Anteprima
Vedrai una selezione di 5 pagine su 18
Monumenti dell'età adrianea, Archeologia e storia dell'arte greca e romana Pag. 1 Monumenti dell'età adrianea, Archeologia e storia dell'arte greca e romana Pag. 2
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Monumenti dell'età adrianea, Archeologia e storia dell'arte greca e romana Pag. 6
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Monumenti dell'età adrianea, Archeologia e storia dell'arte greca e romana Pag. 11
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Monumenti dell'età adrianea, Archeologia e storia dell'arte greca e romana Pag. 16
1 su 18
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

SIBI ET SUIS

costruzione dei grandi mausolei. è spesso la scritta che troviamo sul nobile frontespizio di

questi edifici. A inaugurare questa pratica è lo stesso fondatore dell’Impero, Augusto, il quale fa costruire

un mausoleo per sé e la propria famiglia nel Campo Marzio, avviando, in tal modo, la prima opera di

edificazione di questa ampia area che a partire da questo momento sarà la sede di straordinari interventi

edilizi da parte di Augusto e dei suoi successori. Il sepolcro di Augusto presenta una pianta circolare che

all’interno doveva custodire, oltre alle spoglie, il simulacro dell’imperatore divinizzato.

Solo Nerone, Otone, Vitellio e i Flavi ebbero sepoltura sul Quirinale; Adriano, invece, scelse quale sua

trans Tiberim

eterna dimora un’area , quindi al di là del Pomerio, proprio sulla sponda del fiume che rese

raggiungibile tramite l’apposita costruzione di un ponte, il Ponte Elio. I lavori iniziarono probabilmente nel

130, ma furono senz’altro ultimati sotto gli Antonini che elessero il monumento anche a proprio luogo di

sepoltura: non è un caso, infatti, che spesso le fonti dell’epoca citino l’edificio con un nome che a noi suona

Sepulcrum Antonini.

inconsueto, Si pensa che la destinazione a sepolcro si fosse perpetuata, fino a che la

zona non venne inglobata all’interno del Pomerio. L’edificio, dalle proporzioni davvero considerevoli e

degne di un monumento di un così grande significato anche ideologico-imperiale, esternamente risulta

costituito da un grande basamento quadrangolare, sui cui lati si aprono dei passaggi. Questo primo

elemento è sormontato da ciò che rappresenta invero il nucleo centrale del complesso, un tamburo su cui

si apre l’ingresso. Questo è segnato da un arco che un tempo recava l’iscrizione con la dedica

dromos,

all’imperatore-committente ed era rivestito da marmo giallo. Si passa così al il quale immette in un

vestibolo, sulla cui parete di fondo è ricavata una nicchia, in corrispondenza della quale si innalzava la

statua di Adriano; a destra, una lunga galleria in salita, girando, supera il dislivello di dieci metri e conduce

alla parte superiore, la camera sepolcrale. Qui erano deposte le spoglie di Adriano e Sabino. Non sappiamo,

in verità, quale fosse la sistemazione originaria del complesso; se, per esempio, la parte tra il tamburo e il

basamento fosse colmata da un tumulo, alla stessa stregua del Mausoleo di Augusto, e coperta da

Helios

vegetazione. Coronava l’edificio una sorta di rotonda che reggeva una colossale statua di su

quadriga, la divinità solare sotto la cui protezione si era posta la persona dell’imperatore.

Ben poco purtroppo ci rimane della decorazione: del tamburo, perduto è il rivestimento dei blocchi che ne

costituivano la l’ornamento; esternamente suggestiva era la presenza di lesene che incorniciavano dei

riquadri leggermente in rilievo; anche le pareti del plinto erano decorate da grandi iscrizioni su marmo,

oggi purtroppo perdute. Ad ingentilire decisamente l’aspetto dell’insieme era la presenza di statue sopra il

tamburo, preziosi ornamenti che furono purtroppo abbattuti dai Goti durante l’assedio del 537. Come già

accennato la destinazione a sepolcro permase, finchè il monumento non venne inglobato nelle mura

cittadine ed è ad allora che si fa risalire la sua trasformazione a castello e la sua occupazione da parte dei

papi, che se ne servirono quale inespugnabile fortezza nei momenti di pericolo per la loro incolumità. E’ del

XII sec. la nuova denominazione di Castel Sant’Angelo. Nel concepire questo edificio sepolcrale, Adriano si

ispira senz’altro alla tradizione romano-italica, tradizione, tra l’altro, che lo stesso Augusto, a sua volta,

tenne presente nella costruzione della propria Tomba al Campo Marzio. 6

Figura 3 Il Pantheon, Roma.

Il Pantheon e l’edilizia civile romana nell’età di Adriano

Come suggerisce la grande iscrizione ancor oggi visibile sul prospetto dell’edificio, una prima struttura di

Pantheon

quel monumento conosciuto col nome di viene innalzata , in età augustea (27 a.C.), da Vipsanio

gens Julia,

Agrippa, genero e fedele collaboratore di Ottaviano, al fine di glorificare la grandezza della in

quella prospettiva di politica culturale che investiva anche la Poesia e le Lettere e che aveva la sua ragion

d’essere nella nuova ideologia imperiale inaugurata appunto dal fondatore dell’Impero. Sappiamo, però,

che questa creazione augustea subì una prima distruzione nell’80 d.C. a causa di un incendio, e una seconda

nel 110, avente la stessa causa. Fu, dunque, Adriano a disporre la pressochè totale ricostruzione del

Tempio, che dedicò alle sette divinità planetarie e che senz’altro rappresenta l’opera più prestigiosa eretta

in età adrianea e quella che naturalmente è giunta sino a noi nelle migliori condizioni di conservazione;

circostanza questa non casuale, ma strettamente dipendente dalla trasformazione in chiesa cristiana della

struttura. I lavori coprirono, più o meno, l’intero arco del primo decennio del principato di Adriano (118-

128 d.C.).

L’ opera si fonda sull’impiego di un unico modulo, dimostrando in questo di aver fatto tesoro degli studi del

grande architetto Apollodoro di Damasco, che era pervenuto appunto alla formulazione di questo principio

in architettura. La forma è, dunque, alquanto semplice, giacchè consta di una pianta circolare con copertura

a cupola emisferica, avente il diametro pari all’altezza totale del Tempio e un tamburo, su cui appunto si

imposta il pesante monolito in conglomerato, che si presenta con la medesima altezza. E’ evidente,

dunque, che si tratta, come detto, di una forma semplice, in cui ogni punto dipende dal centro e in cui si

ravvisa una sistematica corrispondenza delle parti. D’altra parte, l’architettura romana, essendo spaziale, è

per definizione architettura di interni. A questa concezione, che a sua volta sottende l’ideologia imperiale, 7

princeps

per cui Roma e il potere del suo stanno al centro, mentre il resto del mondo gravita intorno, è

funzionale anche la luce. Questa penetra dall’oculo che si apre al vertice dell’edificio e discende,

“piovendo” da questa unica fonte, prima a sfiorare l’intradosso della cupola, poi, allargandosi a cono, a

illuminare più in basso il resto dell’ambiente. Ad accentuare l’effetto coloristico e il senso del movimento,

giocano un ruolo essenziale i lacunari trapezoidali ricavati nella cupola che, colpiti dall’alto verso il basso

dalla luce, producono un ritmo regolare di luci e ombre, che si propaga dal centro alla periferia. Questo

senso di moto, che costituisce una cifra dell’arte romana e che qui appunto è espresso compiutamente, si

propaga, come detto, circolarmente e viene ripreso in basso dalla grande abside arcuata e dalle sei nicchie

architravate, che dilatano lo spazio quasi a superare i limiti fisici della parete. La stessa tensione spaziale

che spesso spinge ad abbandonare la tradizionale decorazione a cassettoni delle volte in favore di

approfondimenti a spicchi, o andamenti concavo-convessi, fa sì che la cupola si imposti non direttamente

sul corpo dell’edificio, ma su alti tamburi fenestrati che all’interno accentuano l’altezza dell’insieme,

conferendo maggior respiro allo spazio. La grande portata di novità di questa soluzione è evidenziata dal

fatto che i tamburi esternamente non risultano visibili, giacchè si sceglie piuttosto di nasconderli

addossandoli ai muri dei vicini corpi di fabbrica e attenuando, in tal modo, l’effetto verticalistico che

sarebbe eccessivo.

Questa concezione unitaria e coerente dell’interno non corrisponde al carattere dell’esterno; qui, infatti, si

percepisce chiaramente una dissonanza, sul piano organico, tra il pronao rettilineo grecizzante e il resto

della struttura più tipicamente romana, caratteristica questa che potrebbe trovare una spiegazione

abbastanza plausibile nel fatto che, in realtà, dell’edificio lo spettatore coglieva soltanto la parte anteriore,

essendo la rimanente nascosta da innumerevoli costruzioni che le erano attigue e un parallelepipedo,

altresì, nascondeva la parete circolare dietro il pronao. La suddetta dicotomia stilistica può, inoltre, trovare

giustificazione nel proverbiale filellenismo di Adriano tendente appunto a fondere nello stesso organismo

architettonico elementi riconducibili alle due culture artistiche. Secondo, invece, un’altra ipotesi , la parte

anteriore, quella appunto relativa al pronao, sarebbe il residuo dell’edificio di Agrippa (lo attesta l’iscrizione

dell’epistilio), affermazione questa, però, non adeguatamente suffragata dalle fonti, che attestano, invece,

come il Tempio augusteo fosse di dimensioni minori e avesse un diverso orientamento. D’altra parte, il

carattere ellenico di questa parte appare solo nella forma, mentre nelle proporzioni decisamente colossali,

nelle cornici dentellate, nelle colonne lisce di granito che contrastano coloristicamente con le parti

aggettanti del timpano, è ravvisabile un gusto più riconducibile all’ambiente artistico romano.

Figura 4 Uno dei tanti frammenti in cui ci è pervenuta la severiana.

Forma Urbis 8

Passiamo ora al secondo degli argomenti che questo capitolo si propone di affrontare: l’edilizia civile

nell’età di Adriano. In merito a tale argomento non possiamo non trarre beneficio dalle preziose

Forma Urbis,

informazioni fornite dalla documentazione archeologica e soprattutto dalla cosiddetta una

grande pianta di Roma incisa su marmo e risalente all’età severiana. Essa, pur nel suo stato frammentario,

ci informa che appunto nel II secolo dell’Impero assistiamo all’affermarsi di un modo nuovo dell’abitare in

città, quello relativo alla nascita e sviluppo dell’insula, costituita essenzialmente da un grande caseggiato

che si sviluppa in altezza, contenente innumerevoli appartamenti (cenacula), collegati da corridoi di

disimpegno. Questa pianta marmorea di Roma attesta appunto che l’Urbe, nel corso del II secolo, conosce

uno sviluppo urbanistico impressionante, tanto da inglobare la città di Ostia, che assume una grande

importanza come centro portuale connesso con la capitale dell’Impero. Ed è proprio in dipendenza di

questa inedita espansione urbanistico-demografica che, già sotto Traiano, nasce questa nuova forma

abitativa che conoscerà il momento di maggiore successo con Adriano. L’insula, non a caso, pur essendo un

fenomeno che concerne anche Roma, è una realtà molto ben documentata ad Ostia con esempi edilizi di

particolare pregio che attestano il possesso e l’uso di una buona tecnica cost

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
18 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/07 Archeologia classica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vin73 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Archeologia e storia dell'arte greca e romana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Gasparri Carlo.