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AGENTI MUTAGENI
Si definisce mutageno un agente chimico o fisico in grado di indurre mutazioni a una frequenza
superiore a quella spontanea.
I mutageni possono essere classificati in agenti che modificano covalentemente il DNA senza
compromettere la funzionalità dello stampo durante la replicazione e in agenti che danneggiano
covalentemente il DNA compromettendo la funzionalità dello stampo.
La trasmissione di una cellula normale in una neoplastica è un processo a più stadi che possono
essere caratterizzati dalla presenza di mutazioni. La mutagenicità di una sostanza chimica può
essere, quindi, un indice della sua potenziale cancerogenicità. Il test di mutagenicità
sviluppato da Bruce Ames per lo screening di sostanze ha evidenziato una netta correlazione tra
il carattere mutageno di una sostanza e la sua capacità a indurre tumori.
Agenti fisici
Tra gli agenti che modificano i legami covalenti del DNA vi sono numerosi agenti fisici come le
radiazioni ionizzati e ultraviolette (UV).
Le radiazioni ionizzati includono: raggi X, raggi cosmici e raggi y, che provocano la ionizzazione
dell’acqua conducendo alla formazione di radicali liberi, tra cui il più importante è il radicale
ossidrile OH*. I radicali liberi reagiscono e danneggiano le macromolecole biologiche, incluso il
DNA, causando l’ossidazione delle basi e la produzione di rotture a singolo e a doppio filamento.
I raggi UV sono assorbiti dalle basi degli acidi nucleici (DNA e RNA) con un picco massimo a 269
nm. I loro effetti sono letali poiché il flusso di energia ricevuto può indurre cambiamenti chimici
del DNA con formazione di foto prodotti che distorcono questa molecola. I foto prodotti più
frequenti sono: dimeri T-T e dimeri T-C o C-T. La presenza di dimeri di pirimidina nel DNA
aumenta la probabilità che la DNA polimerasi inserisca durante la replicazione un nucleotide
sbagliato.
Agenti intercalanti
Sostanza come le acridine, l’etidio e il propidio sono composti aromatici planari che si
intercalano tra le coppie di basi adiacenti del DNA distorcendo la geometria della doppia elica e
ne alterano il quadro di lettura. Di conseguenza, durante la replicazione, la DNA polimerasi può
produrre inserzioni o delezioni di uno o pochi nucleotidi. Gli agenti intercalanti causano mutazioni
in modo indiretto; essi sono anche inibitori della replicazione e i plasmidi risultano essere più
sensibili, rispetto al cromosoma batterico, a queste sostanze che vengono perciò usate in
laboratorio per “curare” le cellule batteriche dai loro plasmidi.
12. Plasticità del genoma batterica: trasferimento genico orizzontale
I procarioti si riproducono esclusivamente per via vegetativa. La sessualità è un meccanismo
svincolato dalla riproduzione e il cui risultato sembra esclusivamente quello di generare diversità
genetica.
I meccanismi più noti che permettono lo scambio speciale di materiale genetico nei batteri sono:
La coniugazione, con la quale materiale genetico viene trasferito da parte di una cellula
a un’altra;
La trasformazione, ovvero l’acquisizione da parte di una cellula di DNA presente
nell’ambiente;
La trasduzione, un processo attraverso il quale un batteriofago, nel corso dell’infezione
di una cellula batterica, può occasionalmente trasferirle geni provenienti dal batterio in
cui si è precedentemente sviluppato.
Questi tre meccanismi trasferiscono il materiale genetico in modo unidirezionale, da un batterio
“donatore” a uno “ricevente”. Per questo si parla di trasferimento genico “orizzontale”,
mentre nella riproduzione cellulare si ha un trasferimento genico “verticale” dalla cellula
parentale alle due cellule figlie.
Il TGO è un fenomeno complesso che coinvolge diversi processi, schematizzabili in una serie di
fasi:
1. Il DNA del batterio donatore viene preparato per il trasferimento;
2. Il batterio ricevente entra in contatto con il DNA donatore;
3. Il DNA donatore si stabilisce nella cellula o sotto forma di replicone indipendente, oppure
integrandosi nel genoma del ricevente;
4. I geni trasferiti si esprimono a conferiscono nuove caratteristiche fenotipiche alla cellula
ricevente. Contestualmente, anche il DNA acquisito può andare incontro a mutazioni che
ne possono modificare le caratteristiche adattandone al nuovo ambiente.
LA CONIUGAZIONE
La coniugazione è un processo attraverso cui una molecola di DNA, o parte di essa, è trasferita
da una cellula donatrice a una ricevente mediante l’attività di un complesso multi proteico
specializzato presente nel donatore: l’apparato di coniugazione. La capacità di coniugare è
conferita al batterio da elementi genetici (plasmidi o trasposoni) di tipo autotrasferibile. In
particolari circostanze, la coniugazione comporta anche il trasferimento di geni cromosonali. Il
trasferimento coniugativo richiede che avvenga uno stretto contatto tra le due cellule interagenti.
Nei batteri Gram negativi questo è inizialmente stabilito da filamenti che si estendono al di fuori
della cellula (detta pili sessuali), mentre per la maggior parte dei batteri Gram positivi le modalità
con cui le due cellule entrano in contatto coinvolgono prodotti diffusibili codificanti da plasmidi
che permettono l’aggregazione cellulare.
Il trasferimento coniugativo è stato riscontrato in molte specie Gram negative. Le nostre
conoscenze derivano da studi condotti su pochi plasmidi, principalmente il plasmide F di E. coli.
Questi elementi genetici codificano per molte delle proteine coinvolte nella coniugazione e i geni
responsabili sono localizzati in una regione del plasmide detta tra (transfer), che include i geni
mpf (mating-pair formation, formazione della coppia conuigativa) e dir (DNA transport and
processing). I geni mpf codificano per proteine che partecipano alla formazione e
all’essemblaggio del pilo sessuale.
Il sistema Mpf è responsabile della disseminazione di molti determinati genetici tra batteri, ivi
inclusi i geni per la resistenza agli antibiotici tra patogeni. La regione dir codifica per proteine
responsabili del processo con il quale uno specifico filamento del DNA (detto T per tranfer) è
preparato per il trasferimento.
La coniugazione batterica non è un meccanismo riproduttivo bensì un meccanismo sessuale (in
quanto comporta scambio di informazione genetica tra individui diversi) svincolato dalla
riproduzione.
Il plasmide coniugativo F
Il plasmide coniugativo F, inizialmente identificato in E. coli come “fattore F” (fattore di fertilità),
e il plasmide maggiormente studiato. F è anche il primo esempio di episoma, termine per
indicare un elemento genetico che può essere replicato in forma libera nel citoplasma oppure
integrato nel cromosoma batterico. L’informazione genetica contenuta in questo fattore induca,
nella cellula portatrice, il differenziamento del pilo sessuale e di un sistema per la traslocazione
del DNA.
Il pilo è un’appendice essenziale per la coniugazione poiché permette di stabilire un contatto
con un’altra cellula e di trasferire in questa il DNA tramite il sistema di traslocazione. Il pilo è
una struttura proteica filamentosa che si estende all’esterno della cellula, costituita da un
polimero di una proteina detta pilina codificata da un gene plasmidico (traA). Sulla superficie
della cellula ci possono essere da una a tre di queste strutture. Il trasferimento del fattore F è
frequente nel caso in cui una cellula sia provvista del plasmide (batterio F⁺) e l’altra priva
(batterio F⁻), raro tra coppie di batteri F⁺.
Struttura fisica e organizzazione genetica e funzionale
Il fattore F è una molecola di DNA circolare a doppio filamento. Nella mappa fisica e genetica è
possibile identificare varie regioni: la regione tra, dove sono raggruppate le informazioni
genetiche preposte alla coniugazione; la regione rep, implicata nella replicazione vegetativa del
plasmide, e una terza regione in cui si trovano alcune sequenze mobili (tre IS e un trasposone)
coinvolte nell’integrazione del fattore F nel cromosoma.
La regione tra di F è costituita dal sito oriT e da almeno 25 geni coinvolti nella formazione del
pilo e nel trasferimento del DNA. I geni tra fanno parte di un sottogruppo noto come apparato
per la formazione della coppia coniugativa (mpf). Tredici di questi geni sono necessari per la
sintesi della pilina e il controllo della formazione del pilo. A un’estremità di questa regione si
trova il sito oriT dove, nel corso della coniugazione, inizia il trasferimento del DNA e la sua
replicazione nella modalità a cerchio rotante.
Il DNA viene trasferito sotto forma di singolo filamento. Il primo tratto che entra nel batterio
ricevente (leading region) codifica per diverse proteine tra cui le proteine SSB che, legandosi al
ssDNA lo proteggono dall’azione delle nucleasi. L’ultimo tratto di DNA ad essere trasferito nella
cellula ricevente contiene i geni tra.
Il meccanismo di coniugazione
Il trasferimento coniugativo del DNA coinvolge due serie di geni: quelli preposti alla formazione
del pilus e a stabilire il contratto coniugativo fra i batteri (geni tra) e quelli coinvolti nel processa
mento e trasporto del DNA nel batterio ricevente (geni mob). La funzione Mob è definita da due
regioni del DNA: la prima, chiamata nic, è il sito in oriT dove avviene il taglio a singolo filamento;
la seconda esprime la proteina che taglia a livello di nic in oriT. Nel processo di coniugazione
possiamo distinguere tre fasi: la formazione di una coppia coniugativa di batteri; il trasferimento
(o mobilizzazione) del DNA; la separazione delle cellule exconiuganti.
1. La coniugazione inizia con il contatto tra la punta del pilo F del donatore e un sito del
recettore sulla cellula ricevente. Il pilo depolimerizza le unità di pilina di cui è composto
e si accorcia fino a che le membrane delle due cellule si uniscono e formano un poro
coniugativo che stabilizza l’accoppiamento tra le due cellule. L’accoppiamento fra due
cellule F⁺ è raro grazie a un meccanismo chiamato esclusione di superficie, che
impedisce la stabilizzazione del contatto fra il pilus e la cellula ricevente. In genere questo
fenomeno avviene quando un ceppo ricevente ha un plasmide identico o molto simile a
quello del donatore. L’esclusione è dovuta al fatto che il plasmide coniugativo produce
alcune proteine specifiche che si localizzano sulla membrana interna ed esterna della
cellula e inibiscono il legame da parte di un pilo omologo. L’esclusione di superficie non
rappresenta in ogni caso una barriera assoluta al trasferimento genico, dipendendo alla
presenza e dal livello d’espressione dei geni plasmi dici implicati in questo processo.