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All’estero quindi è il museo che si pone come organizzatore della mostra, mentre in Italia con il
fatto di avere una sede espositiva separata dal museo, avere rapporti con il Louvre o con Londra non
serve più di tanto perché raramente il museo riesce a organizzare da solo la mostra.
Si fa quindi anche una valutazione su che rapporti si vogliono instaurare con un museo (c’è qualche
museo, come il Guggenheim che chiede una piccola tassa, ma di solito il prestito è gratuito, mentre
solitamente sono i privati che chiedono un compenso per il prestito; quando si chiede un’opera di un
privato, questa, anche per l’esportazione temporanea, deve passare dal comitato di settore e quindi
potrebbe essere soggetta a notifica, per questo i privati sono restii a prestare le loro opere).
Una volta deciso il prestito, devo acquisire l’autorizzazione del Ministero, quindi bisogna mandare
una documentazione al Ministero con allegato il progetto scientifico della mostra, la facility report
(cioè le caratteristiche della sede espositiva) e la scheda di conservazione dove devo tenere conto
della situazione del dipinto in una certa ottica e vedere se è stabile o meno (si tratta di un resoconto
attuale del quadro); poi bisogna assicurare l’opera e bisogna dare un valore assicurativo che di
solito non è il valore di mercato dell’opera.
Tutto questo è a carico del richiedente, così come le spese del trasporto, eventualmente le spese di
restauro che a volte sono consistenti; un'altra cosa che si deve sostenere è l’accompagnamento
dell’opera da parte del conservatore che deve seguire l’opera per vedere come viene esposta e che
deve verificare che il facility report corrisponda al vero (si tratta cmq di un’opportunità per
conoscere gli altri musei e creare una serie di relazioni; quella del conservatore è cmq una
professione delicata). Poi ci sono le spese per il catalogo che oggi è sovradimensionato,
intrasportabile e con delle aggiunte spesso inutili, infatti per fare il catalogo non viene considerato il
pubblico.
Infine c’è il problema della comunicazione che è fondamentale perché se la mostra non comunica,
non esiste; nelle mostre importanti si mette di solito in bilancio una cifra enorme per la
comunicazione. Oggi dello sponsor non si può fare a meno, però ci si rivolge sempre agli stessi
sponsores che si propongono cmq un ritorno di immagine (a differenza dei mecenati che dona
gratuitamente al museo senza chiedere niente in cambio), quindi lo sponsor è un grosso aiuto, ma
esso vuole un ritorno di immagine. Prima di solito per una mostra c’era un solo sponsor, oggi sono
più sponsores.
Oggi il museo è bombardato dalla quantità di mostre che ci sono e c’è anche il problema delle
sovrapposizioni di mostre simili; le mostre oggi sono diventate una larga parte dell’attività del
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museo e a volte possono costituire un vantaggio per il museo dal punto di vista scientifico, quando
il contenuto scientifico della mostra permette di studiare meglio opere problematiche.
Con quale criterio il museo acquisisce? Acquisire significa anche dare del museo una certa
interpretazione, ma come acquisisce un museo? Le opere entrano per donazione che può essere
semplice o modale, cioè quando una donazione viene vincolata all’adempimento di alcune
condizioni e bisogna verificare che le condizioni non siano svantaggiose per il museo, quindi una
donazione può essere accolta o meno; oppure il museo acquisisce per legato testamentario che può
anch’esso avere delle condizioni ed essere accettato o meno, oppure per acquisto.
Di fondazione oggi si parla spesso; la fondazione è un’associazione di diritto privato che mette
insieme il pubblico e il privato e che ha un fondo di dotazione; essa è un ente di diritto privato con
la partecipazione dell’ente pubblico che può agire in modo privato, ma partecipa all’evento
pubblico e può avere un direttore del museo che non è tale a vita, ma con un contratto a termine. La
fondazione quindi è un tipo di gestione per i musei che prevede la partecipazione del pubblico e del
privato; essa, a differenza del museo, ha scopi di lucro e quindi può succedere che il patrimonio
venga usato per delle mostre che non hanno un contenuto scientifico, ma che servono per attirare il
pubblico (questo significa però sfruttamento di un’opera, non la sua valorizzazione).
Nell’art. 5 della costituzione si parla di tutela che è in capo allo stato e di valorizzazione e di
gestione che sono affidate agli enti locali, ma è assurdo che la tutela e la valorizzazione siano divisi
perché, ad esempio, se restauro un quadro, nello stesso tempo lo valorizzo.
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Il museo è un’istituzione 7centesca legata all’età dei lumi; i musei nascono dalle collezioni private e
il termine museum lo troviamo utilizzato da Paolo Giovio (Como) nel 500 per la sua collezione che
viene intesa come il tempio della fama; la sua collezione comprendeva i ritratti di cui vengono poi
fatte delle copie e di ogni ritratto c’era un verso di Giovio stesso che commentava il personaggio; si
trattava di ritratti di uomini illustri, illustrati secondo un criterio iconografico e questa impostazione
piacque tanto che Cosimo De Medici commissionò una copia del museo gioviano (quindi l’idea del
tempio della fama ha attecchito). Il museo gioviano non era aperto al pubblico, ma vi potevano
accedere solo gli amici del Giovio e quindi gli uomini illustri.
Ma da dove nasce il collezionismo? Di collezionismo si parla fin dai tempi antichi infatti già solo il
fatto di omaggiare il defunto con gli oggetti che gli erano cari è un modo per riconoscere agli
oggetti un valore diverso da quello d’uso; si tratta quindi di seniofori, cioè oggetti che non hanno
più il loro valore naturale, ma che sono portatori di segni; il senioforo è un oggetto musealizzato che
ha perso la sua utilizzazione diretta e ha acquistato il valore di opera d’arte.
Una sorta di collezionismo si ritrova quindi già nell’antichità, infatti abbiamo o oggetti che
accompagnavano il defunto oppure i donari, cioè luoghi in cui erano raccolti i doni come tributo
alla divinità, che prendevano il nome della città offerente, quindi il collezionismo era radicato nelle
consuetudini delle città. Abbiamo poi il collezionismo umanistico e rinascimentale: nel 400
comincia a essere abbastanza diffuso tra gli umanisti l’idea di collezionare oggetti, quindi la grande
collezione rinascimentale affonda le sue radici nello studiolo dell’umanista in cui vi sono degli
oggetti di antichità che però sono un modo per creare un collegamento con un mondo passato, per
evocare un mondo che non c’è, sono un modo per rapportarsi all’antico; quindi si tratta di un
collezionismo particolare che non nasce dalla volontà di ammassare degli oggetti, ma dall’interesse
per il loro valore evocativo e questo interesse per l’antico nasce dalla possibilità di avere degli
oggetti a cui rifarsi; quindi l’oggetto diventa una fonte di ispirazione.
Nel 400 assistiamo al recupero delle antichità che poi si trasforma nelle grandi collezioni del 500 e
le collezioni diventano così imponenti che lo studiolo dell’umanista non basta più, ma nemmeno la
casa può più contenere questi oggetti e quindi si comincia a esaminare come e dove mettere questi
oggetti. A un certo punti nasce il desiderio di collocare gli oggetti in qualche modo, quindi il
proprietario sente il bisogno di allestire la sua collezione in una certa maniera; si vuole arrivare a un
modo gradevole di presentare la collezione: pag. 42 cortile del palazzo Valle-Capranica: in alto
vediamo incassati i bassorilievi; in più le statue vengono collocate su un piedistallo e questo
diventerà un classico; poi abbiamo dei busti, delle erme messe su una mensola e altri pezzi più
piccoli; questo modo di combinare la collezione è anche un modo per presentarla in maniera
gradevole, che fa sentire nel proprietario il bisogno di presentazione.
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Si formano in questo periodo due elementi tipici che sono la galleria e la rotonda: si è discusso
molto sul termine galleria che sembra di origine francese, ma cmq esso diventa un sinonimo per
museo, diventa il museo per antonomasia; un altro tema è quello della rotonda (negli Uffizi è stato
creato un ambiente rotondo che sia chiama la tribuna). Cmq la galleria diventa una tipologia
ricorrente che si alterna a quella della rotonda.
Il museum di Paolo Giovio è un po’ un museo suis generis e aveva un suo catalogo; anche Iacopo
Strada, un grande antiquario, aveva una collezione che era stata pubblicata in un catalogo che si
chiama “Epitome Thesauri Antiquitati ex Museo Iacopi Stradae” dove vi è la descrizione del suo
tesoro di antichità e l’esigenza del catalogo diventa uno degli strumenti che il collezionista vuole
avere; questi due cataloghi sono esempi della necessità precoce dei cataloghi; spesso le grandi
famiglie avevano degli inventari in cui spesso però si riteneva inutile dire da chi era stato dipinto un
quadro (spesso i quadri arrivano nei musei non con la loro cornice originaria; negli anni 50 per un
fatto museografico, tutte le cornici che non erano originali o antiche venivano tolte, e, soprattutto
per le tavole, le opere venivano esposte senza cornice e questo rispondeva anche a un certo gusto).
Quali sono i primi musei che troviamo agli albori del museo? P. 47 c’è un museo molto particolare
che è il museum veronense che è un po’ alle origini dei musei civici; si tratta di una collezione che
venne organizzata come museo da Scipione Maffei, un collezionista del 700 esperto in epigrafi; la
società filarmonica aveva una sua collezione di epigrafi che venivano dal territorio di Verona e vi
era anche un'altra collezione di epigrafi che egli riunisce insieme per formare una grossa collezione
di epigrafi. Scipione Maffei quindi crea questo museo che si trova nel cortile antistante alla società
filarmonica, con un giardino all’italiana e il portico (indicato come muro delle pietre) era
abbastanza basso perché le epigrafi erano messe a un’altezza tale da poterle leggere senza difficoltà
ed esse erano appese al muro. Qui l’interesse era rivolto soprattutto ai contenuti e al desiderio di
creare un museo legato al territorio e alla città (siamo nel 1749) e infatti questi oggetti vengono
dalla città e dal territorio di Verona e si tratta di un museo tipologico, in quanto è incentrato su un
solo argomento (i musei civici che sono legati alla storia e alle tradizioni locali di una città, li
troveremo solo tra un secolo). Ne