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Da questa sentenza si deduce che ci sono delle particolari esigenze,
sottese alla struttura dell’azione amministrativa, che giustificano la
possibilità di integrare la motivazione in un momento successivo alla sua
esternazione, soprattutto nei casi in cui si tratta di applicare una
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normativa specifica. Più precisamente, si è osservato che il fenomeno
può essere concepito secondo tre distinti aspetti: prima di tutto come
possibilità di integrare mediante scritti difensivi il contenuto del
provvedimento impugnato; in secondo luogo, come possibilità per il
giudice di fondare il proprio convincimento utilizzando allo scopo atti
del procedimento, anche se non espressamente indicati in motivazione;
infine, come possibilità per l’amministrazione resistente di integrare con
un proprio provvedimento (di convalida) la motivazione (carente o
insufficiente) del provvedimento impugnato.
1 Cfr. D. NAZZARO, Illegittimità non invalidante dell’atto amministrativo e motivazione postuma: la
positiva metamorfosi del GA, in www.giustizia-amministrativa.it.
2 T. AUTIERI, M.DE PAOLIS, “La motivazione del provvedimento amministrativo, raccolta di
dottrina, giurispudenza e legislazione”, Padova, Ccedam, 2002.
Sul problema dell’ammissibilità dell’integrazione in corso di giudizio
della motivazione, si registra un divario di opinioni in dottrina e in
giurisprudenza. Infatti è importante osservare come la giurisprudenza
maggioritaria neghi l’integrabilità in giudizio della motivazione del
provvedimento amministrativo, con argomenti che vanno proprio dal
richiamo alla lettera della norma citata alle ragioni di tutela del
ricorrente, e che hanno come base la visione tradizionale del processo
amministrativo come giudizio sull’atto.
La motivazione postuma è quasi sempre stata tendenzialmente negata
dalla giurisprudenza tradizionale, anche se non sono mancate pronunce
nel senso della sua ammissibilità. Difatti, una parte della dottrina ha
evidenziato i rischi di una prassi che ammettesse l’integrazione postuma
della motivazione, rilevando, fra l’altro che, così facendo si priverebbe la
collettività di uno strumento utile per esercitare un controllo sociale
sull’amministrazione; si violerebbe l’art. 3 della legge 241/1990; si
rischierebbe di avere di frequente una prassi di provvedimenti non
motivati; si potrebbe giungere all’affermazione dell’irrilevanza di ogni
vizio formale, trascurandone l’innegabile importanza; si porrebbe in crisi
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la stessa legge n. 241 del 1990; si provocherebbe la “dequotazione ”
dello stesso provvedimento amministrativo, che non potrebbe più
considerarsi come momento terminale dell’azione amministrativa, in
quanto rimarrebbe sempre aperta la possibilità di un’integrazione
successiva dello stesso.
Come già detto, la motivazione è un elemento essenziale dell’atto. La
giurisprudenza quindi affermava che essa doveva sussistere nel momento
della sua emanazione in quanto un atto amministrativo privo di
motivazione sarebbe stato viziato in radice.
3 M.S. GIANNINI, “Motivazione dell’atto amministrativo”, in Enciclopedia del diritto, 1992.
Esso nel momento in cui inizia a produrre effetti nel modo giuridico,
deve risultare completo in ogni sua parte, motivazione compresa.
La motivazione, però può anche mancare per una semplice dimenticanza,
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ma a volte costituisce lo specchio di una carenza dell’atto .
Essa costituisce la garanzia che l’atto amministrativo è stato emanato
correttamente; quindi se essa viene a mancare viene meno la garanzia del
corretto svolgimento dell’istruttoria e della stessa conformità alla legge
dell’atto amministrativo. Pertanto, l’atto amministrativo deve recare in sé
la propria motivazione e questa non può seguire la determinazione
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assunta dall’amministrazione . La giurisprudenza afferma il divieto di
integrare successivamente una motivazione carente; per cui questa
integrazione non vale a sanare il vizio dell’atto. In sostanza, la
motivazione del provvedimento amministrativo è soltanto quella che
risulta dal testo dell’atto ovvero dagli atti richiamati per relationem, e
non è ammissibile la tardiva integrazione dei motivi del provvedimento
amministrativo contenuta per esempio nella memoria difensiva prodotta
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dall’Amministrazione nel corso del giudizio . L’Amministrazione però
può giustificare il suo potere o chiarire i contenuti della motivazione già
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esistente .
Altra parte della dottrina e la giurisprudenza hanno ritenuto, invece,
ammissibile l’integrazione operata dall’amministrazione durante il
giudizio mediante provvedimenti ulteriori.
A confermare il superamento dell’originaria inammissibilità della
motivazione postuma, è arrivata proprio recentemente una sentenza del
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Consiglio di Stato che, pur ribadendo in generale il divieto di
4 U.ZUBALI, R.SAVOIA, “La motivazione dell’atto amministrativo”
5 Consiglio di Stato, sezione V, 14 marzo 1994 n.164 in Cons. St., 1994, I, 378.
6 Consiglio di Stato, sezione IV, 11 gennaio 1994, n. 22 in Foro Amm., 1994, 51.
7 Consiglio di Stato, sezione VI, 9 marzo 1992 n. 174 in Cons.St., 1992, I, 488; TAR Marche, 2
febbraio 1995, n. 53 in TAR 1995, I, 1775.
8 Cons. Stato, sez. IV, n. 1018/2014 : “Alla luce dell’attuale assetto normativo, devono essere
attenuate le conseguenze del principio di divieto di integrazione postuma, dequotando il relativo vizio