Microeconomia - Appunti
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Scelta della tecnica produttiva più conveniente
Fattori cruciali:
Tecnologia produttiva Costo dei fattori produttivi
Strumenti produttivi
Isoquanti Isocosti
IMPRESA
Fattori produttivi Beni e servizi
(outputs)
(inputs) Che accade dentro l’impresa?
Processo di trasformazione
degli inputs in outputs
Nozione di produzione
Produttore: è quel soggetto economico (detto anche imprenditore) che produce beni
idonei alla soddisfazione dei bisogni dei consumatori.
I principali problemi che l’imprenditore deve risolvere riguardano la produzione, i costi e il
profitto.
Produzione: è una qualsiasi attività intesa a trasformare alcuni beni in altri beni, diversi dai
primi, cui viene attribuito un valore complessivo più elevato.
Prodotti: i beni oggetto della produzione che abbiano natura economica.
N.B. I problemi che sono alla base dello studio sulla produzione sono due:
[1] Problema tecnico: come produrre? Scelta delle tecniche utilizzabili
[2] Problema economico: quanto produrre? Determinazione del volume produttivo.
Fattori produttivi
La produzione si basa sulle attività delle imprese. L’imprenditore è il soggetto economico
che organizza il processo produttivo, che è dato dall’insieme dei fattori produttivi (inputs)
e dal modo con cui essi vengono utilizzati. Dunque per studiare il processo produttivo è
indispensabile conoscere bene la nozione di fattore produttivo.
Fattore produttivo: è un bene strumentale che, combinato ad altri fattori, concorre con
questi ultimi alla realizzazione di un altro bene detto output.
Gli inputs possono essere:
[1] fissi: sono quelli disponibili in quantità costante nel periodo di tempo preso in
considerazione.
[2] variabili: sono quelli che possono essere utilizzati in quantità diverse nel periodo preso
in esame.
* limitazionali: sono quelli che è necessario impiegare in un determinato ed unico rapporto
quantitativo. In questo caso i coefficienti di produzione sono fissi.
* sostituzionali: sono quelli le cui quantità è possibile combinare in vario modo. In questo
caso i coefficienti di produzione sono flessibili.
N.B. Coefficiente di produzione: è la quantità di input occorrente per ottenere 1 unità di
output.
Le categorie di inputs sono:
[1] Lavoro: è costituito dall’insieme delle prestazioni fisiche o intellettuali impiegate in un
processo produttivo per l’ottenimento di beni economici.
[2] Terra: si intende comprendere il suolo e le risorse ad esso connesse, risorse marine e
lacustri e tutti gli altri agenti naturali. La terra è un fattore a produttività decrescente,
poiché ad incrementi di altri fattori (lavoro e capitale) impiegati sulla stessa quantità di
terra, corrispondono incrementi di prodotto non proporzionali.
- Fertilità: è l’attitudine delle risorse naturali a produrre beni. Si distinguono due tipi
di fertilità:
fertilità originaria: è quella intrinseca della terra stessa;
fertilità derivata: è quella che deriva da caratteristiche qualitative non intrinseche
all’input, ma quale risultato dell’attività dell’uomo.
[3] Capitale: è costituito da quell’insieme di beni materiali che, provenendo da processi
produttivi precedenti, vengono utilizzati come inputs in uno nuovo.
- Beni capitali: sono quei beni necessari (strumentali) alla produzione di altri beni.
Essi possono essere:
Fissi: quelli suscettibili di essere utilizzati in più cicli produttivi e deperiscono più o
meno lentamente con l’uso. Sono anche detti beni a fecondità ripetuta.
Circolanti: sono quelli che deperiscono con un solo uso. Sono anche detti beni a
fecondità semplice.
[4] Organizzazione economica (o imprenditorialità): è il risultato dell’attività organizzativa
di coordinamento svolta dall’imprenditore, per trarne il risultato economicamente più
vantaggioso. Produttività dei fattori produttivi
La produttività è il contributo che l’input arreca al processo produttivo, ovvero la sua
attitudine a produrre.
Si definisce produttività media di un fattore (P ) il rapporto fra la quantità di bene
M
prodotto (x) e la quantità di un fattore impiegato (a) per ottenerlo.
P = x indica quante unità del bene x si ottengono, in media, con l’uso di una unità
M a del fattore a.
Si definisce, invece, produttività marginale di un fattore (Pm) il rapporto fra la variazione
della quantità di bene prodotto (x) e la variazione della quantità di fattore impiegato
(a).
Pm = x indica il contributo fornito dall’ultima dose di fattore impiegato.
a
Nella figura a sono riportate le quantità del fattore considerato sull’asse delle ascisse e su
quello delle ordinate il rendimento totale. Nella figura b sono riportate ancora le quantità
del fattore mentre su quello delle ordinate sono riportate la produttività media e
marginale.
L’andamento delle curve della produttività media e marginale è determinato da quello
della corrispondente forma della curva del rendimento totale. La curva x/a, generalmente,
cresce in una prima fase, raggiunge un punto massimo e poi decresce, ma resta nel
quadrante positivo finché sono positivi i rendimenti totali. La curva cresce
x/ a
anch’essa in una prima fase, raggiunge il massimo per poi decrescere. Essa si annulla in
corrispondenza del punto massimo della curva dei rendimenti totali e assume valori
negativi quando quest’ultima decresce. Il ramo decrescente della curva della produttività
marginale esprime la legge dei rendimenti decrescenti.
Si noti che le curve del rendimento totale e della produttività marginale hanno un
andamento simile a quello delle corrispondenti curve di utilità. Pertanto si può affermare
che c’è una certa analogia formale fra teoria della produzione e teoria del consumo.
L’imprenditore acquista fattori per produrre i beni per ottenere il profitto. Il consumatore
acquista beni per raggiungere la soddisfazione dei bisogni. L’imprenditore razionale tende
a massimizzare il profitto, il consumatore razionale tende a massimizzare la soddisfazione.
Prodotto x Fattore a
X , x
a a Fattore a
Il breve e il lungo periodo
Breve periodo: è un intervallo di tempo, tanto limitato da poter ipotizzare che la struttura
dell’impresa (cioè stabilimenti, impianti, lavoro) sia data (fissa), poiché
dipende da decisioni (scelte) operate in precedenze. La quantità di
prodotto che si ottiene può variare al variare della quantità impiegata di
alcuni fattori, la cui disponibilità nel breve periodo non è esclusivamente
determinata dalle decisioni operate in precedenza.
Lungo periodo: è quel lasso di tempo tanto ampio da rendere possibile l’adeguamento
della capacità produttiva dell’impresa alle nuove condizioni di mercato. In
esso (a differenza di quanto avviene nel breve periodo) è possibile variare
la quantità di tutti gli inputs utilizzati nel processo produttivo.
I rendimenti di un fattore produttivo
Rendimento: è la relazione tra la variazione della quantità del prodotto (x) e le variazioni
di un fattore (a), dati per costanti le quantità degli altri fattori.
Un fattore della produzione può presentare andamenti crescenti, costanti o decrescenti.
Quando però ci si riferisce a situazioni di breve periodo, generalmente si ipotizzano
rendimenti decrescenti dei fattori produttivi variabili. Su ciò si fonda la cosiddetta legge
della produttività marginale decrescente.
Legge della produttività marginale decrescente: impiegando nella produzione quantità
crescenti di un fattore variabile a partire da
un certo livello la produzione cresce in
maniera men che proporzionale rispetto
all’impiego del fattore variabile
considerato.
Funzione di produzione
Funzione di produzione: è la relazione tra le variazioni degli inputs e le variazioni degli
outputs. La forma di tale funzione dipende dalle tecniche (di combinazione dei fattori) e
dalle caratteristiche dei fattori (limitazionali o costituzionali).
Tale funzione può essere scritta così: y = f(x,z)
dove y è la quantità di bene prodotto; x e z è la quantità di fattori impiegati nel processo
produttivo. Funzione di produzione a due fattori variabili (isoquanto)
Ipotizzando, invece, la variazione di due inputs, la funzione di produzione sarà:
y = f(x, z) dove sia la y che x e z sono tre variabili.
Per riportare questa funzione su un sistema di assi cartesiani, deve supporsi nota la
quantità y ; in altri termini si individuano tutte le combinazioni x z che danno la stessa
-
quantità di prodotto y. La curva i cui punti rappresentano tali combinazioni si chiama
isoquanto. L’isoquanto è la linea che unisce tutti i punti che rappresentano le combinazioni
dei possibili ed efficienti fattori produttivi che danno luogo ad una stessa quantità.
N.B. L’isoquanto ha nella teoria della produzione lo stesso ruolo che la curva di
indifferenza ha nella teoria della domanda.
La curva di indifferenza indica le varie combinazioni dei due beni che assicurano al
consumatore un medesimo livello di soddisfazione. L’isoquanto indica, invece, le varie
combinazioni di due fattori che consentono all’imprenditore di produrre una data quantità
di beni. Anche la mappa di isoquanti comprende curve tra loro parallele.
Fattore x Fattore z
Saggio marginale di sostituzione tecnica
Fattore x Fattore z
Analizzando la figura si esamina in che misura è possibile sostituire un fattore ad un altro
senza variare la quantità prodotta y.
In particolare il punto A individua la combinazione z – x . Se aumentiamo la quantità del
1 1
fattore z fino a oz è sufficiente impiegare ox al fine di produrre la stessa quantità di y
2 2
(punto B).
I punti A e B hanno diversa pendenza, in quanto, fermo restando la quantità del prodotto,
lungo la curva y (isoquanto) la pendenza misura la variazione dei due fattori per
compensare la variazione dell’altro. Il valore numerico di tale pendenza è detta saggio
marginale di sostituzione tecnica (SMST). Ora dal grafico si nota che la pendenza di y è
decrescente da sinistra verso destra: ciò significa che anche il SMST è decrescente. Si può
dunque scrivere che
SMST = - z N.B. Il SMST è decrescente perché è descrescente la produttività marginale
x
Dalla definizione di isoquanto deriva che affinché il prodotto y si mantenga costante
(caratteristica dell’isoquanto), si deve verificare la seguente condizione:
Pmg + Pmg = 0
z x
z x
Sottraendo ad ambo i membri Pmg otteniamo:
x x
Pmg = -x Pmg
z z x
Dividendo ambo i membri per Pmg otteniamo:
z
= -x Pmg
z x
Pmg z
Dividendo ancora per -x otteniamo:
SMST = - z = Pmg
x
Pmg
x z
Ma il primo rapporto non è altro che il SMST che quindi sarà uguale al rapporto tra le
produttività marginale dei due fattori.
La convessità dell’isoquanto comporta che il SMST è decrescente, quindi anche il rapporto
tra la produttività marginale è decrescente.
Il costo di produzione
Finora abbiamo analizzato solo uno dei tre aspetti del problema dell’imprenditore, ovvero
la produzione, trascurando gli altri due, ovvero costi e ricavi. Poiché l’obiettivo del
produttore non consiste tanto nella massimizzazione del ricavo lordo (che ottiene dalla
vendita del prodotto) quanto, invece, nella massimizzazione del ricavo netto (ovvero al
netto dei costi sostenuti per la produzione), è necessario analizzare una nuova categoria: il
costo di produzione. Natura dei costi
Secondo alcuni, il costo di produzione, sarebbe l’esborso monetario che il produttore deve
effettuare per acquistare tutti i fattori indispensabili alla realizzazione del prodotto. In
realtà tale esborso è solo una delle componenti del vero e proprio costo. Le altri
componenti, infatti, sono:
[1] Costi sociali: sono quelli che derivano , alla collettività, dall’impiego delle risorse scarse
nella produzione di un dato bene.
Proprio la scarsità delle risorse rende necessario ridurre la produzione di
un altro bene che richieda le stesse risorse. Quindi, il costo sociale di
produzione è dato dal valore degli altri beni che sarebbero stati prodotti
se si fossero utilizzate in quest’ultimo risorse impiegate nel primo. Questo
è il costo noto come costo alternativo o costo opportunità, invero il valore
dei beni alternativi o delle altre opportunità cui la comunità deve
rinunciare se si decide di produrre un determinato bene.
[2] Costi privati: sono di due tipi:
[a] costi espliciti: sono gli esborsi monetari effettuati per l’acquisto dei
fattori e sono rappresentati dai pagamenti per materie
prime semi lavorate, energia, salari, ecc.
[b] costi impliciti: sono detti anche oneri figurativi. Sono rappresentati dai
imputati all’utilizzo dei fattori posseduti
dall’imprenditore come il salario di direzione
(remunerazione dell’imprenditore), rendimento del
capitale investito, rendita di impresa, ecc.
I costi impliciti costituiscono il cosiddetto profitto
nominale, che può variare da settore a settore.
Tipologia dei costi di produzione
Un’importante distinzione nell’analisi dei tipi di costo è quella tra costi di breve periodo e
costi di lungo periodo, dato che diversi saranno i problemi che l’imprenditore è chiamato a
risolvere.
Nel breve periodo la quantità di prodotto è funzione dei livelli di utilizzazione dei vari
fattori variabili e dei servizi che vengono forniti dall’impianto dato.
Nel lungo periodo, invece, l’imprenditore può scegliere il livello di impiego di tutti i fattori
produttivi; dunque non vi sono fattori fissi.
Analizziamo separatamente i due tipi di costi.
I costi di breve periodo
Nel breve periodo la produzione dipende dalla quantità dei fattori variabili (che comporta
costi variabili di impianto) e dei servizi forniti dall’impianto (che comporta costi fissi di
impianto).
[1] Costi variabili: sono quei costi che l’imprenditore non dovrebbe sostenere se non fosse
avviato il processo produttivo. (cioè costi relativi all’acquisto di fattori
variabili; costi relativi all’acquisto di materie prime consumate nel ciclo
produttivi; perdita di valore delle attrezzature derivante dalla loro
utilizzazione).
Si possono distinguere due categorie di costi variabili:
[a] costi variabili diretti: sono quelli che variano direttamente con le
variazioni del livello di utilizzo dell’impianto.
(costi di lavoro; costi per l’acquisto di materie
prime; costi per l’energia elettrica; perdita di
valore delle attrezzature)
[b] costi variabili indiretti: sono quelli che, pur essendo connessi al
funzionamento dell’impianto, nel breve
periodo, non sono direttamente connessi al
livello di produzione realizzato (costi di
lavoro indiretto; esborsi monetari al
personale direttivo e di controllo)
[2] Costi fissi: sono quelli derivanti da decisioni prese dall’imprenditore in un periodo
precedente. Tali costi, a differenza di quelli variabili, non possono essere
evitati non avviando il processo produttivo. (quote di ammortamento; costi
di manutenzione non collegati all’utilizzo dell’impianto; premi assicurativi;
imposte sulla proprietà e oneri figurativi).
Costo totale di breve periodo
Il costo totale (CT) che l’imprenditore deve sopportare nel breve periodo è dato dalla
somma dei costi variabili totali (CVT) e da quelli fissi (CFT) cioè
CT = CFT+CVT
N.B. Il costo totale è legato al livello di produzione da una relazione funzionale che è
possibile rappresentare graficamente:
CT X livelli di produzione
Per la legge dei rendimenti marginali decrescenti di breve periodo, per i primi livelli di
produzione (cioè nella fase dei rendimenti crescenti) è necessario impiegare fattori in
quantità meno che proporzionali rispetto alle quantità di prodotto ottenuto. In termini di
costo ciò significa che nella prima fase il CVT cresce con incrementi decrescenti; in termini
grafici, significa che la curva CVT, pur essendo crescente, presenta la concavità rivolta
verso l’asse delle ascisse.
Nella fase successiva, quella dei rendimenti decrescenti, gli incrementi dei fattori variabili
sono più che proporzionali rispetto a quelli del livello di produzione, per cui la curva CVT,
pur continuando a crescere, presenta la concavità rivolta verso l’asse delle ordinate.
Il costo totale è formato dai costi variabili e costi fissi, per cui, per rappresentarlo
graficamente bisogna riportare anche i costi fissi. Tali costi sono rappresentati per mezzo
di una retta orizzontale che interseca l’asse delle ordinate nel punto A. sommando il
segmento OA alla funzione del costo variabile totale, si ottiene la CT. (continuare…..)
L’isocosto
La funzione di costo è: C = P X + P Z
x z
Sottraendo ad ambo i membri P X otteniamo:
x P Z = C – P X
z x
Dividendo ambo i membri per P otteniamo:
z _
Z = C – P X
x
P P
z z
Questa è l’equazione di una retta, i cui punti individuano combinazioni dei due fattori che
comportano lo stesso costo totale. Pertanto, tale retta è definita isocosto. C/Pz è
l’intercetta, Px/Pz è il coefficiente angolare.
Graficamente l’isocosto è rappresentato da una retta chge ha intercetta sull’asse delle
ascisse, C/Px, che individua la quantità massima del primo fattore che l’imprenditore può
ottenere spendendo tutte le risorse finanziarie nell’acquisto di tale fattore, mentre C/Pz è
l’intercetta sull’asse delle ordinate e rappresenta la quantità massima del secondo fattore
che l’imprenditore può acquistare.
CT X livelli di produzione
Saggio marginale di trasformazione
Il rapporto tra i prezzi dei due fattori, P /P si definisce saggio marginale di trasformazione.
x z
Esso indica la quantità di fattore z che è possibile acquistare utilizzando le risorse
risparmiate rinunciando all’acquisto di una unità di fattore x.
SMT = P che non è altro che il coefficiente angolare della retta di isocosto.
x
P z Effetti di variazione dei prezzi dei fattori
Con l’aumento del prezzo del fattore x la linea dell’isocosto si sposta sull’asse delle ascisse
avendo come perno C/P . Se il prezzo del fattore x diminuisce la linea dell’isocosto subirà
z
uno spostamento che la allontana dall’origine degli assi.
Pz Px
Se invece aumenta il prezzo del fattore z ci sarà uno spostamento verso l’origine degli
assi avendo come perno C/P .
x
Pz Px
Famiglia di isocosti
Ogni volta che varia il costo di entrambi i fattori non avremo alcun cambio di inclinazione
ma solo uno spostamento verso l’alto (aumento) o verso il basso (diminuzione). L’insieme
delle linee di isocosti costituisce la famiglia di isocosti.
Pz Px
Scelta della tecnica produttiva ottimale
z x
In un sistema di assi cartesiani su cui vengono misurate le variazioni quantitative dei due
fattori z e x, si riportano una mappa di isoquanti e un isocosto. La combinazione dei due
fattori che consente di ottenere il livello massimo di produzione, dato il costo e i prezzi dei
fattori, è rappresentata dal punto di tangenza C dell’isocosto con un isoquanto.
In tale punto la pendenza dell’isocosto coincide con la pendenza dell’isoquanto che, risulta
essere uguale al rapporto tra le produttività marginali dei due fattori, cioè
Pmg = P cioè SMST = SMT
x x
Pmg P
z z
da cui, moltiplicando ambo i membri per Pmg otteniamo:
z
Pmg = Pmg
x z
P P
x z
che non sono altro che le produttività marginali ponderate. Quindi in termini economici
l’uguaglianza tre le produttività marginali ponderate individua l’equilibrio del produttore. Se
non ci fosse eguaglianza tra le due grandezze non saremmo più nel punto di ottimo, cioè,
se l’imprenditore sposta capitale da x a z non avrà più la stessa utilità, e così accade per
tutti gli altri fattori che si devono eguagliare per avere il punto di ottimo.
Se cambiassero i dati di contesto cambierebbero le scelte dell’imprenditore?
Immaginiamo che l’imprenditore abbia trovato il suo punto di ottimo nel punto C.
Se aumenta il prezzo del bene x cambia l’isocosto per cui non è più possibile ritornare al
punto A. Per poter tornare allo stesso livello di produzione bisogna variare ancora
l’isocosto fino a che raggiunga la tangenza con l’isoquanto. L’aumento del prezzo del
fattore x spinge l’impresa ad investire maggiormente sul fattore z. Anche se il punto C
consente un livello di produzione maggiore, l’imprenditore quello per lui più conveniente.
z Curva di domanda del fattore x
x Se aumenta Px l’imprenditore si
sposterà su z che è diventato più
Px conveniente.
x
Effetti di un aumento della quantità prodotta
Se il produttore ha già scelto il suo livello produttivo già sa su quale isoquanto collocarsi.
Ma spesso accade che ci siano variazioni della domanda spingendo l’impresa a collocarsi
su un isoquanto più alto.
L’imprenditore di solito reagisce all’aumento di domanda aggiungendo sia fattore x che z
sempre che i prezzi di x e z restino invariati altrimenti si avrebbe una variazione di
pendenza della retta di isocosto.
z x
Problemi caratteristici della microeconomia
IMPRESE FAMIGLIE
Quanti beni Con quali Quanti e Quanti
produrre? tecniche quali beni fattori
produttive? acquistare? produttivi
vendere?
Questo è il problema più importante per l’imprenditore perché da esso discende anche la
scelta delle tecniche produttive.
Qual è la quantità dei beni che all’impresa conviene produrre?
Obiettivo dell’impresa: massimizzare i profitti (per profitto si intende il risultato economico
netto dell’impresa), cioè: P = Profitto
= RT - CT
RT = Ricavi di vendita totali
CT = Costi di produzione totali
Spesa
Beni e servizi
IMPRESE FAMIGLIE
Fattori produttivi
Redditi
Le imprese acquistano fattori produttivi dalle famiglie; questi inputs vengono trasformati in
outputs venduti poi alle famiglie. A questi trasferimenti sono legati trasferimenti monetari:
ci sono quindi dei costi per sostenere i processi produttivi; sono cioè costi di produzione.
I ricavi sono invece ciò che le imprese ricavano dalla vendita dei beni prodotti, cioè, sono
gli introiti monetari che le imprese ottengono dai beni venduti alle famiglie.
All’impresa interessa non tanto minimizzare i costi quanto massimizzare i profitti, cioè che
la differenza tra i ricavi e i costi sia quanto più alta possibile ( = RT – CT).
RT CT Tra A e B l’impresa sceglierebbe B
A 10 8 in quanto il profitto è maggiore
B 15 10 sebbene i costi siano più alti
Tecnica di soluzione del problema della quantità ottima
I costi totali di produzione dipendono dalla quantità che l’impresa decide di produrre. Sia i
RT che i CT sono legati alla quantità prodotta cioè sono funzione della quantità prodotta
del bene. Variano al variare della quantità prodotta.
CT = f(Q) RT = f(Q)
E = RT – CT
Se CT e RT sono funzione della quantità prodotta, anche sarà funzione di Q quindi:
= f(Q)
Problema: Qual è la quantità di beni che all’impresa conviene produrre?
L’impresa ha già scelto i fattori produttivi ma ora deve scegliere quale quantità produrre.
Essa deve tenere sempre presente il suo obiettivo: massimizzare = RT – CT.
I CT dipendono dalla quantità prodotta: quanto più vogliamo produrre più ci sono costi di
produzione e più RT riusciamo ad ottenere. È importante capire in che modo RT, CT e
sono legati alla quantità prodotta.
Analisi dei costi totali di produzione
L’imprenditore si trova a scegliere dei fattori produttivi di cui alcuni sono più facilmente
reperibili di altri, ad es. è molto più facile reperire forza lavoro che macchinari. Ipotizziamo
che uno dei due fattori è più facilmente reperibile.
L’adeguamento dello stock di capitale ai desideri dell’imprenditore è più difficile. Vi è una
certa rigidità nell’acquisizione di un certo fattore produttivo. In tal caso la funzione di
produzione si trasforma in y = f(x,z) in cui z è il fattore fisso, x quello variabile. Se
l’impresa ha trovato il suo punto di ottimo potrebbe accadere che l’imprenditore voglia
spostarsi su di un isoquanto più alto. Ci sarà però un isocosto più alto e un nuovo punto di
ottimo. Di solito un imprenditore per passare ad un livello di produzione più alto aggiunge
un po’ di fattore z e un po’ di fattore x in maniera proporzionale. Ma cosa accade alla
scelta? Nella realtà l’imprenditore non può cambiare a suo piacimento i fattori produttivi,
ma c’è una certa rigidità nell’uso di tali fattori.
Se però uno dei due fattori è fisso avremo una situazione del genere:
Variazioni della quantità prodotta con un fattore z fisso e uno variabile (x)
x z
In tal caso l’impresa se vuole realizzare una produzione y2 dovrà attuare un adeguamento
solo in base al fattore x. Quindi la retta di isocosto si sposterà solo verticalmente e non
diagonalmente oppure parallelamente all’altro isocosto.
Infatti uno dei due fattori è fisso per cui l’adeguamento si avrà solo in base al fattore x.
Nella realtà l’imprenditore farà lena esclusivamente sul fattore variabile. Se poi la domanda
continuerà a tenersi alta egli andrà ad attuare l’adeguamento anche del fattore fisso.
CT = P Z + P X
z x
Se immaginiamo che un fattore sia fisso le costanti diventano tre, cioè P , P , Z.
z x
Aumenti della quantità prodotta possono essere ottenuti solo mediante incrementi
dell’impiego di fattore x, quindi:
CT = C + P f(y)
o x
La x è una funzione di y cioè in funzione della produzione scelta dall’impresa e quindi in
funzione della quantità prodotta. Trasformata in tal modo ci rivela che vi è un costo fisso
C e una parte variabile P f(y) che ci dice che quando cambia la quantità prodotta
o x
cambierà anche x che è in funzione di y. Quindi possiamo dire che il CT è la somma di un
costo fisso e uno variabile che varia in funzione della quantità prodotta
CT = C + C(y) Costi Variabili
o
Costi Fissi
Di solito i costi fissi sono legati al capitale e i costi variabili sono legati al lavoro.
Analizziamo prima i costi fissi e poi i costi variabili per capire cosa accade con la loro
somma. Andamento dei costi fissi
La retta del costo fisso è caratterizzata dal fatto che non si modifica al variare della
quantità. CF CF
q
Andamento dei costi variabili
Rifacendoci alla funzione di produzione e all’esempio già utilizzato
x y Px = 3 Px = 5
1 10 3 5 L’andamento della produttività ha
2 22 6 10 degli effetti sul costo variabile. Per
3 35 9 15 calcolare il costo variabile basta
4 46 12 20 eliminare il costo fisso.
5 55 15 25
6 62 18 30
7 67 21 35
Immaginiamo che il costo variabile sia lavoro e una giornata lavorativa costi 3.00€. La
colonna del costo variabile dipende dal numero di dipendenti. Ma se il costo varia da tre a
cinque lì’andamento è sempre lo stesso anche se il costo aumenta. Facciamo una
rappresentazione grafica del costo variabile che ci mostra come esso varia in relazione alla
quantità prodotta. Teniamo quindi presente la colonna delle y e del CV.
CV y
In base agli inputs cambiano gli outputs e quindi in base a y cambiano i CV. Con un
lavoratore a costo 3.00€ avremo produzione 10; se vogliamo produrre 22 dovremo
spendere 6.00€ e impiegare 2 lavoratori e così via.
L’andamento ottenuto riflette quello della funzione di produzione. È crescente, infatti, il
costo lievita quando aumenta la produzione ma in un primo tratto è concava e poi diventa
convessa, cioè a incrementi via via uguali di produzione ci saranno incrementi dei costi
variabili più lenti; viceversa quando dopo diventa convessa incrementi di produzione
minori danno vita a incrementi più veloci dei costi variabili.
Per la legge della produttività marginale decrescente assumere lavoratori in più ci dà una
produzione via via più alta quindi potremmo utilizzare meno lavoratori per avere una
produzione che cresce costantemente.
Quando aumenta la produttività per un’impresa è sempre positivo e vantaggioso perché
permette di produrre o la stessa quantità a un costo ridotto o di più a costi uguali. Nel
primo tratto la produttività cresce più che proporzionalmente. Nel secondo tratto cresce
meno che proporzionalmente.
Costruzione della curva dei costi totali
Proviamo a cambiare il prezzo del fattore da 3 a 5. Per produrre 10 il costo sarà 6 e così
via per gli altri punti.
La variazione del costo variabile non ha cambiato la fisionomia della curva, ci sono delle
proprietà costanti e ciò che cambia è lo spostamento verso l’alto che corrisponde
all’aumento del costo variabile.
A questo punto possiamo parlare dei costi totali che sono la somma dei CF e dei CV. Se
l’impresa ha deciso di non produrre niente, deve comunque sostenere dei costi fissi quindi
non siamo nel punto 0 ma in C ; se decide di produrre y sosterrà un costo C più il costo
o 1 1
fisso, quindi a C dovremmo aggiungere il segmento C . se invece vuole produrre y
o 1 2
aggiungiamo un valore pari a C .
o
CV y
Quando ci sono due funzioni di cui una è una vera funzione e l’altra non è propriamente
tale perché è costante, nella loro somma ci sarà una curva parallela a quella dei costi
variabili ma con una somma aggiuntiva pari a CF. Questa è la curva dei costi totali. A
seconda dei tipi di impresa avremmo dei costi fissi che hanno più o meno incidenza.
Costo medio
Misura quanto costa in media all’impresa produrre ogni unità di outputs. Esso è pari al
rapporto tra i costi totali e la produzione. AC = CT
y
Con tale operazione l’impresa cerca di capire in che modo produrre di più con costi minori.
Se CT = C + C(y) sostituendo in AC si avrà:
o AC = C + C(y)
o y
e quindi C = AFC (costi medi fissi)
o
AC = C + C(y) Y
o
y y C(y) = AVC (costi medi variabili)
y
AVC ci dice quanto costa in media su ogni unità il costo variabile.
AFC ci dice quanto pesa il costo fisso su ogni unità prodotta. Se aumenta la quantità
prodotta si distribuisce il costo. Costo medio fisso
È il rapporto tra il costo fisso e la quantità prodotta.
AFC = CF
y
y AFC
1 50
2 25 Immaginiamo che un’impresa abbia un costo fisso di 50. il
3 16.7 costo fisso va a distribuirsi su tutta la quantità di beni
4 12.5 prodotti, quindi se produce 1 il costo fisso incide solo su
5 10 quella unità mentre se si produce di più il costo fisso si
10 5 distribuisce fino a tendere a zero.
25 2
50 1
100 0.5 Andamento dei costi medi fissi
AFC y
La curva dei costi medi fissi decresce rapidamente già dalla seconda unità di prodotto in
più andando a distribuirsi sempre di più a tutta la quantità prodotta. Il costo medio fisso
non arriverà mai a zero perché il costo fisso viene comunque sostenuto dall’impresa anche
se si avvicina sempre di più allo zero quanto più aumenta la quantità prodotta.
Costo medio variabile
È il rapporto tra il costo variabile e la quantità prodotta
AVC = C(y)
y
x input y output CV AVC
1 10 30 3 Ipotizziamo che x (lavoro) sia acquistabile a
2 22 60 2.7 30.00€. Per produrre 10 con un lavoratore ci sarà
3 35 90 2.57 un CV di 30 e un AVC pari a 3.
4 46 120 2.6 Il CV è = PxX = 30
5 55 150 2.72 Il AVC è = CV/y = 30/10 = 3
6 62 180 2.9
7 67 210 3.13
Aumentando l’impiego di fattore l’impresa abbassa il costo medio variabile fino ad un certo
punto e poi ricomincia a crescere. Infatti la curva raggiunge un costo minimo e poi risale
fino ad un livello addirittura superiore a tre. Infatti la produttività marginale inverte il suo
andamento e comincia a decrescere. All’inizio incrementi crescenti di produttività si hanno
a costi medi ridotti, poi i costi medi ricominciano a crescere dando vita a incrementi di
produzione decrescenti.
AVC y
Immaginiamo ora che abbiamo un aumento di Px da 30.00 a 50.00€
x input y output CV AVC
1 10 50 5
2 22 100 4.54
3 35 150 4.28
4 46 200 4.34
5 55 250 4.54
6 62 300 4.83
7 67 350 5.2
Rappresentando questa curva ulteriore avremo sempre lo stesso andamento anche se
posta più in alto. Ciò è dovuto unicamente all’aumento di Px.
Costruzione della curva del costo medio totale
Dalla somma delle due curve AVC e AFC dobbiamo trovare la curva del costo medio totale.
Avremo una somma grafica con lo stesso procedimento utilizzato per la somma dei CF e
dei CV.
Nel primo tratto l’andamento della curva ATC è decrescente questo perché nel primo tratto
ciò che è più rilevante è la curva dei costi medi fissi in quanto è posta in alto perché questi
si distribuiscono su una quantità minima di beni e quindi la curva ATC ricalcherà la curva
dei costi medi fissi.
Nel punto centrale la curva cambia andamento. L’intersezione vuol dire che il rapporto tra
gli AVC e AFC cambia e i costi medi variabili tendono a pesare di più dei costi medi fissi
per cui la curva tenderà a seguire l’andamento dei costi medi.
Inoltre i costi medi variabili e i costi medi totali tendono ad unirsi questo perché i costi
medi fissi tendono a scomparire quindi anche la somma di AVC e AFC e cioè il ATC tende
ad assottigliarsi. AFC
AVC
ATC y
Il concetto di costo marginale
CT y
Immaginiamo che l’impresa produce una quantità pari a y dovendo sostenere un costo
1
pari a C ma se volesse spostarsi al livello di produzione y in tal caso deve sostenere costi
1 2
maggiori. Ci chiediamo quanto costa all’impresa produrre un’unità in più?
Il costo marginale è l’incremento dei costi totali che l’impresa sopporta per il fatto di
produrre un’unità addizionale di output.
Per fare ciò bisogna misurare la variazione di prodotto e la variazione del CT e rapportarli.
CMG = CT = C(y)
y y
È dunque il rapporto di variazione di costo totale e la variazione di produzione. Il CMG non
comprende i costi fissi ma solo la parte dei costi totali che è in funzione della produzione e
quindi i costi variabili.
Il costo marginale non ci può dare risultati attendibili sulla dimensione dei profitti
dell’impresa perché non tiene conto dei CF.
Andamento dei costi marginali
ATC
CMG y
Nel primo tratto la curva ATC è molto più alta in quanto essa segue la curva dei costi medi
fissi i quali distribuendosi per una quantità di prodotto molto bassa sono alti e quindi tende
a decrescere con l’aumento della quantità prodotta. Anche i costi marginali tendono a
decrescere; infatti con incrementi di fattori produttivi si ha una maggiore produzione a
costi sempre più bassi. Dal 4° prodotto in poi vi è saturazione della produzione. La
produzione marginale si arresta e i costi marginali cominciano di nuovo a crescere,
incrementi di fattori produttivi portano a incrementi di produzione via via minori con costi
sempre maggiori.
Il ATC raggiunge un punto minimo dove si interseca con la curva del costo marginale. A
questo punto il costo marginale diventa più alto di quello medio totale questo perché il
costo medio totale non tiene conto solo dell’ultima quantità di prodotto ma dell’intera
produzione.
Andamento dei ricavi totali al variare della quantità prodotta.
Il ricavo è, per un’impresa che produce e vende un solo bene, l’incasso monetario relativo
alla vendita del bene.
Il ricavo totale è uguale al rapporto tra la quantità di bene venduta e il prezzo.
RT = q p
L’andamento del ricavo al variare della quantità prodotta dipende dalla natura della
relazione tra p e q che a sua volta dipende dalla forma di mercato in cui l’impresa opera.
Esistono delle caratteristiche che permettono più o meno facilmente l’ingresso dell’impresa
nel mercato. Per esempio: il fatto di aver bisogno di macchinari specifici e sofisticati
permette più difficilmente di entrare nel mercato ma in tal caso vi è la positività di avere
meno concorrenti sul mercato.
Inoltre ciò che incide è anche il fatto che i beni siano simili o distinguibili. Nel primo caso
infatti c’è molta più concorrenza. Questi sono tutti elementi che distinguono le varie forme
di mercato le quali si distinguono soprattutto in base al numero di imprese, tipologia di
prodotti, barriere all’entrata, potere di mercato.
Al variare della quantità non è detto che il prezzo resta immutato. Bisogna quindi capire
che relazione corre tra prezzo e quantità. Ciò dipende anche dalla forma di mercato. Il
mercato è un luogo in cui ci sono soggetti che offrono beni e soggetti che acquistano.
Esistono varie forme di mercato quali configurazioni astratte alle quali possiamo riferire
ciascun caso specifico e reale.
Forme di mercato Numero Tipologia Barriere Potere di
Imprese di prodotti all’entrata mercato
Concorrenza perfetta Moltissime Omogenei No No
Monopolio Una ----- Si Si
Concorrenza monopolistica Molte Eterogenei No Si
Oligopolio Poche ? Si Si
Forme di mercato = formula che definisce un’insieme di caratteristiche strutturali che
determinano le modalità di operazione di un mercato.
Abbiamo quattro forme di mercato che sono però modelli ideali presi come punto di
riferimento per poter studiare i mercati reali.
La concorrenza perfetta è il modello più utilizzato nella politica economica. Di solito l’idea
di base di tale tipo di concorrenza perfetta è quella dell’esistenza di una molteplicità di
aziende tale che gli operatori di tale tipo di mercato non riescono a ribaltare il mercato ma
soggiacciono a regole impersonali che non possono essere cambiate.
Inoltre i prodotti offerti in tale concorrenze sono omogenei. Ciò che può cambiare è solo
una piccola variazione di prezzo.
Infine la tecnologia utilizzata è facilmente acquisibile e quindi non comporta alcuna
barriera all’entrata.
Il monopolio è invece l’estremo opposto, prevede infatti, il caso in cui tutta la produzione
di quel tipo di bene è concentrata nelle man di un unico produttore. In tale mercato l’unica
impresa è protetta da barriere all’ingresso, il potere di mercato di tale impresa è massimo.
La concorrenza monopolistica è invece un caso intermedio in cui esiste una concorrenza
ma i prodotti non sono omogenei per cui l’azienda produce un prodotto che è più o meno
unico. Le imprese hanno un piccolo potere di mercato dato appunto da questa
caratteristica. Infatti, se il prezzo aumenta non è detto che i consumatori si spostano su
un altro prodotto simile perché legati alle caratteristiche di questo.
Nell’oligopolio vi sono così poche imprese da permettere a queste di avere un certo potere
di mercato, l’oligopolio può essere di due tipi: omogeneo e differenziato, ci sono cioè
imprese che producono beni molto simili o molto diversi tra loro. Inoltre nell’oligopolio
esistono comunque barriere all’entrata che permettono all’impresa di avere un certo
potere di mercato.
Concorrenza perfetta
Ci chiediamo per ogni differente prezzo qual è la domanda che si rivolge alla singola
impresa. Essendo un’impresa in concorrenza perfetta non può condizionare l’andamento
del mercato né tanto meno il prezzo. Questa ipotesi è definita in gergo tecnico price-taking
che vuol dire “subire il prezzo”. Cioè stiamo parlando di un soggetto che è incapace di
stabilire il prezzo che gli viene imposto quasi da un meccanismo impersonale. Dal grafico
si vede come a qualsiasi quantità prodotta l’azienda non cambia il prezzo della vendita del
bene. p q
A questo punto possiamo analizzare l’andamento del ricavo totale al variare della quantità
prodotta. L’ipotesi di price-taking ci dice che il comportamento della singola impresa non
può cambiare il prezzo, che deve essere preso come dato dall’impresa. Da ciò derivano
varie implicazioni. Esempi: q RT
0 0
1 2
2 4
3 6
4 8
5 10
RT q
Quando la quantità prodotta è zero non ci sono ricavi totali e così via. Immaginiamo che p
= 2.00€. In tal caso potremmo disegnare questa funzione come una retta crescente di
coefficiente angolare 2.
La caratteristica della curva dei ricavi totali in concorrenza perfette è una retta perché al
variare della quantità prodotta il RT cresce sempre di 2 unità e quindi anche crescente.
Queste proprietà restano tali anche se il prezzo aumenta da 2 a 4. Quindi variazioni di
prezzo non comportano cambiamenti della retta ma modificano il coefficiente angolare e
quindi la sua inclinazione. Prezzi più alti danno curve di RT più ripide e viceversa.
Ricavo marginale
Il ricavo marginale, per ogni unità di bene venduta, può essere definito come la variazione
(incremento) del ricavo totale derivante da variazioni (incrementi) unitari nella vendita del
bene, cioè: Rm = RT
q
Ci chiediamo quale relazione c’è tra ricavo marginale e quantità prodotta. Esempio:
Q RT Rm Consideriamo che il prezzo è di 2€. Se aumentiamo di una quantità
0 0 0 la produzione il RT è 2 per cui possiamo concludere che in
1 2 2 concorrenza perfetta il Rm non dipende dalla quantità prodotta.
2 4 2 Esso è sempre lo stesso. Anche quando cambia il prezzo è sempre
3 6 2 lo stesso anche se più alto per effetto dell’aumento del prezzo.
Il Rm è inoltre sempre uguale al prezzo di vendita del bene stesso perché in concorrenza
perfetta esso non subisce variazioni in base alla quantità prodotta.
Curva del ricavo marginale in concorrenza perfetta
Rm La curva del Rm è una retta
parallela all’asse delle
ascisse. Se aumenta il prezzo
sale anche la curva che è la
stessa che decrive anche la
concorrenza perfetta
y
Curve di ricavi per imprese operanti in mercati non concorrenziali
Il caso dei mercati concorrenziali è caratterizzato da imprenditori definiti price takers, i
quali, date le limitate dimensioni della propria struttura produttiva, non sono in grado di
influenzare il prezzo e che sono costretti a consideralo come un elemento ad essi esogeno.
abbandonando l’ipotesi di concorrenza perfetta, cioè nel caso in cui l’impresa operi in un
mercato non perfettamente concorrenziale, essa dispone di quote di mercato molto più
grandi di quelle di cui può disporre in regime di concorrenza perfetta, per cui è capace di
soddisfare una maggiore quantità della domanda complessiva del bene. Ciò si traduce in
una curva di domanda non più orizzontale, come nel caso precedente, bensì inclinata
negativamente in corrispondenza di prezzi man mano decrescenti al crescere della
quantità offerta. Tale decrescenza ha riflessi sull’andamento delle curve di ricavo totale,
medio e marginale. La curva del ricavo medio coincide con la curva di domanda, mentre la
curva del ricavo marginale, pur essendo anch’essa decrescente, presenta una pendenza
maggiore rispetto a quella della curva del ricavo medio. Perché questa diversità di
pendenza?
Dato l’andamento della curva di domanda e di quella del ricavo medio, la vendita di ogni
unità aggiuntiva comporta una riduzione del prezzo, che è riferita non solo all’ultima unità,
ma a tutte le unità vendute. Ne consegue che il ricavo marginale, cioè l’incremento del
ricavo totale derivante da una unità aggiuntiva, risulta inferiore al prezzo originario e,
quindi, inferiore al ricavo medio.
P
RM
Rm q
Il ricavo totale, nei mercati non concorrenziali, poiché il prezzo, come già detto, deve
necessariamente diminuire, non cresce necessariamente al crescere della quantità
venduta, ma cresce o diminuisce a seconda che l’incremento della quantità domandata sia
più o meno che proporzionale al decremento del prezzo, cioè a seconda che la domanda
abbia un’elasticità maggiore o minore di 1.
In precedenza si è posto in risalto che, per elevati valori del prezzo, la curva di domanda è
elastica ( > 1) e che, per bassi valori del prezzo, essa è rigida ( < 1). L’andamento della
curva del ricavo totale è strettamente connessa all’elasticità della domanda, poiché esso è
il prodotto tra due grandezze (prezzo e quantità) che variano in senso inverso e, pertanto,
aumenta quando > 1, in quanto, in tal caso, prevale l’influsso della quantità e un
incremento delle unità di bene vendute comporta un aumento del ricavo totale; diminuisce
quando < 1, poiché, in tal caso, prevale l’influenza del prezzo e un decremento del
prezzo provoca una riduzione del ricavo totale; infine, è massimo quando = 1, in
quanto, in tal caso, ad una diminuzione del prezzo corrisponde un aumento perfettamente
proporzionale della quantità domandata e, pertanto, il ricavo totale rimane invariato.
Nella figura sotto è riportato il grafico precedente, con la sola differenza costituita dai
valori dell’elasticità della domanda riportati lungo la linea del ricavo medio (o domanda).
Nella figura parallela ad essa viene costruito l’andamento del ricavo totale secondo quanto
precedentemente dimostrato.
Nel tratto OA il ricavo marginale è decrescente, ma positivo > 1. In corrispondenza il
ricavo totale cresce ma con incrementi decrescenti. Inoltre, nel punto A, in corrispondenza
dell’annullamento del ricavo marginale e di = 1 il ricavo totale raggiunge il suo massimo
(D). infine, nel tratto AB, in corrispondenza di valori negativi del ricavo marginale, con <
1, il ricavo totale diminuisce. Si noti che il ricavo totale si annulla in corrispondenza del
punto B in corrispondenza del valore zero del ricavo medio e ciò si spiega perché la
quantità OB può essere ceduta solo ad un prezzo pari a zero, che sta a indicare un ricavo
nullo.
P
RM
Rm q
RT q
La concorrenza perfetta o pura
La concorrenza perfetta è una forma di mercato che assume una notevole importanza dal
punto di vista teorico, poiché rappresenta un caso limite in cui si ipotizza che nessun
soggetto sia in grado di influenzare la formazione del prezzo dei beni. Mentre ha scarso
interesse dal punto di vista reale, in quanto non descrive un modello di funzionamento
riscontrabile nel mondo attuale.
Gli elementi peculiari della concorrenza perfetta possono essere sinteticamente descritti
nel modo seguente.
[1] Il bene prodotto da ogni impresa è eguale a quello prodotto dalle altre. Questa
condizione assume una notevole importanza, in quanto, di fronte ad un bene
indifferenziato, il consumatore è libero di acquistare da un’impresa o da un’altra,
sempre che il prezzo sia il medesimo.
[2] Ogni operatore, sia produttore che consumatore, detiene una quota di mercato tanto
piccola da non consentirgli di influenzare il prezzo del bene. In altri termini, il prezzo
viene determinato dal confronto della domanda e dell’offerta complessiva e per ogni
singolo operatore esso è un dato esogeno.
[3] Tale forma di mercato richiede l’assenza di barriere all’entrata o all’uscita. Ciascun
produttore deve poter scegliere se produrre o ritirarsi dal mercato senza trovare
eccessive difficoltà. Affinché ciò avvenga sono necessarie alcune condizioni: costi
d’impianto non troppo elevati, libero accesso al mercato dei fattori, inesistenza di diritti
di esclusiva utilizzazione economica di un’invenzione industriale.
Le caratteristiche sopra descritte possono essere riassunte nella definizione della
concorrenza perfetta, quale forma di mercato a struttura atomistica.
Equilibrio dell’impresa concorrenziale nel breve periodo
In che modo l’imprenditore determina l’ammontare di prodotto in corrispondenza del quale
il profitto raggiunge il livello massimo? La rappresentazione grafica di tale massimizzazione
è abbastanza semplice. In un quadrante cartesiano si riportano sull’asse delle ascisse le
quantità prodotte e in quello delle ordinate il costo marginale, il ricavo e il prezzo.
C
R
p q
In tale figura, se il prezzo di mercato è OP , per dimostrare che la dimensione ottima di
E
produzione è OQ e che il profitto netto che assicura la quantità OQ è il massimo
E E
possibile, basta dimostrare che qualsiasi diverso volume produttivo assicura un profitto
minore. In corrispondenza del volume produttivo OQ il ricavo totale è dato dall’area del
E
rettangolo OP HQ . Se F è il punto di fuga, il costo totale relativo alla stessa quantità è
E E
dato dall’area OQ HFS. Dati il ricavo totale ed il costo totale, si ottiene per differenza il
E
profitto: OP HQ – OQ HFS = P HFS
E E E E
Bisogna dimostrare perché questo profitto è il massimo che possa essere ottenuto
dall’imprenditore. Se il volume produttivo si riduce ad OQ (OQ <OQ ), il margine P HFS si
1 1 E E
riduce a P SGK, poiché non viene realizzata la parte di profitto rappresentata dall’area del
E
trapezio curvilineo KGFM. Se il volume produttivo, invece, aumenta ad un livello superiore
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