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Altre norme sempre relative al TUF (‘98) furono quelle relative all’introduzione degli
amministratori indipendenti. Tale norme prevede che obbligatoriamente in seno al Cda ci
debbano essere dei consiglieri di amministrazione che non intrattengono o non hanno
intrattenuto particolari relazioni ecc., finanziarie o personali, da compromettere l’indipendenza,
questo è l’elemento nuovo rispetto al sistema precedente.
Nonostante queste norme innovative, non è stata mai affrontato il tema relativo alla struttura e il
funzionamento del consiglio di amministrazione, eccezion fatta per questi meccanismi di
composizione.
Così per colmare queste lacune, la Commissione di studio Mirone, è chiamata a predisporre uno
schema di disegno per la riforma del diritto societario.
Tale commissione realizza la legge delega n.366/2001, enuncia tra i sui principi quelli di:
- Semplificare la disciplina delle società per ridurre i costi e le rigidità strutturali, cioè le
regole interne devono consentire un assetto che possa permettere di competere a livello
internazionale;
- rendere competitive le società, anche da un punto di vista internazionale. Per la prima
volta si parla di competitività,; e di ampliamento dell’autonomia statutaria, cioè
consentire alle società di adattare il proprio statuto, cioè le regole di organizzazione, in
maniera maggiormente autonoma rispetto ai modelli previsti dalla legge, però senza
dimenticare le tutele previste per le minoranze, per i soci e per i terzi.
- ampliare l’autonomia statutaria. Si inizia a parlare di Autonomia statutaria, la quale
consente alle società di adattare il proprio statuto in modo maggiormente autonomo
rispetto ai modelli previsti.
- mantenere inalterata la tutela degli interessi dei socie e dei terzi.
Tale legge delega diviene riforma solo nel 2003 questa norma va ad incidere su alcune norme
importanti del c.c.
Gli obiettivi di tale legge sono i seguenti:
- beneficiare le società da un punto di vista di riduzione dei costi ed eliminando le criticità
operative
Infatti i margini sarebbero più stretti, la competizione crescerebbe, e la riduzione dei costi
aumenterebbe la ritenzione dei margini.
In passato, dato che il mercato era circoscritto da determinati ambiti generalmente nazionali ed
essendoci poche società multinazionali, coloro che avevano idee imprenditoriali brillanti potevano
beneficiarne per lunghi anni.
Oggi la velocità con la quale viaggiano le informazioni, non permette la possibilità che una società
abbia più informazioni rispetto ad un’altra. Quindi la maggiore velocità delle strutture e la
riduzione dei costi, sono sicuramente aspetti positivi. Pensiamo che in passato, aprire una sede
all’estero, voleva dire chiedere un’autorizzazione all’assemblea proponendo agli azionisti un
cambio importantissimo, mentre oggi è un fatto all’ordine del giorno.
Parallelamente al TUF, che andava a studiare come e cosa bisognava modificare, le società quotate
avevano l’esigenza di colmare alcune lacune della legislazione vigente soprattutto in relazione alla
disciplina dell’organo amministrativo, così nasce il Comitato per la Corporate Governance delle
società quotate (ottobre 1999), che darà vita alla prima edizione del codice di autodisciplina.
La prima versione del codice risale all’ottobre del 1999, definito come funzione anticipatoria, vale
a dire spesso l’autoregolamentazione viene attuata a dei soggetti che devono rispettare
determinate regole in un determinato contesto, verificano che non c’è un’autoregolamentazione
chiara ed espressa su alcune componenti, decidono invece che ognuno deve assumere un
comportamento difforme di darsi delle regole e di uniformarsi a determinati principi e rispettarli
l’un l’altro, pubblicizzando e pubblicando questo e facendo si che sia lo stesso giudizio del mercato
a valutare in che misura le società abbiano o meno adempiuto a realizzare ciò a cui avevano
dichiarato di attenersi.
Il codice di Autodisciplina non solo ha colmato un vuoto normativo, ma è andato ad anticipare
degli elementi che dopo diversi anni il legislatore andrà a replicare.
Il codice di autodisciplina, attraverso il meccanismo dell’autoregolamentazione, è molto più rapido
e tale rapidità facilita un miglior adattamento alle esigenze del mercato (al punto tale che anticipa
spesso e volentieri delle norme che poi verranno fissate da normative di legge) ma soprattutto
consente di avere una omogeneità di regolamentazione anche con sistemi giuridici stranieri.
Prendiamo come esempio, in maniera piuttosto sintetica, la common law. Noi siamo in un paese
di civil law regolamentato principalmente da norme di legge (codice civile, codice penale, diritto
dei mercati finanziari, TUF). Le decisioni dei giudici hanno un valore importante perché
costituiscono dei precedenti (decisioni specifiche su casi specifici). Spesso fissano dei principi che
non sono vincolanti, cioè possono essere presi a supporto di tesi normative, ma un giudice
successivamente può decidere in maniera diversa (a parità di situazioni analoghe) rispetto ad altri
colleghi. La caratteristica è la prevalenza della norma della legge sulle decisioni dei giudici. I sistemi
di common law (mondo anglosassone), invece, si basano sulla vincolatività del sistema
giurisprudenziale. Se un giudice delibera su una determinata questione, il giudice che
successivamente deve decidere su un caso analogo è “obbligato” a seguire la stessa decisione. Il
diritto, quindi, è creato da una somma di decisioni giurisprudenziali. Anche i sistemi di common
law hanno sentito la necessità di regolamentare con leggi speciali determinati settori specifici.
Quindi in realtà anche se si parla di due approcci diametralmente opposti, in realtà questi sistemi
pian piano stanno andando verso una confluenza.
Quando un’impresa deve operare non solo nello stato in cui si trova prevalentemente, ma anche
in altri stati, ha tutto l’interesse ad avere una governance e un livello di struttura del proprio top
management,dei propri amministratori e degli organi di controlli il più possibile comparabile a
quelli delle strutture di altri paesi.
È chiaro che se devo avere un rapporto commerciale con una società che ha un meccanismo di
gestione o di controllo completamente estraneo, è più difficile capire la solidità di questa società, i
rischi che corro avendo rapporti con questa società. Se io sono un soggetto che vuole investire, mi
fiderei se questa non avesse una società di revisione? Se non avesse un collegio sindacale?
Una società è anche attraente per gli investitori nella misura in cui ha una governance, un sistema
di gestione e controllo il più possibile rispondente, non tanto alla specifica norma di legge,quanto
a dei principi generali che sono declinati in ciascuno ordinamento nazionale. È chiaro che
l’autoregolamentazione da una parte colma delle lacune normative o anticipa dei sistemi
normativi, dall’altra consente ad un paese di avere delle società quotate (che per definizione
devono attrarre dei capitali stranieri) che abbiano un sistema di governance interno che risponda
comunque a dei principi generali ( riconosciuti a livello internazionali, contenuti nelle specifiche
leggi dei vari sistemi normativi)
Vuol dire che se uno straniero volesse investire in una società soggetta a normativa italiana che
dichiara di aderire ad un codice di autodisciplina questo la rende una società sostanzialmente
affidabile. Una caratteristica fondamentale è che l’autoregolamentazione è un sistema parallelo a
quello della normativa generale.
L’autoregolamentazione ha quelle peculiarità di possedere una serie di principi (più che di norme)
che le società devono decidere spontaneamente di rispettare e nel momento in cui avviene ciò
devono conformarsi a questo o pubblicamente spiegare il perché della mancata adesione
(complain or explain).
Quindi nonostante tali tipologia di regolamentazione si trova al livello più basso della gerarchia
normativa, di fatto dal 98 in poi diviene il parametro di riferimento più importante (vale a dire è
una sorta di benchmark per la valutazione e la correttezza dei comportamenti sostenuti).
Autoregolamentazione + riforma del 2003 formano un corpus normativo che cerca di dare un
elasticità maggiore ai sistemi informativi delle società quotate.
La riforma parte con un nuovo approccio:
- bisogna tipizzare i modelli societari e devono contenere al loro interno una discreta
capacità di elasticità di modifiche,
- allo stesso tempo una precisa definizione dei compiti e responsabilità degli organi sociali,
- al centro di tutta questa riforma i modelli, le strutture, i sistemi hanno tutti lo stesso
obiettivo irrobustire la società dal punto di vista dell’organizzazione interna, si diede in
particolar modo risalto all’informazione e la trasparenza sia relativamente al ruolo
dell’amministratore e che all’organo di controllo.
Tali finalità, principi e modalità di attuazione , anche al fine di riservare ampi spazi all’autonomia
privata( in particolare nelle clausole statutarie) hanno portato a due fondamentali innovazioni:
1- creazione di 3 modelli di amministrazione e controllo , che sono 3 veri sistemi di
organizzazione interna, con una differente ripartizione di ruoli e responsabilità di
amministratori/controllori/soci:
a. tradizionale(CDA/Collegio sindacale)
b. dualistico (Consiglio di Gestione/Consiglio di sorveglianza)
c. monistico (CDA/Comitato di Controllo sulla gestione)
con ciò si capisce sempre più che è il sistema di organizzazione interna il cuore della società, che
vuole tutelare gli interessi degli azionisti e dei terzi;
2- Introduzione nel sistema normativo e regolamentare del principio di adeguatezza del
sistema organizzativo interno (art. 2381 cc e 2403 cc) e anche il sistema di controllo , che
ha come punto centrale il sistema dei controlli interni
La società deve essere correttamente strutturata affinchè funzioni nel migliore dei modi. E’
inutile dare poteri ad altri soggetti che hanno una struttura interna non conforme agli
obiettivi ,alle regole e ai canoni della società; inoltre è inutile dare agli organi di controllo
delle responsabilità e poteri solo formali, cioè poteri privi di verificare l’aspetto sostanziale.
A tal proposito l’art 2381 c.c. al terzo comma va ad indicare tra i compiti del Cda quello di
valutare l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (punto di vista<