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LA PROGNOSI NEGATIVA: VERSO L’ADOZIONE

Il processo valutativo può funzionare proprio perché si ritiene che il bene primario di un bambino

sia di conservare il legame con i suoi genitori solo a patto che il bambino non debba pagare dei costi

eccessivi: in questo sfortunato caso, pensare al bene del bambino significa avviarlo ad un

inserimento stabile in una famiglia adottiva. Ovviamente, il valutatore non prende in proprio alcuna

decisione, ma si limita a segnalare in modo inequivocabile all’apparato giudiziario l’assenza di

cambiamento. Sarà poi il TM ad assumere la propria decisione, dopo aver verificato che questo

mancato rispetto delle prescrizioni fornite si configuri come abbandono e possa quindi essere

pronunciata un’adottabilità. L’adozione non è punizione per un fatto o un reato, ma è una misura di

tutela del minore quando nessuno se ne può occupare adeguatamente.

Quando in una riunione di rete comincia a profilarsi un esito negativo sulla recuperabilità dei

genitori, le identificazioni degli operatori con i differenti membri della famiglia di regola tendono a

polarizzarsi: gli educatori, i servizi affidatari del minore e i terapeuti del bambino ritengono giusta

questa decisione, mentre gli operatori che lavorano a fianco degli adulti, magari nei servizi

specialistici o nel ruolo di valutatori, si preoccupano di come i genitori potranno reagire di fronte a

questo pronunciamento sulla loro immodificabilità. Di fronte a questa decisione, alcuni genitori non

si arrendono a lasciar allontanare il bambino e questo può voler dire che non sono stati

accompagnati nel capire che non solo per il figlio, ma anche per loro stessi è meglio così.

Altri, invece, non si impegnano neanche in una battaglia legale per opporsi all’adozione dei propri

figli oppure si fermano senza far ricorso in Corte d’Appello. Spesso è come se la battaglia non fosse

portata avanti sulla base di una reale convinzione, ma piuttosto per un “dovere sociale” per mostrare

alla società che non si condivide il giudizio di essere un genitore inadeguato, ma che si è costretti a

cedere di fronte al potere del giudice.

Fino all’800 in Europa riconoscere la propria mancanza di capacità o il desiderio di non far fronte ai

compiti e alle responsabilità genitoriali non era difficile, mentre oggi, conoscendo gli effetti

negativi dell’istituzionalizzazione e dell’abbandono, questo riceve una condanna sociale. Il risvolto

negativo di tale condanna è il fatto che genitori fragili e incapaci, ragazze rimaste incinta senza

volerlo, non se la sentono di affrontare il discredito sociale in cui incorrerebbero se abbandonassero

il figlio. Questo li spinge a compiere gesti atroci, come partorire di nascosto e sopprimere il

bambino.

La provincia di Milano ha messo a punto un progetto, Madre Segreta che permette alla donna di

non riconoscere il figlio alla nascita e di partorire senza dichiarare la propria identità.

Alcuni genitori, soverchiati dai sensi di colpa, tentano di prolungare a dismisura i provvedimenti-

tampone, quelli provvisori e si oppongono alle prognosi di irrecuperabilità, a meno che gli operatori

(come nel caso di Madre Segreta) non riescano ad aiutarli a perdonarsi il fatto di non essere capaci

di essere dei genitori, e a bonificare il gesto di lasciare andare il figlio mettendolo in salvo.

Le decisioni, i provvedimenti sono prese da singole persone e quindi influenzate dai loro valori che

li portano ad assumere delle posizioni anziché altre e a interpretare le norme e le leggi in una forma

invece che in un’altra. Nei Tribunali delle diverse città d’Italia, dunque, diverse politiche mostrano

diversi atteggiamenti rispetto all’opportunità di interrompere o meno i legami di sangue.

L’esperienza degli altri paesi europei

L’adozione non viene contemplata in numerosi paesi europei (Belgio, Francia), in cui il cardine del

sistema assistenziale è rappresentato da un affidamento familiare che si realizza a casa di

un’operatrice, selezionata e remunerata, presso cui il minore finisce spesso per vivere stabilmente.

In casi meno fortunati, il collocamento è invece in istituto, sempre con il mantenimento dei rapporti

tra minore e genitore: i casi in cui sono sospesi i rientri a casa nel fine settimana sono molto più rari

che da noià gli operatori hanno il mandato di sostenere e recuperare con tutti i mezzi possibili la

relazione genitore/figlio.

Anche da noi esistono cose simili, come gli affidi sine die, ma vi è una maggiore consapevolezza di

ciò e queste modalità non sono quelle preferite e auspicate.

Qualche dato

si riscontra un buon miglioramento dei bambini dal momento dell’adozione, ma rimane

significativamente alta la percentuale di coloro che presentano ancora difficoltà emotive e ciò

dimostra che l’adozione influisce positivamente ma non fa miracoli. La variabile maggiormente

correlata con il benessere del bambino è il suo stato di salute al momento dell’adozione. Poiché

questa non riesce a curare i disturbi più gravi, è necessario trovare un collocamento che risponda in

modo migliore alle loro esigenze prima che riportino danni difficili da riparare.

Un’altra ricerca dimostra come nel lungo tempo, il maggior successo in termini di benessere lo si

trova tra i ragazzi adottati, il peggiore tra quelli rimasti con la madre biologica, mentre i ragazzi in

affido si collocano in una posizione intermedia.

Adozione e appartenenza

La polarizzazione delle due posizioni dipende dal primato che ciascuna di esse attribuisce

all’appartenenza e alla continuità. Tali dimensioni coesistono senza contrapporsi nell’esistenza di

un soggetto che non sia sottoposto a vicende traumatiche, mentre per i bambini con un destino

tragico bisogna scegliere fra le due.

La crescita può essere vista come l’evoluzione da un’appartenenza all’altra: si parte dalla vita

intrauterina e poi alle cure della madre, il piccolo d’uomo fa successivamente l’esperienza di vivere

in seno alla famiglia, appartenere poi al gruppo dei pari, finchè l’esperienza dell’innamoramento

non lo riporterà ad appartenere a una coppia, e poi di nuovo a una famiglia, senza cancellare le altre

appartenenze e senza smettere di aggiungere altre, mutualmente non escludentesi.

E dunque, i magistrati, gli operatori, gli studiosi dello sviluppo infantile che parlano in favore

dell’adozione sottolineano l’importanza di permettere, ad alcuni bambini che sono nati in alcune

determinate situazioni familiari, di vivere una stabile e sicura appartenenza, quella che trovano in

una famiglia, anche se ciò si realizza a scapito del loro sentimento di continuità. Questa realtà è

simboleggiata dal cambiamento del cognome.

Adesso, gli operatori insistono con i genitori adottivi che una certa continuità nel percorso di vita

del bambino va salvaguardata, per cui c’è oggi un’attenzione al rispetto delle radici; ma non

bisogna esagerare, in quanto il bisogno del bambino è anzitutto quello di diventare un membro a

pieno titolo della sua famiglia, poi di sentirsi di quella nazionalità che lo ospita e solo in terza

istanza di veder salvaguardato il diritto a rimanere in parte anche vincolato al proprio passato e alla

propria storiaàquesto per evitare di indebolire la capacità dei genitori adottivi di accoglierlo e di

diventare i suoi “veri” genitori.

L’enfasi con cui oggi si impone ai genitori adottivi di raccontare al bambino la verità non deve

arrivare a trasmettere loro il messaggio che quello non è il loro figlio: la verità principale perché il

figlio stia bene è invece che il bambino è figlio loro, anche se frutto di una diversa filiazione.

In uno studio su soggetti adottati che sono venuti a conoscenza da adulti della realtà delle loro

origini, è emerso come molti sembrino aver vissuto la rivelazione tardiva come un trauma, del quale

hanno addebitato ai genitori la portata, connettendola con il ritardo della comunicazione. Altri, però,

non l’hanno vissuta allo stesso modo, come se avessero riconosciuto non solo la buona fede dei

genitori, ma anche l’utilità di aver tessuto un legame con loro in una condizione di maggior

“naturalità”. Il ridimensionamento del ruolo e dell’identità di vero genitore compete al genitore

adottivo.

Guido e Tosi ricordano come il bambino possa adagiarsi in una nuova appartenenza se è legittimato

dal racconto dei genitori adottivi, che attribuisce senso e significato alle disgiunzioni della famiglia

di origine. Ciò che si può raccontare della verità è modulato dall’età del bambino e co-costruito sui

suoi ricordi.

Un’avvertenza fondamentale per gli operatori che preparano e seguono le coppie adottive, sia per i

genitori adottivi che si mettono in relazione con il figlio, è di dare un posto centrale nella vicenda

adottiva al terzo, cioè il giudice. È questo che ha deciso che chi messo al mondo il bambino non era

capace di essere un genitore e perciò il giudice ha trovato al bambino una famiglia, che sempre lui

ha giudicato idonea: non sono i genitori adottivi che hanno costruito la loro felicità a spese di

genitori poveri e infelici.

La ricerca di Cyrulnik svolta su un gruppo di bambini stranieri adottati da genitori europei che

hanno acconsentito a incontrare i genitori biologici del figlio e a spedir loro delle lettere e delle foto

perché avessero sue notizie, confrontato con un gruppo di bambini i cui genitori si erano rifiutati di

conoscere i genitori biologici, mostra come l’attaccamento si è stabilito meglio in questo secondo

gruppo, in cui le origini dei bambini sono rimaste sconosciute.

Adozione e rottura della continuità

Se i sostenitori dell’adozione privilegiano il rispetto del diritto del bambino all’appartenenza, i suoi

detrattori viceversa tendono a sottolineare maggiormente la dimensione della continuità come

centrale per il sano sviluppo dell’essere umano. Si dimostrano perciò critici verso la rottura della

continuità che l’adozione necessariamente comporta.

Alcuni figli adottivi diventati adulti riportano critiche alle scelte dei loro genitori di averli strappai

alla realtà sociale, etnica, culturale del loro paese, per sottoporli alla fatica di questo trapianto,

anche se solitamente la loro valutazione della propria esperienza adottiva resta globalmente

positiva.

Un’obiezione del tutto diversa che viene formulata nei confronti dell’applicazione della misura

dell’adozione a figli di genitori noti riguarda il meccanismo di idealizzazione. Si argomenta che un

bambino che viene allontanato

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Publisher
A.A. 2011-2012
38 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher layoulay di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Modelli di intervento e contesti di tutela e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Marchesi Virginio.