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Occorre osservare tuttavia, come suggerito dallo stesso Damasio, che le emozioni sono
prelinguistiche e prepredicative, ma non preculturali. Le emozioni fanno parte e segnano la
storia di ciascuno, ma non riguardano né le stesse situazioni, né sono uguali per gli uni e per gli
altri; ci sono delle situazioni e delle immagini che provocano emozioni negative in certi contesti e
non in altri. Il fatto che questo meccanismo prelinguistico di valutazione e comunicazione sia
linguistico non significa che operi allo stesso modo in tutti i contesti e in riferimento alle
diverse situazioni.
E allora dove si può trovare il modo di superare l’insularità di ciascuno e trovare base comune?
Laddove si mettano in una base controllabile, comunicabile, discutibile gli orientamenti
immediati che ci provengono ad es. dall’essere colpiti da una certa situazione .
Ebbene, Damasio ritiene che vi siano doversi tipi di emozione: innate (es.paura) e sociali-acquisite
(es. vergogna), che si costruiscono, si coltivano, si modificano nel tempo attraverso l’educazione e
l’esperienza.
Esse hanno una funzione cognitiva importante perchè proiettano in una certa direzione
rispetto alle scelte future sulla base delle nostre esperienze passate. Hanno una funzione
fortemente mediatrice e mediativa: mediano tra ciò che siamo stati, ciò che siamo e ciò che ci si
propone come possibilità di scelta; mediano tra meri automatismi fisiologici (riflessi) e le strutture
cognitive superiori.
L’emozione dunque non è sempre qualcosa di immediato, ma attività di continua mediazione
che è sensibile alle variazioni culturali esperienziali ed esistenziali.
Ciò che esprimo attraverso linguaggio sono proposizioni. Le mozioni consentono di articolare tali
proposizioni, pur senza dare giudizi formali e scelte strutturate, fornendo una serie di connotati
ulteriori orientativi nel giudizio. Ma tale funzione è quella che avviene attraverso i processi di
strutturazione di un discorso.
Quindi, a giudizio del Prof., se c’è qualcosa che non può asserirsi, utilizzando gli strumenti che
ci vengono dalla proposta di Damasio, è che da un pdv morale, etico e giuridico, possa essere
invocato una sorta di primitivismo di valori che sarebbero resi accessibili attraverso il canale
delle emozioni: l’emozione dice solo rispetto ad un individuo come una certa situazione, in
base alla sua storia si ripercuote, si riflette sul suo organismo facendolo propendere per una
determinata scelta, attraverso una sensazione positiva o negativa che lo orienta sulla gamma
delle possibili opzioni.
Pero l’emotivismo (inteso alla di Giovine come alternativa al ragionamento; per Damasio invece si
tratta di un complemento strutturale del corretto ragionamento) è importante da tener presente,
perché apre il varco alla possibile deriva dell’ingresso nel mondo di diritto di idee che in passato
hanno già dimostrato la lpericolosità (es. il giudice decide sulla base del sentire, del sentimento
A cura di Simone Ventriglia
comune, colui che da voce al sentimento del popolo: ciò non ha alcuna controllabilità, perché il
sentimento non è suscettibile di controllo).
Insomma occorre prudenza nell’adottare questo apparato concettuale e categoriale nella sistematica
giuridica: perché diventa rischioso travisarne il significato; e perché può portare al ritorno di idee
pericolose.
10. Il rapporto tra diritto e neuroscienze.
Vediamo ora una catalogazione dei possibili modo di intendere il rapporto tra diritto e neuroscienze.
Abbiamo visto come le neuroscienze entrano nel mondo del diritto e come siano utilizzate nei
tribunali, o addirittura (come visto poco sopra) per ripensare categorie della dogmatica giuridica.
Cerchiamo ora di vedere quali siano le possibili connessioni e interconnessioni tra neuroscienza e
diritto.
Possono essere moltissime.
Es. Lo sviluppo di sostanze che consentano il potenziamento delle capacità cognitive è lecito o
meno? (Questo è un possibile incrocio tra neuroscienza e diritto).
Es. La connessione del cervello ad un computer o macchinario che consenta al soggetto di
riacquisire una certa indipendenza motoria, o di stabilire una connessione comunicativa avendo
questo perso l’uso di alcune facoltà espressive e verbali, può portare a conseguenze più gravi, quali
ad esempio la possibile violazione della suitas del soggetto e della sua privacy?
Ebbene, due studiosi americani hanno proposto il cd Diritto delle neuroscienze, ossia una proposta
ddi regolamentazione e disciplina del rapporto tra diritto e neuroscienze e dell’ingresso delle
neuroscienze nel diritto: della attività di ricerca e sperimentazione in ambito neuroscientifico; degli
strumenti neuroscientifici che possono essere utilizzati in giudizio (anche per valutare l’attendibilità
di testimonianze) e che quindi le ns mettono al servizio del diritto; e delle cd neuroscienze del
diritto.
Cercheremo di capire cosa si intende in particolare per neuroscienze del diritto.
Ebbene, il diritto ha a che fare con comportamenti, disciplina comportamenti, ma se il
comportamento è espressione dell’attività cerebrale, allora in tanto vi può essere diritto (norme,
regole, beni tutelati) in quanto tutto ciò sia espressione di quella attività.
Questa è una delle correnti più sotterranee e più vicolose, perché induce a pensare che ciò che è
mascherato da azione dietro l’agire è invece riconducibile a processi e fenomeni naturalistici,
biologici, neurologici: il diritto, le norme, le regole, sarebbero proiezioni della nostra neurobiologia.
Il movimento naturalista è il portato di un fenomeno che nasce negli Stati Uniti e ha come
esponente John Dewey. In origine si presenta come movimento filosofico genuinamente
statunitense, che si caratterizza per l’idea che ogni metafisica sia il prodotto di e produca un
fanatismo, quindi movimento fortemente metafisico. Il naturalismo si presenta anche come
movimento che promuove il benessere promuovendo il progresso. Cerca di migliorare le condizioni
attuali e questo lo si fa studiando la realtà attuale.
Naturalismo, da questo punto di vista, diventa sinonimo di approccio razionale (cioè scientifico)
alla realtà. si è convinti che la soluzione dei problemi umani non passi attraverso la speculazione
teorica ma da una buona conoscenza della chimica, fisica, fisiologia. E quindi comprendere
naturalisticamente significa comprendere razionalmente.
Questo fa da sfondo a quelle ricerche che dagli anni ‘60 iniziano a prendere il nome di
neuroscienze.
Se questo è lo sfondo cerchiamo di vedere come questo si ripercuote in certi studi che sono presenti
oggi sulla scena internazionale.
Reale, si è detto, è naturale e comprendere razionalmente ciò che è reale significa adottare un
approccio naturalistico. Se voglio comprendere realmente il comportamento umano e ciò che è
diritto, devo servirmi degli strumenti forniti dalle scienze naturali, le quali mi dicono ad esempio
A cura di Simone Ventriglia
che tutti gli organismi sono soggetti ad un processo di selezione naturale, e che essi variano in
complessità parallelamente al varare in complessità del loro apparato neurologico.
Vi sono alcuni esempi di questa idea che il diritto sia espressione di una specie di istinto che nel
corso della evoluzione si è depositato nella nostra architettura neurologica e che trova espressione
concreta nella presenza di certi valori, istituti.
Anzitutto, l’analisi di Stake (2004) sulla proprietà, che a suo modo di vedere è espressione di un
istinto radicato nella ideologia umana, espressione di un processo che ha favorito il formarsi e il
consolidarsi di tale istinto, che precede le forme concrete in cui poi all’interno di ogni ordinamento
esso è regolamentato. Interessante è che ci sarebbe una base evolutiva che si è sedimentata nel
nostro cervello. La proprietà più che invenzione sociale è manifestazione di una serie di tendenze
che si sono radicate nel nostro cervello in funzione adattiva cioè per consentire la nostra
sopravvivenza. Da questo punto di vista non c’è nulla di più naturale della proprietà.
Abbiamo, poi la teoria di Miranowickz (2008), secondo cui questo modo di utilizzare gli studi
naturalistici consentirebbe di superare la contrapposizione tra giusnaturalismo e giuspositivismo. Se
si ammette infatti che si sia evoluta e radicata in noi una serie di tendenze che hanno a che fare
anche con le regole di comportamento o l’idea di giustizia, allora non ha senso contrapporre il piano
dell’essere e quello del dover essere (tra giusnaturalismo e giuspositivismo), perché quelle regole
non sono derivate da una realtà metafisica, né sono costrutto della realtà, ma sono la proiezione di
ciò che noi siamo, in quanto evoluto in un certo modo. La giustizia non è altro che l’insieme di
tendenze di comportamento che si sono radicate in noi attraverso il cammino dell’evoluzione.
Ancora, la teoria di Fernandez (2005), secondo cui ci siamo sviluppati evolutivamente in modo
tale da dotarci di una sorta di grammatica comportamentale comune/universale. Tale grammatica
non definisce concretamente i contenuti dei diversi ordinamenti, né fornisce i singoli contenuti del
diritto, ma piuttosto i limiti entro i quali noi possiamo esperire diverse forme concrete di
regolamentazione. L’evoluzione ci impone non tanto il prodotto finale del diritto ma piuttosto le
“regole del gioco”. Vi sono quindi dei valori determinati da tendenze innate, i quali definiscono
l’ambito entro cui poi si dispiegano, nel variare continuo dello sviluppo culturale, le diverse
concretizzazioni storiche. Sono possibili regole aberranti, prodotto di un determinato ordinamento,
le quali sono aberranti perché deviano ed escono dal perimetro evolutivamente tracciato, il quale
definisce una serie di valori ampiamente condivisi. Quindi le regole aberranti che sono sempre
possibili, rappresentano delle violazioni di quelle intuizioni fondamentali fissate dalla selezione
naturale circa ciò che è giusto.
Sostanzialmente questi autori sostengono che siamo organismi viventi, che tutto ciò che proviene da
noi è espressione di un processo adattivo, e che attraverso tale processo si sono sviluppate delle
tendenze innate in noi, che possono declinare in maniera diversa, ma che sono pur sempre il
precipitato di un meccanismo biologico, che è quello dell’adattamento, della ricerca del miglior
equilibri possibile.
Secondo il Prof. Fuselli , il pericolo di questa visione, è quello di pensare che la posizione in cui ci
troviamo sia una posizione più svilu