Museologia
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Ma da dove prende le mosse l’ispirazione di Schinkel? Vediamo il progetto per il mausoleo per
Federico di Prussia, per la cui realizzazione venne fatto un concorso a cui parteciparono molti
architetti, tra cui Gilly che fu colui che aprì la mente di Schinkel verso il mondo neoclassico. Egli fu
un architetto, ma anche un pittore e uno scenografo (fu autore di diverse scenografie, tra cui quella
del Flauto Magico di Mozart), ma anche designer (c’è l’idea di affrontare l’architettura anche dal
punto di vista dell’oggetto); dobbiamo dire che c’è in lui sia un’anima classica che viene sfoderata
quando si tratta di ufficialità e un’anima romantica che viene fuori nelle dimore provate o quando si
vuole sottolineare l’importanza di una tradizione e soprattutto in questo viene fuori l’orgoglio
nazionale di Schinkel (vediamo ad esempio il mausoleo della regina Luisa che viene concepito in
termini gotici).
Uno degli edifici da lui progettati è la Neue Wake, per la casa delle guardie nel 1819 ed è
interessante perché ci fa vedere questa idea monumentale di Schinkel; si tratta infatti di un tempio
prostilo esastilo con colonne doriche e un grande frontone e poi vi è il blocco compatto della
costruzione, quindi vediamo emergere l’idea neoclassica in un edificio civile, ufficiale. L’altro
edificio importante è il teatro di Berlino dove vediamo che l’idea di una struttura a tempio esastilo è
più articolata, il corpo è di vari livelli e in alto vediamo un coronamento con il tema della quadriga
che è un motivo neoclassico frequente; tutti questi edifici erano nella ex Berlino est.
La facciata dell’Altes Museum presenta un portico di 6 + 6 + 6 colonne e in alto c’è la lunga scritta
che ricorda chi aveva voluto questa costruzione, cioè Federico Guglielmo III che fu un grande
collezionista e uno stimolo per la costruzione di questo museo fu l’acquisto della collezione di
antichità Giustiniani e della collezione Solly, che era un collezionista appassionato del
Rinascimento italiano. Ora tutti i musei di Berlino sono un po’ in ristrutturazione, infatti tutto il
gruppo di musei importanti si trovava a Berlino est; in più dopo la guerra gran parte della Galleria
di Pittura era passata a ovest, dove si era creato un grande museo a Alem, tuttavia dopo
l’unificazione si è ripensata la distribuzione delle opere e si è creata una nuova Galleria di Pittura,
portandovi anche le opere del Bode museum, quindi l’idea era quella di riunificate tutto il
patrimonio creando un’unica Galleria di Pittura. Poi si è iniziato con il restauro prima dell’Altes
Museum e poi degli altri.
L’Altes Museum presenta in particolare un’area che riprende il pantheon, cioè una rotonda centrale
che viene chiamata da Schinkel “la Rotonda” (un ambiente simile lo troviamo nel museo Pio
Clementino); qui vediamo un deambulatorio che è una soluzione innovativa che permette di girare
tutto intorno alle statue che sono poste nelle nicchie (fruizione migliore). In pianta vediamo la
rotonda al centro e i due cortili ai lati.
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Il museo si sviluppa su due piani, ma mentre la rotonda occupa l’intera altezza, invece le sale si
sviluppano sui due piani: al piano inferiore è ospitata la scultura, con le statue che sono valorizzate
dai ritmi dei colonnati; al piano superiore non ci sono le colonne e adesso ospita la pittura. Le opere
della collezione di pittura vengono divise in 14 gruppi, in base all’importanza dei loro autori (quindi
vediamo un giudizio di qualità sulle opere e tale operazione oggi è discussa).
Un’idea comune di Schinkel e di Wagner è quella che la pittura potesse porsi come storia dell’arte
universale; la collezione è articolata per scuole, quindi in base alla provenienza. Si pensò inoltre di
colmare le lacune del percorso tramite delle copie: si tratta di un’idea per noi aberrante, ma che fu
presa seriamente in considerazione, ma poi venne scartata.
Schinkel progettò anche alcune residenze reali; anche in questo caso vediamo la sua visione
romantica e classica, come nel palazzo del principe Alberto (1830/1833): qui vediamo l’uso di
materiali innovativi, come la ghisa.
Le collezioni del Louvre erano le collezioni reali che erano collocate appunto al Louvre; il museo si
presenta come museo della rivoluzione che viene inaugurato nel 1793 con il nome di Musee central
des Arts e si presenta con un contenuto un po’ diverso da quello degli altri musei (nel frattempo in
Italia e in Europa si assisteva alla spinta a rendere le grandi collezioni private aperte al pubblico,
infatti nel 1750 si ha la prima istanza per chiedere l’apertura al pubblico delle collezioni del museo
del Lussemburgo). Il Musee central des Arts si presenta composto dalle collezioni reali e dai beni
confiscati agli aristocratici; poi c’è l’epopea napoleonica che frutta al museo una serie di opere e a
quell’epoca il consigliere di Napoleone che divenne il primo grande direttore del museo è Vivant
Denon (che seguì Napoleone in Egitto) che aveva il compito di fare l’inventario delle cose da
portare via nei vari paesi. Con la campagna d’Italia e il trattato di Campoformio Napoleone
legittima la razzia, in quanto inserisce nei trattati di pace il fatto di cedere le opere d’arte e questo
succede anche in Belgio, Germania e così via.
Egli quindi attua un programma di spoliazioni che vanno ad arricchire il Louvre che ha
un’ambizione universale, cioè quella di creare una sorta di gigantesca storia dell’arte a partire
dall’antichità. Nel 1804 quindi il museo diventa Musee Napoleon, sotto la direzione di Vivant
Denon; prima di lui era stato direttore del museo Hubert Robert che era un pittore, come Denon
(invece negli anni 30 dell’800, a Berlino, il direttore del museo è uno storico dell’arte, come in
Italia, a Brera, ma qui solo a partire dalla fine dell’800 con Corrado Ricci). Nel 1810 il Musee
Napoleon viene utilizzato per celebrare le nozze di Napoleone con Maria Luisa ed anche nella
Gliptoteca di Monaco Ludwig aveva voluto che ci fossero delle sale per le cerimonie e i banchetti e
questo è un retaggio del collezionismo privato.
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A Parigi c’era un altro museo che ebbe una vita breve e che suscitò un dibattito circa il contesto,
cioè sulla necessità o meno di tenere le opere nella loro collocazione originaria; nei tempi della
rivoluzione gli aristocratici avevano fatto le spese dei fermenti rivoluzionari e molte cappelle
gentilizie erano state confiscate; quindi un pittore, Lenoir, nella cappella dei Petites Augustins, creò
un museo che prese il nome di Musee des Monuments Francais, che raccoglieva i monumenti che
erano stati razziati dalle cappelle degli aristocratici e anche le tombe dei re di Francia; quindi questi
monumenti vennero messi in salvo da Lenoir, ma questo museo oggi non esiste più perché venne
smantellato. Esso era nato sulla distruzione dei contesti e quindi scatenò un dibattito cui partecipò
anche Quatemere de Quircy che difese l’integrità del contesto. Poi venne creato, e esiste ancora
oggi, il museo di Cluny e si riportarono i monumenti che era stati tolti nei rispettivi luoghi di
origine (infatti se un oggetto è fuori contesto, ben venga il museo, ma un museo non si deve
alimentare dalle distruzione dei contesti, pag. 54). C’è una grossa differenza tra il Pio Clementino, il
Louvre e la Gliptoteca e l’Altes Museum di Berlino, infatti questi ultimi due sono musei che
nascono come musei, invece per il Louvre si tratta di un riuso, come per il Pio Clementino che
nasce in un edificio che viene rifunzionalizzato e a cui vengono aggiunti altri ambienti (l’Italia è il
luogo dei riusi, l’unico museo nuovo è il Botta).
Il museo è riconoscibile perché si usa un determinato vocabolario, quindi la riconoscibilità diventa
uno degli elementi caratteristici soprattutto dei musei americani che nascono ex novo, in particolare
i musei americani prendono a prestito le strutture dei musei d’Europa, sottolineando l’aspetto
classico. Alla fine dell’800 l’idea di museo cambia un po’, infatti alla metà dell’800 nasce il South
Kensington Museum che più tardi prederà il nome di Victoria and Albert Museum, quando il museo
viene rifatto sotto l’impulso della corona; questo museo nasce dopo l’esposizione universale di
Londra del 1851 e nasce da una scuola di design (presente dal 1836) che era insieme alla Royal
Accademy, poi la Royal Accademy cambiò sede e la scuola di design continuò a vivere
autonomamente (da qui l’idea didattica e di insegnamento). Dopo l’esposizione del 1851, nasce
questo museo il cui ideatore è Henry Cole: si tratta di un’alternativa di museo d’arte perché, avendo
uno scopo didattico, è un museo d’arte e di oggetti d’arte.
L’idea di Cole è quindi quella di creare un museo che rompa con i canoni tradizionali per i
contenuti: si tratta di un museo alternativo dove si incontrano oggetti che devono servire a
migliorare il gusto; quindi la vocazione del Victoria and Albert Museum che si rivolge soprattutto
agli artigiani, non è quella di conservare una memoria storica, ma di migliorare il gusto. Si tratta di
un museo che si rivolge alle arti industriali perché c’è l’idea di fornire dei modelli dell’antichità su
cui ci sia un’industria che tenga conto della qualità; in più nel South Kensington Museum c’è l’idea
di rivoluzionare l’idea di museo (all’interno vediamo il modello delle logge raffaellesche), ma in
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esso è importante anche l’idea di copia, infatti un’opera è importante per formare il gusto e, se non
posseggo l’opera, allora dovrò farne un calco, quindi c’è l’idea di copia che serve per dare un
repertorio di modelli che devono servire per formare il gusto (la sala delle copie esiste ancora; la
ragione dell’esigenza di miglioramento del gusto la vediamo nel fatto che il museo è rivolto agli
artigiani, quindi a coloro che dovevano elaborare gli oggetti di una società nuova).
Una cosa importante è che gli inglesi battezzarono con il nomignolo “Brompton Boilers” (“Le
cucine di Brompton”) la prima sede del South Kensington Museum perché questo utilizza le
strutture come le volte in vetro e i sostegni in ghisa per fare una costruzione che non ha un’aria
permanente e infatti il modello è l’esposizione universale dell’anno precedente; quindi il museo
viene fatto con un carattere di temporaneità e di economicità e all’interno aveva rievocato lo
schema delle esposizioni universali. Quindi il South Kensington Museum non ha in sé l’idea di
museo permanente, ma di uno spazio transitorio, passibile di rinnovamento; esso nasce come museo
popolare che promuove un dibattito sul museo anche in termini museografici (il termine
museografia compare già nel 700) e museologici (il termine museologia compare alla metà
dell’800), infatti si tratta di un museo di rottura che insegna che si possono realizzare le cose in
modo diverso.
Il South Kensington Museum si trovava in una zona ai margini di Londra, quindi bisognava
predisporre un luogo di ristoro (anche come orari è un museo diverso); il South Kensington
Museum quindi non è un museo tradizionale perché è un museo di oggetti applicati all’industria.
A un certo punto però va in crisi l’idea classica di museo: pag. 10 Museo Moderno vediamo il
progetto del 1915 di Otto Wagner per il Kaiser Franz Josef-Stadtmuseum: egli ipotizza un museo
che non ha più le caratteristiche tipiche del museo, infatti all’interno vediamo la grande hall centrale
a cui si affacciano i ballatoi, mentre il prospetto elimina gli elementi caratterizzanti del museo e
quindi il prospetto del museo a tempio greco; quindi non c’è nessun riferimento classico né
all’interno né all’esterno. Quindi questo museo non è più immediatamente riconoscibile come
museo e la stessa hall viene realizzata come una sala dei grandi magazzini con lampioni e cabine
telefoniche.
Quindi agli inizi del 900 entra in crisi la moderna tradizione 8centesca del museo che persiste
invece negli Stati Uniti che arrivano un po’ per ultimi e si cristallizzano sul museo tradizionale
8centesco (negli Stati Uniti abbiamo le cosiddette aree seriori dove vivono gli emigrati stranieri che
conservano maggiore fedeltà alle tradizioni della propria patria che la patria stessa che si evolve,
quindi qui abbiamo una fedeltà verso il modello 8centesco di museo che continuerà fino agli anni
40 del 900); tuttavia c’è una discrasia tra il contenitore che accoglie l’aspetto tradizionale del museo
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e il contenuto (come l’allestimento e i servizi del museo) che ha una connotazione del tutto diversa
rispetto ai musei europei.
Il museo di Cleveland (pag 15) è apparentemente a un piano solo, ma l’altro piano è interrato e qui
ci sono i servizi che il museo deve espletare; quindi vediamo la preoccupazione dei direttori dei
musei americani della differenza tra il pubblico normale e gli studiosi e si sente l’esigenza di due
percorsi, uno per il pubblico (exposition series) e l’uno per gli studiosi (studies series): se la galleria
principale va bene per il pubblico, sotto i servizi serviranno anche per gli studiosi.
Quindi nonostante il legame con la struttura tradizionale c’è una lettura del museo innovativa; un
altro dibattito dei primi decenni del 900 è quello sulle periods rooms, cioè delle sale organizzate in
modo da evocare un certo stile; in queste sale devo cercare di suggerire il periodo in cui quegli
oggetti sono stati costruiti, questo allestimento però ha una totale mancanza di flessibilità e a volte
vi è il tentativo, quando mancano gli oggetti, di ricorre al falso; quindi la period room è un po’
discutibile sotto l’aspetto filologico, infatti nella volontà evocativa di fare vivere una certa
atmosfera si rischia di suggerire delle soluzioni filologicamente discutibili (il museo di Phipadelphia
aveva il maggior numero di periods rooms,tipo di allestimento evocativo che cerca di ricostruire un
ambiente, pag 43; si tratta di un museo del 1919/28 che ha il prospetto con un tempio ottastilo,
quindi qui ancora vediamo come il museo sia un edificio rappresentativo della città).
Il museo di Baltimora (pag. 35) è del 1926 e ha tutti gli elementi che esternamente lo fanno
riconoscere come museo; un altro museo che viene risolto in questi termini è nel Nebrasca (pag 37),
museo degli anni 20 del 900 di cui fa parte anche un auditorium, una biblioteca, uffici e magazzini,
quindi il museo comincia a strutturarsi con una precisazione delle sue funzioni.
Quindi il museo iluminista da avvio alla stagione dei musei che rendono pubbliche le collezioni
private, l’800 è la stagione dei grandi musei, quando si fissa un modello tradizionale, classico per il
museo, poi vi è l’innovazione con il Victoria and Albert Museum e negli anni 20 del 900, mentre in
America si assiste alla ripresa del modello classico, in Europa entra in crisi il museo tradizionale
perché lo si sente troppo monumentale, troppo avulso dalla realtà (nel futurismo, secondo Martinetti
il museo era un dormitorio pubblico), ma anche perché ci si trova davanti a nuovi tipi di museo,
come il museo scientifico, in più alla metà dell’800 nascono i musei di arte applicata, nel primo 900
si diversificano le tipologie dei musei e nascono i musei della tecnologia, di antropologia,
etnografici e questo fa si che la ricerca di una struttura architettonica adatta a questi musei, sia
necessaria.
Nella copertina vediamo il modello del museo a crescita illimitata di Le Corbusier che viene visto
come l’emblema della rottura degli schemi tradizionali del museo; infatti non va più bene il museo
tempio e il museo non viene più visto come qualcosa consegnato a un momento della storia, ma
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come un elemento dinamico, che ha bisogno di flessibilità. Il fatto di avere tante funzioni (ricerca
scientifica, comunicazione, acquisizione) comporta che esse abbiano bisogno di spazio e nel museo
americano la consapevolezza di questa esigenza è piena, ma si opera sulla tradizione del museo
monumentale. In Europa invece questo modello comincia a rompersi e importante è la rivista
Museion degli anni 20 del 900; si tratta di un importante rivista di museografia che comincia a
essere pubblicata in Francia a partire dal 1927; quindi essa si occupa di musei, quindi la museologia
e la museografia vengono riconosciute come scienze e queste danno luogo a un dibattito che sfocerà
nel 1934 nella conferenza di Madrid. Nella rivista il dibattito riguarda anche se il museo deve avere
un ruolo monumentale nell’economia della città, cioè deve continuare a essere un elemento
rappresentativo della città, oppure esso debba aggiornarsi escludendo questo ruolo di architettura
forte. Questo stesso istituto promosse nel 1934 a Madrid la prima conferenza internazionale di
museografia; gli atti della conferenza di Madrid del 1934 e che sono stati pubblicati costituiscono
un punto fermo della museologia e della museografia del nostro secolo;
Le Corbusier, per il museo a crescita illimitata, immagina una grande spirale quadrata che si
presuma possa accrescersi all’infinito, quindi il museo è dinamico e l’architettura non deve porre
dei limiti al suo mutamento, ma deve essere flessibile.
Il museo segue le idee che si stanno maturando; vediamo il progetto di Antonio Garnier del 1917
per una città industriale in cui è previsto un museo; un'altra proposta relativa al dissidio tra il museo
monumentale e il museo funzionale: Perret negli anni 20 del 900 concepisce l’idea di un museo che
tiene intatta la sua monumentalità: si tratta di un ibrido tra il concetto tradizionale di museo e un
idea di museo più moderno.
Le Corbusier immagina il museo del mondo (pag. 101) in un progetto del 1929 dove la visita del
museo inzia in alto e scende con un andamento a spirale e questo museo doveva racchiudere tutto lo
scibile del mondo e doveva avere una serie di funzioni. Nel museo a crescita illimitata (pag. 109) la
concezione di Le Corbusier è quella della massima neutralità dell’architetto per ottenere la massima
flessibilità. Egli rifiuta l’idea della monumentalità del museo che deve essere una macchina per
esporre; quindi deve fare sì che l’interno sia un interno in cui solo le opere d’arte possano parlare e
l’architettura scompare. Quanto sia giusto tutto ciò è difficile dire perché cmq l’architetto, anche
quando elimina, fa una scelta; in più Le Corbusier quando lavora a Tokio non è così neutrale (pag
90) come vorrebbe essere; cmq il museo a crescita illimitata e il museo del mondo fanno parte delle
ricerche teoriche, delle utopie.
Altri musei importanti sono ad esempio il MOMA (Museum of modern art, New York): pag. 149
qui vediamo che l’idea del museo è quella di un museo che ricorda lo sviluppo verticale di un
grattacielo, quindi vediamo l’applicazione a un museo delle forme delle abitazioni e delle strutture
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moderne. L’idea è quella di creare una struttura in cui si intersecassero le varie gallerie oppure
vediamo l’idea di una seri di gallerie su più livelli senza che si intersechino; in realtà questo
progetto non venne realizzato e il MOMA attuale (pag 156) è opera di Goodwin e Stone. Qui
vediamo una facciata semplice, piana con finestre a nastro che nei materiali di rivestimento tiene
conto dei materiali nuovi che erano usati in architettura. La National Gallery (1938/42, Washington)
viene fatta seguendo il modello tradizionale perché ha la facciata a tempio greco (pag 170); per la
Smithsonian Gallery (pag. 166) viene rifiutato un progetto che non partecipasse alla monumentalità
del luogo e la semplicità è stata vista come mancanza di monumentalità.
Chi risolse il problema fu Wright con il museo Guggenheim la cui progettazione inizia negli anni
40, ma la sua costruzione continua per molti anni; il Guggenheim viene fatto per Solomon
Guggenheim un collezionista di arte contemporanea che fa costruire questo museo per la sua
collezione (pag 180).
Il museo in Europa nasce dalle grandi collezioni, quindi nasce con lo scopo di conservare i grandi
patrimoni artistici e da qui l’attenzione maggiore è stata focalizzata sulle opere e non sul pubblico;
invece i musei americani nascono sul mercato e quindi il loro interesse era maggiormente rivolto al
pubblico, non a caso il museo era concepito come servizio e il pubblico era in primo piano.
Negli ultimi tempi anche i musei europei si sono adeguati: una volta la parte dedicata
all’esposizione era 9volte superiore a quella dedicata all’accoglienza, mentre oggi questo rapporto è
di 1:2 perché i musei non sono solo esposizione, ma hanno molte funzioni, molte delle quali sono
legate al pubblico (in Italia solo con la legge Ronchey del 1993 sono stati introdotti i servizi
aggiuntivi).
Nel 1934 la conferenza di Madrid è il primo momento di confronto sul tema del museo perché il
tipo 8centesco di museo è entrato in crisi; si assiste quindi al dibattito tra architettura e non
architettura, tra edificio che si impone come monumento (quindi il museo viene considerato
l’elemento rappresentativo della città, come nel caso della Gliptoteca di Monaco o dell’Altes
Museum) o non monumento. In Le Corbusier vediamo come la monumentalità scompaia a favore
della funzionalità e un altro concetto importante è che il museo non è un’opera chiusa, ma è un
insieme dinamico, in divenire, deve rispondere ai mutamenti di gusto e quindi l’architettura deve
rispondere alle esigenze del museo.
Nel Guggenheim la monumentalità è rispettata, ma recentemente il Guggenheim ha avuto un
ampliamento perché non è che sia poi così funzionale (anche il MOMA è stato recentemente
ampliato da un architetto giapponese).
La National Gallery di Londra è uno degli edifici degli anni 30 dell’800 che viene fatto con il solito
schema con l’ingresso colonnato e il frontone; esso negli anni 90 viene ampliato da Bob Venturi che
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aggiunge la Sainsbury wing dove vediamo che egli ha un’attenzione molto profonda al contenuto,
tanto che le sale nuove della Sainsbury wing, siccome devono ospitare gli italiani, presentano sulla
scalinata, incisi i nomi di Leonardo, Michelangelo e Raffaello che introducono al contenuto della
sala; in più all’interno la profilatura è in pietra serena, materiale tipico delle Chiese fiorentine del
400; quindi vediamo la volontà di suggerire un ambiente anche se in chiave moderna. All’esterno
c’è la volontà di armonizzare il nuovo con l’esistente tenendo conto anche del materiale di
riferimento e le proporzioni dell’antico (quindi vediamo un desiderio di armonizzare). In più il
nuovo edificio deve incastrarsi nello spazio a disposizione e l’accordo con l’edificio vecchio è una
sorta di rotonda; in più all’interno c’è un auditorium e una zona per le mostre temporanee (in Italia
questo aspetto è carente, infatti nei musei non c’è uno spazio espositivo per le mostre temporanee;
oggi c’è la tendenza a creare degli spazi espositivi esterni ai musei dove le mostre vengono
organizzate da alcune società che cmq non hanno la stessa credibilità del museo).
Gemaelde Gallerie di Berlino: si tratta di un museo che, creato dopo la caduta del muro di Berlino,
riunisce tutto il patrimonio in fatto di pittura che era stato diviso prima tra due musei a Berlino est e
ovest (quello ad Alem e il Bode); qui vediamo come le opere siano esposte in maniera abbastanza
distanziata e la sala centrale è una galleria con i pilastri e i lucernari che proiettano una luce
zenitale. Quindi è un museo tradizionale che ricalca le idee antiche, infatti troviamo la galleria, le
sale hanno dei colori accesi come il rosso o il blu, l’ingresso a forma di rotonda; ma vediamo anche
l’alternarsi di sale grandi e piccole perchè si avverte l’esigenza di gabinetti (come nell’Altes
Pinacotek di Monaco) dove potere esporre i quadri di piccolo formato che dentro una struttura più
vasta finirebbero per perdersi.
I musei degli anni 90 sono abbastanza dirompenti: vediamo il centro Galego d’arte contemporanea
in Spagna di Siza, un grande architetto portoghese che si trova a dovere confrontarsi con un
convento e quindi con uno spazio già occupato da qualcosa e irregolare; una caratteristica di Siza è
il minimalismo della sua architettura, ma possiede anche un senso della luce straordinario (dentro il
museo è tutto bianco, ma all’interno l’architetto inventa una struttura, a forma di tavolo rovesciato,
per distribuire la luce).
Il Bonnefantenmuseum di Aldo Rossi a Maastricht, in Olanda è degli anni 90 ed è stato realizzato
nella parte industriale della città; all’esterno il rivestimento del museo viene fatto ricalcando l’idea
dei mattoni, mentre all’interno abbiamo prima una sorta di galleria alla fine della quale troviamo
un’interpretazione della rotonda classica nei termini contemporanei (si tratta quindi di un modo di
interpretare in maniera contemporanea gli elementi classici del museo 8centesco).
Vediamo poi un museo giapponese, che si trova in Giappone, realizzato da Tadao Ando che è stato
realizzato in mezzo a un bosco e si tratta del museo del legno; si tratta di un museo a pianta centrale
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e, in alzato vediamo una piramide tronca in legno a cui si accede da una lunga piattaforma che
attraversa il museo.
Isozaki è un altro architetto che ha progettato anche la tettoia degli Uffizi; la Casa de l’Hombre è un
museo che sorge sul mare e che ha una soluzione duplice perché da una parte ha un andamento
totalmente curvo dalla parte che guarda il mare, mentre un andamento seghettato dalla parte che
guarda la terra. Quindi il museo sembra quasi una vela e vediamo qui una grande creatività e in
particolare vediamo l’idea di suggerire, con il museo, un luogo che abbia a che fare con l’ambiente
circostante. Quindi non c’è più il modello classico, il museo ha acquisito una totale libertà di forme
e di espressioni: mentre il museo tradizionale non aveva delle velleità di originalità, ma seguiva uno
schema e voleva sottolineare quello che c’era all’interno, oggi questi edifici hanno una valenza
anche come edifici in sé e l’idea è quella di segnare il territorio con una forte presenza e il museo
diventa uno degli edifici simbolici della città.
Circa il museo Timghely di Botta si tratta di un museo monografico dedicato all’artista Timghely
che è stato realizzato nei primi anni 90. Il Ghetty center viene realizzato da Maier (86/97, mentre la
parte archeologica resta al Poul Ghetty Museum, realizzato come la villa dei papiri di Pompei, il
resto della collezione si sposta in questo museo) e si trova su una grande collina di Los Angeles.
Questo centro però non è solo un museo, ma è un vero e proprio centro che ha un agglomerato di
funzioni (infatti vi sono un auditorium, luoghi per la ricerca, una biblioteca); il museo è in cima alla
collina, quindi domina il pacifico ed è molto luminoso e per questa idea della collina su cui si trova
un agglomerato di edifici l’ispirazione di Meier è l’acropoli, quindi si tratta di un museo che, anche
nei materiali, riprende certi motivi mediterranei. Il centro quindi si trova in un’area protetta e quasi
fortificata, isolata dal traffico e dai pericoli della vita quotidiana (vi si accede tramite un trenino).
Meier è lo stesso che ha fatto la copertura dell’ara pacis: si tratta di un architetto che mostra
attenzione per il mondo mediterraneo e ha un modo di usare la luce molto felice, ma forse in un
contesto come Roma il progetto non è molto riuscito.
Il Guggenheim di Bilbao è opera di F. Ghery (91/97) ed è il trionfo della libertà di espressione,
inoltre qui vince la struttura sulla collezione, una struttura in titanio che cambia a seconda della
luce; il museo deve quindi contenere delle opere di grandi dimensioni perché queste devono potere
competere con l’architettura. Bilbao era una città industriale che era caduta in disuso e l’idea
geniale è quella di rilanciarla attraverso questo museo, attraverso l’aeroporto e un ponte sul fiume di
Calatrava e le varie stazioni della metropolitana che vengono affidate a Foster. Il museo di Bilbao
funziona per un museo di arte contemporanea, mentre l’arte antica non potrebbe trovare posto in
questi ambienti, infatti si tratta di un museo mosso dinamico e libero in pianta. All’interno abbiamo
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un percorso di lamiere di R. Serra e quindi vediamo una sorta di competizione tra il contenitore e il
contenuto, però qui vediamo come l’architettura sia molto presente.
Il modello di museo di Von Klenze e di Schinkel entra in crisi già a metà dell’800 con il Victoria
and Albert Museum; dopo la seconda guerra mondiale, molti musei sono stati colpiti e quindi c’è
un’esigenza di ricostruzione ed è proprio questo il momento della museografia italiana che è
trainante (Scarpa, BBPR e così via).
Fondazione Beyeler di Renzo Piano a Basilea, in Svizzera (1992/1997): qui sono contenute opere di
fine 800, inizio 900 e sono opere tradizionali e il luogo dove sorge la Fondazione Beyeler ha
comportato dei problemi logistici perché c’era una strada statale che ha condizionato l’edificio che è
stato condizionato anche dal fatto che lo spazio destinato al museo era limitato dallo spazio messo a
disposizione dal proprietario della villa di fine 800. L’edificio è un lungo ambiente con un solo
piano che serve all’esposizione e un piano interrato che serve per le mostre; l’edificio è disadorno e
presenta grande vetrate, ma la suggestione è quella degli interni; sul tetto ci sono degli schermi che
servono a filtrare la luce e a regolare la luce all’interno. Uno dei problemi grossi di questi musei è
però quello della manutenzione, cioè quando si pensa a un museo bisogna anche pensare a come
tenerlo e quindi come pulirlo. Qui vediamo una certa attenzione per l’interno dove vediamo dipinti
e sculture che rientrano nel solco della classicità.
Il museo ebraico di Berlino è stato fatto da Libeskind (1989/98) (dobbiamo dire che in questi nuovi
musei si perde un po’ l’idea del luogo, invece il contesto è importante, infatti l’identità del luogo
deve essere sempre tenuta in considerazione); Libeskind è l’architetto al quale era stato
commissionato l’ampliamento del Victoria and Albert Museum.
Il museo ebraico è una struttura molto particolare, in realtà è un memorial, cioè una struttura fatta
per comunicare una storia drammatica, cioè si tratta di una forma irregolare che costituisce un modo
per tradurre in forma architettonica un sentimento di paura, disagio e tragedia. All’esterno ci sono
delle aperture che sono come delle ferite, mentre all’interno ci sono dei corridoi che danno un senso
di chiusura, terrore e oppressione e anche all’interno ci sono quelle aperture, quei tagli come
all’esterno. All’inizio era vuoto, mentre pare che oggi abbiano messo dentro degli oggetti, ma cmq è
la struttura già di per sé comunicativa e forte.
36 (oggi Brera per il fatto che è un museo statale viene
sentito dall’amministrazione come qualcosa di
estraneo).
Il nome Brera viene da Braida che significa “terreno
incolto”, infatti la zona di Brera era periferica, era una
zona di campagna, in quanto nel medioevo il centro
della città era spostato.
Questo era il luogo scelto dai frati Umiliati, che si
installano a Brera agli inizi del 200, per la loro attività;
gli Umiliati erano una confraternita religiosa famosa in
tutta Europa per la lavorazione dei panni di lana e a
Brera essi creano il loro centro religioso, abitativo e i
loro laboratori. Nel 1227 essi incominciano la
costruzione della Chiesa e poi chiamano Giovanni di
Balduccio per creare la facciata e ne esce una Chiesa particolare, infatti si tratta dell’unica Chiesa di
Milano di carattere toscano; tuttavia nell’800, in particolare nel 1810 la facciata della Chiesa verrà
abbattuta in quanto si trattava di una facciata gotica e quindi era ritenuta brutta (pag. 20).
A un certo punto l’ordine degli Umiliati viene soppresso da Papa Pio V, nel 1572 e arrivano i
gesuiti che si installano a Brera e la loro missione è una missione educativa, quindi creano un
collegio che prevedeva l’insegnamento a livello inferiore e superiore e qualche insegnamento a
livello universitario(cmq l’università era a Pavia); essi si occupavano anche di spezieria, infatti
avevano un giardino che diventerà il futuro orto botanico (avevano molti insegnamenti scientifici). I
gesuiti decidono di ampliare e dilatare l’antico convento di Brera e affidano il lavoro a Martino
Bassi, uno degli architetti milanesi che fa un
progetto (pag. 18) dove vediamo che esso consisteva
nel: • ricavare il collegio e la casa gesuitica
con una serie di nuove costruzioni
imperniate intorno a un monumentale
cortile nell’area nord-ovest dell’antico
convento (ingresso principale aperto su
via Fiori);
• costruire un nuovo ampio cortile per le scuole, in direzione ovest.
37
Ma i lavori non dovettero procedere speditamente per il costo e per la non completa disponibilità
dell’area. Dopodichè nel 1628 il progetto viene ripreso da
F. M. Richini, che aveva rivisto i disegni del
Bassi (pag. 20), ampliando e ristrutturando tutto
l’impianto (l’area conventuale era articolata
intorno a 3cortili, mentre le scuole attorno al
cortile d’onore).
Richini immagina il grande cortile d’onore (3),
immagina un altro ingresso (9) e davanti alla
Chiesa immagina il sagrato (7); poi vediamo l’ala
conventuale (2), le sale intorno al cortile d’onore
che sono sale destinate all’insegnamento (3). Quindi Richini progetta un grande cortile a doppio
ordine intorno al quale ci siano le aule per l’insegnamento, infine c’è il cortile rustico (4). Il
progetto di Richini ottenne l’approvazione dell’ordine nel 1651 e da lì la costruzione delle scuole
proseguì risvoltando su via Brera (nel progetto dell’interno vediamo una scelta stilistica tale da
evidenziare la continuità della tradizione milanese, infatti il cortile d’onore è a due logge scandite
da serliane ed è già presente il grande scalone monumentale).
Nel 1658 muore Richini e i lavori continuano sotto la direzione del figlio Giandomenico e di
Gerolamo Quadrio e Giorgio Rossone; la costruzione procedeva bene, ma i lavori si facevano con
discussioni e polemiche (1686 i padri decidono di mantenere invariati le opere del cortile). La
costruzione del cortile venne fatta solo a metà perché la restante parte era occupata da case private e
i padri non erano in grado di fare fronte all’acquisto e alla fabbrica (nel 1764 padre Boscovich
costruisce una specola per le osservazioni astronomiche).
Nel 1745 vediamo il prospetto finale e l’ingresso dalla contrada di Brera (dalla parte di via Fiori c’è
un ingresso meno importante) e il portale della facciata centrale ha due grandi volute barocche e per
questo sarà rifatta; sulla facciata vediamo pilastri con forti bugnati, una cornice che divide la
facciata in due ordini ed essa è molto severa, tardo-cinquecentesca, che risponde al clima
borromaico del primo 600; questo tono di grande sobrietà lo troviamo anche all’interno nel celebre
cortile d’onore.
38
Per tutto il 600 permane la Chiesa di S. Maria di Brera, poi quando verrà tagliata trasversalmente
per fare delle sale che oggi ancora si chiamano sale napoleoniche, i frammenti scultorei della Chiesa
finiranno al piano inferiore della Chiesa stessa; esso venne cmq mantenuto e parte venne dedicata a
un magazzino per la scultura (le sculture qui contenute sono state ricavate dalle soppressioni delle
Chiese milanesi), che nel 1868 diventa il museo patrio delle sculture, ma poi esse passeranno al
castello (nel corso del 900 altri musei si staccano da Brera dando vita a organismi autonomi che
derivano tutti da Brera).
Quindi entra in gioco Maria Teresa d’Austria che vuole il rinnovamento dell’edificio: Vienna vuole
togliere l’insegnamento ai religiosi perché si pensa che l’insegnamento debba essere laico; tuttavia
si rendono conto che l’abolizione totale dei gesuiti è costosa.
A Milano esisteva l’Accademia di San Luca che funzionava in qualche modo, infatti gli insegnanti
facevano lezione a casa propria, in mancanza di aule, mentre le Scuole Palatine erano il fiore
all’occhiello di Milano (qui era svolto un insegnamento a livello universitario rivolto
principalmente alle scienze). Vienna vuole una scuola efficiente e non pensa a dare un decoro,
mentre i milanesi vogliono un palazzo che sia adeguato; in più i milanesi tendono a un
insegnamento enciclopedico, quindi vogliono radunare a Brera tutti i tipi di insegnamento, mentre
da Vienna si assiste a un modo di tradurre in maniera limitativa quello che volevano i milanesi.
Quindi si assiste a un dibattito tra Kaunitz, il cancelliere tedesco che preferiva che alcune mansioni
continuassero a essere svolte dai religiosi e che teneva in particolare alla biblioteca e Firmian che
era il plenipotenziario.
Dopo la soppressione dell’ordine dei gesuiti nel 1773, nel 1774 Pier Marini, che è chiamato a dare
dei progetti per la trasformazione di Brera in sede delle scuole pubbliche, inserendovi anche una
biblioteca e una Accademia di Belle Arti. Pier Marini diventa quindi il grande architetto della
Milano neoclassica ed egli vince il concorso per l’accademia di Brera perché ha uno stile più
moderno, sobrio che non ha più nulla a che vedere con il rococò e questa purezza di Pier Marini
risulta vincente e quindi l’architetto viene incaricato del progetto di Brera (bisognava chiudere il
cortile d’onore, realizzare alcune cose e realizzare nuove aule); la distribuzione dei bario
stabilimenti era già decisa nel 1774, ma le discussioni tra Milano e Vienna furono complesse e si
protrassero oltre questa data, infatti i milanesi volevano realizzare un organismo polivalente e
volevano programmare il completamento monumentale di Brera e dalla funzionalità dell’edificio
doveva derivare il suo massimo decoro, ma da Vienna si assiste a un modo di tradurre in maniera
limitativa quello che volevano i milanesi.
39
Il progetto è del 1774 e l’idea di Pier Marini è quella di mettere le aule dell’Accademia dove c’è il
cortile d’onore che deve completare; in più nei progetti di Pier Marini del 1774, vediamo la nuova
biblioteca che è al piano superiore e l’idea della biblioteca Teresiana in un questo primo progetto
occupa la parte superiore ed è parallela a via Brera ed è alle spalle della Chiesa, ma essa doveva,
con il suo sviluppo verticale simile a quello di una galleria, entrare in competizione con la Chiesa,
infatti la sua realizzazione avrebbe provocato la parziale demolizione del coro della Chiesa e questa
idea lascia perplesso Kaunitz che si dimostra contrario. Pier Marini quindi dovette sottostare alla
proposta del cancelliere e i lavori per la biblioteca iniziarono nel 1775; altri lavori erano:
• l’osservatorio astronomico era un vanto dei gesuiti; in questo caso Vienna e Milano
erano concordi adeguarne la struttura alla strumentazione sempre più precisa e
abbondante (qui vediamo una modello in legno delle torrette dell’osservatorio
astronomico (1764, Boscovich) di Brera e la parte scelta è quella verso l’orto botanico
(davanti c’erano delle case private che poi vennero acquisite per costituire davanti alla
chiesa un sagrato); il materiale dell’osservatorio è stato ceduto in larga parte al museo
della scienza e della tecnologia);
• la spezieria da destinarsi a uso pubblico e dotata di un adeguato repertorio di piante
officinali;
• l’orto botanico;
• le serre (mentre Pier Marini aveva progettato un grande stanzone con le piante, nel 1778
si assiste all’esecuzione del progetto di Witman, secondo i suggerimenti del cancelliere e
secondo i modelli delle serre danesi e tedesche; si trattava di una costruzione lunga e
stretta con un vetro concavo davanti e le sale erano diverse a seconda della calore
(calidarium, tepidarium, frigidarium);
• i laboratori di chimica e fisica, progettati da Pier Marini e ritenuti indispensabili da
Kaunitz.
La sistemazione adottata all’Accademia di Milano era solo apparentemente soddisfacente: essa non
si presentava infatti come un blocco monumentale e decoroso di aule raggruppate unitariamente e
inoltre era collocata molto all’interno dell’edificio gesuitico. Cmq nel 1776 venne inaugurata
l’Accademia (a cui mancava però la scuola di incisione, di cui ben presto Kaunitz sottolineò la
necessità); quindi nel 1776 nasce l’Accademia, una nuova istituzione che convive con un’altra serie
di insegnamenti; una problema di capitale importanza è quello dello spazio, cmq l’accademia si
conquista gli spazi intorno al cortile d’onore e l’aula magna diventa quella che prima era chiamata
aula dei gessi.
40
Quindi nel 1572 si assiste alla soppressione degli Umiliati e al passaggio ai gesuiti che hanno un
ruolo didattico; i gesuiti cominciano a ricostruire la loro sede, ad adattarla e per farlo chiamano
Martino Bassi (500); poi i lavori si interrompono vengono ripresi da Richini che non completò
personalmente i lavori, ma vennero completati dal figlio e da altri.
La corte di Vienna aveva questa ambizione di sottrarre l’insegnamento alle istituzioni religiose,
infatti per la corte di Vienna l’insegnamento è un fatto laico e deve essere assunto dal governo;
quando nel 1773 viene soppresso l’ordine dei gesuiti si ha la possibilità di concentrare nel collegio
gesuita tutta l’istruzione milanese (quindi le scuole Palatine, il ginnasio dei gesuiti, la società
patriottica che si occupava di agricoltura e così via).
Sul tipo di scuola da porre a Brera non c’era una concordia di vedute perché mentre i milanesi
volevano tutti gli insegnamenti e altre istituzioni come un museo, a Vienna, Kaunitz, il cancelliere
dell’impero, voleva incrementare certi aspetti mentre altre cose gli stavano meno a cuore. In più a
Milano si voleva che il palazzo di Brera avesse un decoro e esterno, mentre da parte di Vienna c’era
un atteggiamento meno aperto ad avere un edificio monumentale nel cuore di Milano (in realtà si
trattava di una questione di fondi); per questo il completamento di Brera stentò ad avviarsi.
Quindi i milanesi erano desiderosi di completare l’edificio che avrebbe dato lustro alla città, mentre
Kaunitz pensava che, con il completamento della fabbrica, si sarebbe potuta trovare una
sistemazione più degna per la biblioteca, trasferendola nell’ala da edificarsi e riproducendo nella
biblioteca braidense, il modello viennese, con la grande sala o galleria prospiciente lo spazio
pubblico della piazza di Santa Maria di Brera e della strada.
Nel 1778 si assiste quindi all’acquisto di casa Trecate che era posta sull’area del completamento del
cortile braidense e si stava per iniziare il completamento di questo e del nucleo meridionale del
palazzo secondo i disegni di Pier Marini che erano improntati ad una assoluta continuità con i
moduli richiniani della costruzione (per l’appalto della nuova ala venne scelto il capomastro
Fontana). Secondo l’architetto la nuova ala doveva servire per le aule dell’Accademia e un’aula era
destinata alle premiazioni, mentre secondo il Kaunitz e l’arciduca, questa ala doveva essere
destinata alla biblioteca; tuttavia Pier Marini, appoggiato da Firmian, riuscì a imporre un
cambiamento di opinione al cancelliere reale.
Succede a Maria Teresa d’Austria Giuseppe II che attua una germanizzazione degli apparati
amministrativi, legislativi ed esecutivi anche per la Lombardia; nel 1782 egli giunge in visita a
Milano, soprattutto per portare dei quadri a Vienna; quindi per l’arrivo dall’imperatore gli vengono
proposte diverse opere che però non lo soddisfano e quindi le lascia lì; tra queste opere vi erano la
Vergine delle Rocce, il Perugino e il Luini, opere che poi si sono disperse, infatti nel 1782 la
Vergine delle Rocce e il Perugino vengono cedute a Lord Hamilton che le lascia alla National
41
Gallery, quindi si perde l’occasione di trattenere a Milano opere di grande importanza. Con il
viaggio a Milano di Giuseppe II, Pollak si sostituisce a Pier Marini nella fabbrica dell’università di
Pavia.
Nel 1779 era iniziata la nuova fabbrica di Brera che inizialmente dovette procedere con alacrità sul
fronte verso la contrada di Brera, ma i lavori non erano giunti al termine nel 1872, anno della visita
di Giuseppe II; con Giuseppe II l’atteggiamento di Brera non si fece non propositivo, infatti egli
limitò il numero di insegnamenti e ruppe l’unità e l’interdisciplinarietà tra i vari insegnamenti
(l’orientamento di Giuseppe II è quello di germanizzare l’accademia di Brera, quindi arrivano molti
artisti tedeschi tra cui Pollak che scalza un po’ Pier Marini).
Giuseppe, poco propenso a promuovere Milano, ridusse gli insegnamenti delle Palatine, lasciò i
ginnasi e istituì le scuole capo-normali; cmq non limitò le dotazioni degli istituti scientifici e
dell’Accademia.
Nel 1782 si assiste anche alla morte di Firmian e quindi sorgono nuove dispute sull’utilizzo della
nuova ala; in più a Firmian succede Wilzeck che era più strettamente legato alla corte di Vienna.
Nel 1784 viene definita la distribuzione dei vani della nuova ala, ancora in costruzione (Pier Marini
si era servito di alcuni disegni di Pollak, pag 40):
• piano terra:
• sala del nudo,
• sala dei gessi,
• primo piano:
• scuola di ornato (un’istituzione importante nel 700 è la commissione d’ornato
che aveva titolo nel concedere i permessi per le costruzioni tenendo conto del decoro e
della bellezza dell’edificio, anche se poi, nell’800, la demolizione della Chiesa viene
fatta nonostante il parere negativo della commissione d’ornato)
• scuola di architettura,
• aule per scuola dei geometri e dei capomastri.
Quindi si proponeva il trasporto di tutti i vani dell’Accademia nel nuovo blocco, ponendo questa
istituzione come elemento di spicco nel palazzo braidense e come polo di aggregazione.
Nel 1785 Pier Marini concluse il cortile d’onore, il portale d’ingresso e il paramento esterno di
Brera e in tempi non lunghi venne effettuato il trasporto delle scuole (pag. 22 questa è una proposta
42
di completamento bel 1760: la sala 37 è un’aula che serviva come refettorio); uno dei punti su cui si
discusse fu la collocazione della biblioteca.
Nel 1788 alcuni disegni di Pollak sembrano volere proporre dei cambiamenti, di destinazione (pag.
40 vediamo un’ipotesi di Pollak: 3 è la sala dei gessi che invece per Pier Marini doveva essere la
sala per le pubbliche relazioni; 1 è la sala del nudo, mentre la 8 è la scuola di ornato), ma le
proposte di Pollak vennero bocciate.
Nel 1789 venne istituita la scuola di incisione, ritenuta indispensabile dal Kaunitz; nel 1790 sembrò
farsi strada la possibilità di costituire una pinacoteca accanto all’Accademia, per il suo
potenziamento, soprattutto per le scuole di pittura e di scultura; Bianconi, allora segretario di Brera,
propose di trasportare le opere in un’aula del piano superiore che serviva da deposito per le lucerne,
ma la pinacoteca stentava a prendere piede; Bianconi cercava soprattutto di formare una raccolta
didattica completa di incisioni e continuava gli acquisti per scopo didattico.
Dal punto di vista funzionale l’Accademia era gestita da un presidente e un segretario; il presidente
aveva ruolo importante rispetto al segretario che doveva essere un esperto d’arte e doveva
coordinare tutte le attività accademiche e curare la corrispondenza; come primo segretario si sceglie
l’abate Albuzio, autore di una storia dell’arte lombarda fatta attraverso le vite degli artisti, mentre
dal 1778 segretario di Brera diventa l’abate Bianconi, un collezionista di disegni che si era dato da
fare nell’ultimo decennio del 700.
Negli anni 90 la situazione è statica; nel 1791 succede a Giuseppe II, Leopoldo II che era più
tollerante, ma rimase la tendenza a privilegiare negli incarichi di insegnamenti, professori di origine
austriaca.
43
Nel 1796 si assiste alla cacciata degli austriaci, alla costituzione della Repubblica cisalpina e
all'arrivo dei francesi che istituiscono una continuità: confermano dai personaggi che avevano avuto
un ruolo dell'istruzione braidense e quindi il prestigio della scuola viene mantenuto.
Quindi l’arrivo dei francesi e l’ascesa napoleonica danno avvio a una nuova fase per Brera (tutti i
membri dell’Accademia vengono confermati ai loro posti).
Nel 1798 si assiste a un nuovo piano per l’istruzione pubblica che rivendica il diritto per tutti di
imparare a leggere, scrivere e fare di conto; nel 1798 per esigenze militari il palazzo deve ospitare
anche gli orfani, quindi i lavori che si fanno sono di semplice manutenzione e l’Accademia è
ristretta in due sole aule (nello stesso anno l’amministrazione francese richiede degli inventari dei
beni e delle dotazioni degli istituti statali); Pier Marini quindi si ritira dall’impegno pratico e
didattico.
A fine 800 Bianconi aveva ottenuto per Brera l’istituzione della cattedra di prospettiva; nel 1801
Bianconi viene sostituito da Bossi che per iniziare la sua riforma vuole intorno a se un organo
consultivo di più di 40membri reclutati nell’intelligenza milanese.
Si assiste quindi a una grande svolta con Giuseppe Bossi che da una svolta dal punto di vista
dell’organizzazione degli studi; con Bossi, i francesi cercano la continuità con il passato, cercano di
mantenere gli insegnamenti così com’erano e quindi cercano di mantenere tutti i personaggi che
erano già all’interno di Brera (dove c’erano tutti personaggi di primo piano tra cui Parini che
auspica per un insegnamento più funzionale agli insegnamenti accademici e si riserva
l’insegnamento della storia della mitologia).
Bossi era un personaggio ricco di interessi, infatti era un letterato, un pittore e un collezionista di
sculture (alcune opere che ci sono al castello provengono dalla collezione Bossi che ricostruisce il
monumento di Gaston Dafois di Bambaia; quindi siamo nel momento in cui chi dirige l’Accademia
sono gli artisti).
Una delle prime cose che affronta sono gli statuti dell’accademia che nel 1803 diventa accademia
nazionale (negli stessi anni viene aperta l'Accademia nazionale di Bologna); una delle critiche che
si fanno alla vecchia gestione era questa: egli riteneva che l’apporto dei docenti all’accademia fosse
fondamentale, quindi vuole una gestione collegiale dell’accademia e la sua proposta è quella
dell’abolizione della carica del presidente e la gestione dell’Accademia viene affidata a un corpo
accademico composto da 30menbri scelti tra i professori di Brera e gli artisti eminenti e da una
figura di raccordo, quella del segretario. Questo consiglio accademico si riuniva una volta al mese,
eleggendo di seduta in seduta il proprio presidente; quindi l'importanza del segretario aumenta
44
perché è un ruolo propositivo che Bossi assume, mentre il presidente era a turno quindi diventa una
figura complementare.
Bossi interviene anche sulla definizione degli insegnamenti che a suo tempo sono 8, architettura,
pittura, scultura, la cattedra di ornato che era complementare alla cattedra di architettura, la scuola
di anatomia, la scuola di elementi di figura, la scuola di incisione e la scuola di prospettiva.
Un’altra innovazione di Bossi è l’istituzione di incentivi per gli allievi sotto forma di premi che
erano di due tipi, quello per gli artisti già affermati e quello per gli allievi interni all’accademia;
(ancora oggi molte grandi opere di Brera sono premi ottenuti dagli allievi o dagli artisti, che sono
andati a incrementare la collezione della pinacoteca); egli destina alla premiazione il locale più
grande al primo piano.
Bossi è consapevole della necessità, per il buon funzionamento dell’Accademia di un corredo
didattico abbondante e completo, soprattutto per le scuole di architettura, pittura e scultura; quindi
in Bossi vediamo la volontà di incrementare gli strumenti didattici e l’idea che l’accademia debba
avere un ruolo nazionale (infatti essa diventa accademia nazionale).
Nel 1801 si reca ai comizi di Lione dove incontra Napoleone e chiede dei materiali per Brera; è il
momento in cui Napoleone sta compiendo le sue razzie (il Louvre diventa infatti Musèè Napoleon e
questo indica che Napoleone stava lavorando per il Louvre) ed egli ottiene l’autorizzazione di
recarsi a Parigi e ottiene dal Louvre una serie di calchi e dei materiali per l’arricchimento della
dotazione dell'accademia.
Quindi si assiste alla creazione della sala delle statue, della Libreria e della Pinacoteca; Bossi era
riuscito a guadagnare per Brera tutta la parte costruita da Pier Marini e Brera diventa un punto di
richiamo per la città a cui venne offerta una
esposizione pubblica .
Pag. 51 al tempo di Bossi c’erano 8 insegnamenti: dalla
parte verso via Brera c'erano la scuola di anatomia e di
figura, accanto, a destra dell'ingresso, c’era la scuola di
prospettiva; gli insegnamenti erano distribuiti a
seconda del tipo di aula e infatti troviamo la scuola di
pittura nell'antico refettorio; a destra vi è la sala
napoleonica che era la sala di rappresentanza e doveva
servire per i premi degli artisti famosi e degli allievi
dell'Accademia (questo consentiva all'Accademia di
45
acquisire delle opere; l’800 di Brera è sparso nelle Chiese, nella prefettura, al palazzo di giustizia,
quindi oggi c’è uno spargimento nazionale e internazionale delle opere). Quella che vediamo citata
come sala delle statue, in altre piante è citata come sala dei gessi; in alto c’è la scuola di incisione.
Al piano superiore, verso la facciata, ci sono la scuola di ornato e quella di architettura; in più c’è
lo studio dei professori di ornato e di architettura; sulla destra c’è una grande aula dove Bossi aveva
immaginato un locale adibito a pinacoteca.
Bossi riordina Brera e il suo impulso lo impone anche sulla creazione della pinacoteca: egli era uno
storico dell'arte, un pittore, uomo di cultura poliedrico. Uno dei suoi interessi era la pittura ed egli
comprende l'importanza di avere delle dotazioni per l'accademia: egli da importanza agli aspetti
legati all'insegnamento e a quelli legati alla costituzione di un patrimonio per l'accademia. Egli
quindi opera per la creazione della pinacoteca: secondo Bianconi le opere dovevano essere
utilizzate come materiale didattico, mentre secondo Bossi la pinacoteca non è vista solo come
funzionale all'insegnamento, ma come patrimonio per la città.
Quindi nel 1805 cominciano i lavori di ristrutturazione di Brera richiesti da Bossi e viene indetto il
concorso per la scuola di architettura.
Nel 1086 Appiani viene designato conservatore della pinacoteca di Brera, fondata da Bossi; nel
1806 si assiste anche all’esposizione: l'esposizione è un modo per attirare pubblico a Brera e ai
primi dell'800 Bossi aveva capito l'importanza di coinvolgere la città e l'esposizione annuale delle
opere di Brera era diventato un momento importante per la città.
Nel 1806 Bossi scrive una guida della pinacoteca che ci da la situazione dell’epoca; a quell’epoca
c’era già a Brera lo “Sposalizio della Vergine” di Raffaello e un’opera di Bellini perché Appiani si
era dato da fare per recuperare le opere provenienti dalla soppressione delle Chiese; in più la
campagne di Napoleone avevano portato altro materiale. I materiali che arrivano vengono divisi per
categorie, c’erano quelli da esporre, quelli inservibili, quelli da depositare in qualche Chiesa che ne
faceva richiesta e quelli per gli scambi. Infatti se la pinacoteca era nazionale, doveva rappresentare
una storia dell’arte nazionale; l’idea è quella di avere una panoramica della storia dell’arte italiana e
da qui l’importanza di avere delle opere da scambiare (nel 1812 si ha un grosso scambio con il
Louvre per cui arrivano a Brera i fiamminghi, mentre si manda a Parigi i lombardi).
Nella guida di Brera di Bossi egli, per ogni sala, fornisce delle spiegazioni essenziali sulle opere e
sugli artisti (l’elenco dei quadri documenta la relativa ricchezza della Pinacoteca : la concentrazione
di opere a Brera era dovuta alla soppressione delle Chiese e dei conventi dal 1802, le cui opere,
sotto la giurisdizione di Appiani, passano a Brera); in più qui si tiene conto del pubblico che viene
inteso come folla, massa, infatti la pinacoteca non è solo per gli studenti dell’Accademia, ma è per
la città e qui ci sono espresse le idee di Bossi sulla funzione dell’Accademia: egli insiste
46
sull’importanza che ci sia un’accademia che formi il gusto, ma non solo quello degli allievi
dell’accademia (1808).
Nel 1806 inizia l’avventura della pinacoteca che rimane legata all’Accademia fino al 1882, quando
la pinacoteca diventa autonoma; ma com’era la pinacoteca nel 1806? Tutta la parte destra del piano
superiore diventa pinacoteca; la prima sala è dedicata agli artisti moderni (come il Canova), la sala
accanto era dedicata ai ritratti e agli autoritratti degli artisti (è la sala qui indicata come libreria); poi
c’era la pinacoteca vera e propria che occupava anche il posto della scuola di ornato e della scuola
di architettura che quindi dovevano essere state spostate da qualche altra parte.
I piani di Bossi avevano obbligato a restaurare quasi completamente il piano superiore ricavando
delle aule nuove e lo spazio per la pinacoteca (la sala
centrale della pinacoteca aveva come decorazione
suppletiva, le colonne di San Carpoforo che vengono
da un ciborio paleocristiano; si trattava di colonne di
spoglio che erano state rimontate come ciborio nella
Chiesa di San Carpoforo che era vicina a Brera; la
politica di recupero delle opere è una politica che
Bossi persegue) e di tutte queste trasformazioni dal
1805 se ne era occupato Girardoni.
Per predisporre lo spazio per una pinacoteca adatta ad accogliere i quadri che, con affluenza sempre
maggiore erano giunti a Milano, Girardoni aveva progettato la trasformazione di Santa Maria di
Brera, con la suddivisione orizzontale dello spazio
interno: • la parte inferiore doveva essere
destinata al museo delle antichità
lombarde,
• la parte superiore era destinata alle sale
per l’esposizione dei quadri.
Pag. 58 fig 41 vediamo il progetto di Girardoni di
come sistemare l’accademia: la scuola di ornato
viene posta nella sala di scultura che si sposta nella
sala sotto; la sala dei gessi rimane dov’era e accanto
c’è la scuola del nudo e così via; dove c’è la Chiesa
è segnato un museo di antichità ed è il museo della
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scultura che sta nella parte anteriore della Chiesa e convive con la scuola di architettura. Al piano
superiore 4 e 5 non servono ancora per la galleria che continua a essere come al tempo di Bossi
(quasi tutta la parte superiore è espositiva), solo che la sala degli artisti moderni diventa la sala per i
professori del regno.
Nel 1807 Bossi si dimette in quanto era entrato in collisione con il ministro Di Breme che gli
affianca un presidente.
Cmq il progetto di Girardoni era stato sottoposto alla commissione d’ornato che non approva; anche
Bossi non approvava il progetto e, prima di dimettersi aveva presentato un’alternativa; invece
Zanoja, che succede a Bossi come segretario di Brera, e Girardoni sembrano portare avanti delle
istanze classiciste e puriste contro il gotico e la facciata di Santa Maria di Brera era una facciata
gotica, quindi c’era da parte loro la tendenza a demolire la facciata; vince la parte più legata al
potere e la facciata viene demolita nel 1809.
Solo in parte le sculture vennero riservate per il museo di antichità che non venne creato subito, con
la scusa di costi troppo elevati e lo spazio inferiore della Chiesa venne solo parzialmente destinato a
deposito, mentre in gran parte fu ancora riservato al culto.
Il 15 Agosto 1809 si inaugura la pinacoteca di Brera che era una pinacoteca napoleonica; tra il
1810/1812 si assiste alla sistemazione dell’Accademia da parte di Girardoni, in particolare del 1812
è il progetto definitivo per la sistemazione dell’Accademia con cui prese forma l’ala nord-est del
palazzo di Brera (Girarono aveva anche dato i disegni per la costruzione delle nuove serre dell’orto
botanico, ma il progetto non venne realizzato e i fondo vennero desinati all’osservatorio
astronomico). Nel 1813/14 vennero completati i lavori e la selciatura della piazzetta e di via Fiori.
Alla fine dell’800 viene fatto un inventario perché il materiale lapideo viene ceduto al Castello
perché la parte inferiore della Chiesa di Santa Maria di Brera che era stata tagliata in due, doveva
servire per la scultura, ma siccome il museo patrio di archeologia, così denominato nel 1868, aveva
poco spazio, da Brera si decide di cedere la collezione al Castello. A metà dell’800 si era formato
anche il museo artistico municipale che era alle carcanine, sede che lascia per andare anch’esso al
Castello e qui vengono mandate anche le sculture di Brera (l’inaugurazione dell’ala di scultura al
Castello è nel 1900; si tratta di due organismi che si uniscono).
Qui vediamo un’incisione con una delle sale napoleoniche che sono il
risultato dell’affettamento della Chiesa; vediamo che i varchi tra una
sala e l’altra sono fatti con gigantesche colonne e, alla fine del
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