani, non dimentica quale mezzo di immedesimazione e rappresentazione sia il teatro.

Nel teatro gli Ateniesi conservano statue dei poeti tragici e comici, in gran parte poco famosi: non è

rappresentato nessun poeta nell’ambito comico di quelli che hanno raggiunto la gloria, mentre tra i tragici

sono rappresentati i due più illustri, Euripide e Sofocle. Teoria tipicamente greca che un’arte è tanto più

elevata quanto maggiore è il numero dei sensi umani che coinvolge. Inoltre i Greci ci hanno preceduto nel

pensare che la cultura debba essere privilegio di tutti: in una città dove le provvidenze per i poveri non erano

come quelle di uno stato moderno, era istituita la concessione gratuita ai poveri dei due biglietti per gli

spettacoli del teatro di Dioniso, e della donazione in dramme per consentire a tutte le classi di partecipare

alle Dionisie e alle Panatenaiche.

Le scene teatrali sono progettate fin dall’inizio per fare da sfondo a delle immagini, quelle degli attori che si

muovono sul logeion.

CAPITOLO 6 – IL GIARDINO MUSAICO

Il termine museo è legato alla mitologia greca e al rapporto fra le Muse (ispiratrici dell’Immaginazione) e

Mnemosyne loro madre (depositaria della Memoria), sorella di Okeanos, fluido primordiale e temporale. Lei,

e le sue figlie, sono le reincarnazioni in vesti colte della Gran Madre, Onniscente protettrice dell’ispirazione,

vegetazione e fecondità. Mnemosyne è una dea onnisciente, che sa tutto ciò che è stato, è e sarà, ed è

collegata al culto dei morti, culto fra istinto di autoconservazione e memoria etnica. La sorgente Mnemosyne

e la sorgente Lete sono la sede della dea in Beozia, ma anche le due alternative poste alle anime degli

inferi, che dovrebbero abbeverarsi alla prima, la memoria, e non alla seconda, la dimenticanza, dato che la

prima garantisce l’immortalità personale poiché consentirebbe all’anima di conservare la cognizione delle

vite precedenti, essere conscia della continuità, ma consentirebbe anche l’immortalità collettiva garantendo

agli uomini la conoscenza delle loro origini. Tale convinzione si riflette anche sulle sue figlie, come si vede

dalla figura di una di esse, Melpomene, addetta ai canti funebri e alla tragedia. A tutte e 9 le Muse è sacro il

salice, pianta tipicamente funeraria, e ancora in epoca romana sono rappresentate sui sarcofagi. La

memoria che rappresentano, benchè nata con caratteristiche funebri e celebrative, ha anche sfumature di

grazia e gioia, come si vede dal fatto che oltre a garantire la memoria personale e collettiva, garantiscono

anche la cessazione delle preoccupazioni terrene.

La casa sacra alle Muse, che ah reso celebre il termine museo, assume in realtà le forme di un’accademia,

e quindi luogo di studio, ovvero il Museion di Alessandria. Nella prospettiva del mito, le Muse non abitavano

in una casa ma all’aria aperta: i santuari delle Muse sono stati costruiti il più lontano possibile dalla città.

Esse sarebbero un tipo di ninfe, e in questo aspetto sono soprattutto dee delle sorgenti. La Beozia è la

regione a loro sacra e le sue mistiche grotte (secondo molti autori chiamate museia) diventano modello

anche per le grotte allestite in onore di queste dee. Altri luoghi di venerazione sono le montagne, il nome

stesso Mousai significherebbe dee dei monti secondo Pausania, e in effetti il culto delle Muse sarebbe

originario proprio di una valle circondata dalle montagne più alte della Grecia, l’Olimpo. Scendendo verso

l’Attica, anche qui troviamo che il primo Mouseion ateniese è un monte, descritto da Pausania come luogo di

sepoltura di Museo, figlio di Orfeo e prediletto dalle Muse. Ci sono però differenze, sull’Olimpo le Muse

vengono associate a Dioniso, o guida delle Muse, mentre sul Parnaso sono collegate ad Apollo. Nella lingua

greca viene definito mousikos qualsiasi uomo dotato di cultura e questo fa riemergere dal Rinascimento il

termine Musaeum.

Dall’originario boschetto e collina, il museion assume sempre di più le connotazioni di luogo aperto e il sito

delle collezioni si palesa anche come luogo en plein air, museo alla luce del sole. Anche questo concetto ah

ricadute sull’idea di musealità, qualsiasi idealizzazione di giardino è una nostalgia del paradiso primigenio, e

l’uso del giardino come strumento filosofico è il recupero di questo concetto. Orfeo ama i giardini, e le Muse

sono le dee tutelari dei giardini. Questo tema del giardino paradisiaco si ritrova nel Museo di Alessandria.

Una delle caratteristiche dei giardini greci è la stretta connessione con il culto, dato che non omettono mai

nei giardini un piccolo santuario. Anche il più famoso giardino ateniese è collegato a un tempio, quello

realizzato su terrazzamenti intorno al tempio di Hephaistos, attribuito a Callicrates, in cui erano piantati

melograni, frutto sacro, come simbolo della vegetazione attraverso il mito della morte e rinascita della Kore,

Persephone. Accanto ai melograni si trovano viti rampicanti in pergole secondo un ordine che riflette quello

del tempio. Un altro discepolo delle Muse, il nonno di Teseo, l’uomo più sapiente dei suoi tempi, sarebbe

stato maestro di oratoria in

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Publisher
A.A. 2013-2014
7 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/04 Museologia e critica artistica e del restauro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Maya E. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Museologia archeologica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Guaitoli Maria Teresa.