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MISURA EFFETTO EQUIVALENTE

Sono tutti quei provvedimenti di uno Stato che, indipendentemente dal tipo o dalla denominazione, producono lo stesso risultato e che sono riferibili ai pubblici poteri, dunque non a semplici privati.

Limitando l'esame alle sole misure all'importazione, la Corte ha statuito che costituisce una misura del genere "ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, gli scambi intracomunitari".

Per far scattare il divieto dell'art 28, è infatti sufficiente che la normativa commerciale di uno Stato membro possa provocare un ostacolo agli scambi.

La formula non contiene alcun elemento che consenta di limitarne la portata in relazione al tipo di misura: il qualificativo "commerciale" è generico.

Anche l'entità dell'effetto restrittivo sembra irrilevante: ne discende che misure che ostacolano gli scambi in maniera

minima non sono per questo sottratte al divieto. L'ostacolo agli scambi può avere carattere indiretto o potenziale. Non esiste misura statale che non abbia dei riflessi indiretti o potenziali sui flussi di importazione o sulle attività economiche legate a tali operazioni. Occorre tracciare una netta distinzione tra le misure restrittive che si applicano ai soli prodotti importati e le misure che invece sono previste per qualsiasi merce che si trovi nel territorio dello Stato membro. Un esempio di misure d'effetto equivalente indistintamente applicabili è legato al problema dei cosiddetti ostacoli tecnici agli scambi: la nozione copre quegli ostacoli alla circolazione delle merci che sono provocati dalla persistente diversità delle normative con cui ciascuno Stato membro disciplina le modalità di fabbricazione, composizione, imballaggio, confezionamento, etichettaggio, denominazione dei prodotti industriali o agro - industriali.

La diversità tra le normative nazionali di questo tipo fa sì che il prodotto fabbricato e confezionato secondo le norme vigenti nello Stato di produzione non possa essere posto in vendita nel territorio di altro Stato, se non previo adattamento alle norme vigenti in quest'ultimo.

La normativa di uno Stato membro riguardante i requisiti tecnici dei prodotti può essere applicata a prodotti importati da altri Stati membri solo qualora tale normativa sia giustificata da esigenze imperative d'ordine generale.

Sono da considerarsi tali quelle attinenti:

  • All'efficacia dei controlli fiscali;
  • Alla protezione della salute pubblica;
  • Alla lealtà dei negozi commerciali;
  • Alla difesa dei consumatori o alla promozione della produzione cinematografica.

Lo Stato membro che intende imporre anche ai prodotti importati la propria normativa tecnica non può limitarsi a sostenere che questa è giustificata da una o più delle esigenze imperative.

importati;c) che non impongono requisiti tecnici o commerciali discriminatori rispetto ai prodottinazionali;d) che siano giustificate da motivi imperativi di interesse generale;e) che siano proporzionate rispetto all'obiettivo perseguito.

nazionali. Per incorrere nel divieto di cui all'art. 29, una misura non deve soltanto produrre effetti restrittivi, cioè ostacolare le esportazioni, ma deve altresì avere carattere discriminatorio, nel senso di applicarsi ai soli prodotti destinati all'esportazione e non anche a quelli destinati al mercato interno. Sfuggono al divieto in esame le misure indistintamente applicabili, cioè i provvedimenti nazionali applicabili alla generalità dei prodotti, nonostante che essi provochino degli effetti restrittivi sulle esportazioni. Misure indistintamente applicabili sono state considerate quali misure d'effetto equivalente all'esportazione soltanto con riferimento a prodotti agricoli soggetti ad organizzazione comuni di mercato.

5. Le deroghe al divieto di restrizioni quantitative

Un provvedimento nazionale qualificabile come restrizione quantitativa o come misura d'effetto equivalente può sottrarsi a tale divieto invocando l'art.

30 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea prevede la possibilità di imporre misure di salvaguardia sulle merci importate o esportate, anche se ciò comporta una restrizione degli scambi. Tuttavia, tale articolo deve essere interpretato in modo restrittivo. La seconda frase dell'articolo specifica che gli Stati membri non hanno un potere illimitato nella scelta delle misure necessarie per proteggere gli interessi generali menzionati nella prima frase. Al contrario, le loro scelte sono soggette al controllo della Commissione e alla valutazione della Corte di Giustizia. La Corte di Giustizia ha adottato un'interpretazione restrittiva dell'articolo 30, escludendo la possibilità di invocarlo per giustificare misure diverse da quelle esplicitamente contemplate dalla norma, come ad esempio la riscossione di tasse che hanno un effetto equivalente a dazi doganali.

30 non può essere invocato riguardo a misure miranti a tutelare esigenze nazionali di carattere economico, come provvedimenti destinati a risanare la bilancia dei pagamenti.

L'elencazione degli interessi generali contenuta nell'art. 30 è considerata tassativa: gli Stati membri non possono invocare tale norma per giustificare misure restrittive che perseguono obiettivi, pur qualificabili come d'interesse generale, ma diversi da quelli espressamente menzionati.

È da supporre che proprio il rifiuto di estendere l'art. 30 in maniera da coprire altri obiettivi d'interesse generale abbia indotto la Corte ad elaborare la giurisprudenza Cassis de Dijon o delle esigenze imperative.

La giurisprudenza Cassis de Dijon detta criteri utili per stabilire se una determinata misura costituisca o meno una misura d'effetto cui contrarietà all'art. 28 è già stata invocata.

equivalente accettata all'importazione; è rilevante soltanto nel caso di normative. L'art. 30 potrebbe giustificare misure tecniche attinenti ai prodotti; qualsiasi tipo e vere e proprie restrizioni quantitative. Tale giurisprudenza richiede che la normativa tecnica sia indistintamente discriminatorie, purché la differenza di trattamento tra le merci importate e quelle nazionali non sia arbitraria. Del tutto analoghe si presentano invece le altre condizioni d'applicazione. Secondo la giurisprudenza, anche lo Stato membro che invoca l'art. 30 per giustificare una propria misura restrittiva deve infatti dimostrare che tale misura non è soltanto finalizzata a tutelare uno degli interessi generali ivi previsti, ma anche che essa è "necessaria" a tal fine. In particolare, la Corte esclude che vi sia carattere di necessità di una misura.

La Corte ha stabilito che una misura restrittiva può essere considerata legittima solo in due casi:

  1. Quando gli effetti restrittivi non sono proporzionati rispetto agli interessi generali che la misura stessa intende tutelare.
  2. Quando esistono sufficienti misure adottate a livello comunitario per proteggere gli stessi interessi.

La Corte ha raggiunto soluzioni particolarmente originali in materia di protezione della proprietà industriale e commerciale. In assenza di misure di armonizzazione a livello comunitario, i diritti di proprietà industriale e commerciale hanno carattere territoriale. Ogni Stato membro accorda tali diritti per il proprio territorio nazionale. Il titolare di un diritto di proprietà industriale o commerciale ha il potere esclusivo di sfruttarlo economicamente nel territorio dello Stato membro secondo la cui legislazione il diritto gli è stato accordato. Tra i diritti che spettano al titolare vi è quello di opporsi all'importazione di prodotti provenienti.

daaltri Stati membri in violazione del suo diritto esclusivo. La giurisprudenza distingue tra ESISTENZA del diritto e ESERCIZIO dello stesso.

CAPITOLO III - LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

1. Quadro normativo

Il Trattato disciplina la libera circolazione dei lavoratori agli artt. Da 39 a 42. Essi, insieme agli articolo relativi al diritto di stabilimento, definiscono la "libera circolazione delle persone", distinguendola dalla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali.

L'art. 39, diviso in 4 paragrafi, delinea il contenuto essenziale dell'istituto in esame: nei par. 1 e 3 viene assicurato ai lavoratori il diritto di svolgere un'attività di lavoro in uno qualsiasi degli Stati membri; mentre nel par. 2 viene prevista l'abolizione di qualsiasi discriminazione a danno di tali lavoratori rispetto ai lavoratori "nazionali" dello Stato membro d'occupazione.

I principi contenuti nell'art. 39 sono stati

considerati come comportanti per gli Stati membri, un obbligo preciso che non richiede l'emanazione di alcun ulteriore provvedimento da parte degli Stati membri. L'art. 39 è dunque norma dotata di efficacia diretta, idonea ad essere invocata in giudizio dai lavoratori interessati, nei confronti tanto di enti pubblici, quanto di soggetti di natura privatistica. L'art. 40 autorizza il consiglio ad adottare, mediante direttive e regolamenti, le misure necessarie per l'attuazione progressiva dei principi definiti nell'art. 39. In conformità a tale norma sono stati emanati numerosi atti; va sottolineato che detti atti mirano soltanto a facilitare l'esercizio dei diritti che i lavoratori interessati traggono direttamente dall'art. 39. Essi non possono mai avere l'effetto di sminuire la portata di tali diritti. Di recente, la normativa adottata ai sensi dell'art. 40 è stata sostituita dalla dir. 2004/38/CE relativa aloggiornarsi liberamente nel territorio degli Stati membri dell'Unione europea. Tale diritto è garantito dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dal Regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio. I cittadini dell'Unione europea hanno il diritto di entrare, soggiornare e lavorare in qualsiasi Stato membro dell'Unione, senza discriminazioni basate sulla nazionalità. Questo diritto si estende anche ai familiari dei cittadini dell'Unione, indipendentemente dalla loro nazionalità. Per esercitare il diritto di circolazione, i cittadini dell'Unione devono essere in possesso di un documento di identità valido o di un passaporto. In alcuni casi, potrebbe essere richiesto anche un visto di soggiorno, ma solo se il soggiorno supera i tre mesi. Durante il periodo di soggiorno in un altro Stato membro, i cittadini dell'Unione hanno gli stessi diritti e doveri dei cittadini del paese ospitante. Ciò significa che hanno accesso ai servizi pubblici, come l'assistenza sanitaria e l'istruzione, e possono lavorare o avviare un'attività economica. Tuttavia, il diritto di circolazione può essere limitato in determinate circostanze, come per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Inoltre, i cittadini dell'Unione devono rispettare le leggi e i regolamenti del paese ospitante. In conclusione, il diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di aggiornarsi liberamente nel territorio degli Stati membri dell'Unione europea è un diritto fondamentale garantito dalla legislazione europea. Questo diritto favorisce la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione e contribuisce alla costruzione di un'Europa unita e integrata.
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
34 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cecilialll di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto dell'Unione Europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Caffaro Susanna Maria.