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Capitolo II - La libera circolazione delle merci
1. Quadro normativo
La disciplina della libera circolazione delle merci all'interno della Comunità è interamente contenuta nel Trattato:
- Art. 25: vieta i dazi doganali e le tasse d'effetto equivalente fra gli Stati membri;
- Artt. 28 e 31: vietano le restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente tra gli Stati membri;
- Art. 90: relativo alle "imposizioni interne", svolge una funzione complementare rispetto alle norme sull'abolizione dei dazi doganali.
Tutte le norme richiamate prevedono a carico degli Stati membri divieti assoluti.
Importanti compiti di normazione derivata spettano invece al Consiglio nel settore del ravvicinamento delle legislazione: numerose misure adottate in forza di tali articoli mirano a rimuovere gli ostacoli alla circolazione delle merci derivanti dalla disparità delle varie legislazioni nazionali.
La circostanza che le norme del Trattato
relativa alla circolazione delle merci siano redatte in termini precisi ed assoluti spiega perché le stesse siano state considerate come dotate di efficacia diretta.- Il divieto di dazi doganali e tasse d'effetto equivalente
Negli scambi tra Stati membri, i dazi doganali, tanto all'importazione quanto all'esportazione, sono oggetto di un divieto assoluto. Il motivo per cui, nell'ambito doganale, i dazi doganali sono aboliti è legato agli effetti che dazi del genere producono: la loro riscossione provoca un aumento del costo dei prodotti importati o esportati che ne sono colpiti e favorisce tali prodotti rispetto alle merci nazionali corrispondenti che, non dovendo transitare attraverso la frontiera, ne sono esenti.
Quanto alla portata del divieto, occorre ricordare che esso si applica soltanto negli scambi di merci tra gli Stati membri e riguarda perciò tanto le merci originarie degli Stati membri quanto i prodotti originari di Stati terzi.
volta che siano stati immessi in libera pratica nel territorio di uno Statomembro ma non i prodotti importati direttamente dal di fuori della Comunità. Dal punto di vista interpretativo, i dazi doganali costituiscono tributi di tipo particolare, dotati di propria denominazione e caratterizzati da modalità di percezione diverse da quelle di ogni altro tributo; inoltre quelli previsti da ciascun Stato erano elencati in un unico strumento normativo: la tariffa doganale. Più problematica è stata l'applicazione del correlativo divieto delle tasse d'effetto equivalente. Lo scopo del divieto è di impedire che l'effetto liberatorio derivante dalla soppressione dei dazi doganali possa essere frustrato, consentendo agli Stati membri di percepire sulle merci importate prelievi fiscali che hanno gli stessi effetti di un vero e proprio dazio doganale. Il divieto di tasse d'effetto equivalente serve a rendere più piena la portata del divieto.principale, il divieto di dazi doganali. La funzione complementare del divieto in esame rispetto a quello relativo ai dazi doganali è messa bene in evidenza dalla nozione di tassa d'effetto equivalente individuata dalla giurisprudenza: di tale definizione conviene evidenziare alcuni punti:- Deve trattarsi di un onere pecuniario: cioè la prestazione richiesta al soggetto obbligato deve consistere in un versamento di denaro a favore del soggetto autorizzato per legge alla riscossione;
- Deve trattarsi di un onere imposto alle sole merci che varchino la frontiera nazionale;
- Deve trattarsi di un onere imposto al soggetto obbligato al pagamento;
- Deve trattarsi di un onere imposto unilateralmente dallo Stato membro di importazione (o esportazione).
3. Il divieto di imposizioni interne discriminatorie o protezionistiche.
Le norme relative all'abolizione dei dazi doganali e delle tasse d'effetto equivalente vanno integrate all'art. 90.
Lo scopo della norma è:
- Riconoscere che ciascuno Stato membro può tassare i prodotti provenienti da altri Stati membri;
- Limitare tale potere, vietando agli Stati membri di colpire i prodotti importati in maniera discriminatoria o protezionistica. (senza questa limitazione, la liberalizzazione degli scambi intracomunitari non sarebbe completa, visto che gli Stati membri potrebbero continuare ad ostacolare le importazioni attraverso lo strumento fiscale.
Proprio perché concepito come complemento del divieto di dazi doganali e tasse d'effetto equivalente, il divieto di imposizioni discriminatorie o protezionistiche ha la stessa portata di questo: esso riguarda dunque gli scambi tra Stati membri e si
applica tanto ai tributi che determinano una discriminazione fiscale a danno dei prodotti importati, quanto a quelli che hanno lo stesso effetto riguardo a prodotti destinati all'esportazione rispetto a quelli destinati ad essere merciati nel mercato dello Stato membro in questione.
Quanto alla nozione di imposizione interna, occorre distinguere un'imposizione interna da una tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale:
- le tasse d'effetto equivalente sono vietate sic et simpliciter;
- le imposizioni interne sono vietate nella misura in cui sono discriminatorie nei confronti dei prodotti importati o hanno effetti protezionistici in favore della produzione interna.
Di conseguenza una stessa tassa non può essere considerata, allo stesso tempo, come una tassa d'effetto equivalente e come un'imposizione interna.
Esiste una differenza anche tra tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale e un tributo interno:
- la prima colpisce esclusivamente
Il secondo comma è sufficiente che il prodotto importato si trovi in concorrenza col prodotto nazionale protetto in uno o più impieghi economici, anche se non costituisce un vero e proprio prodotto similare: un tale rapporto di concorrenza sussiste quando tra i vari prodotti esiste una certa sostituibilità, anche parziale, cioè limitata ad alcune delle possibili utilizzazioni di ciascun prodotto. Il prodotto importato, in altre parole, deve rappresentare una scelta alternativa per il consumatore. Una volta accertata l'esistenza di un rapporto di concorrenzialità tra prodotto nazionale e prodotto importato maggiormente tassato, occorre poi stabilire se questa maggiore tassazione si traduca in una protezione del prodotto nazionale.
4. Il divieto di restrizioni quantitative e misure d'effetto equivalente
Per quanto riguarda le restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente, il Trattato ha previsto due distinte disposizioni:
I. vieta le
restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente all'importazione; II. contiene un divieto formulato in termini assolutamente identici per quanto riguarda l'esportazione. L'identità dei termini utilizzati dalle due norme consente di svolgere alcune considerazioni introduttive senza distinguere tra restrizioni all'importazione e restrizioni all'esportazione; mentre diversa è la portata del concetto di "effetto equivalente", che nel caso delle misure all'esportazione copre soltanto misure discriminatorie, in quanto applicabili alle sole merci destinate all'esportazione. Non è difficile definire cosa sia una restrizione quantitativa; la Corte ritiene che rientrano nella nozione di restrizione quantitativa: a. i provvedimenti di uno Stato membro che vietano del tutto l'importazione o l'esportazione di una certa merce; b. i provvedimenti che vietano l'importazione o l'esportazione di.una merce oltre un certo quantitativo massimo. Più problematica è stata invece la definizione di ciò che deve intendersi per misura d’effetto equivalente, quella originale è stata inserita nel Trattato allo scopo di pervenire ad una liberalizzazione degli scambi più completa di quella che si sarebbe raggiunta abolendo soltanto gli strumenti protezionistici tradizionali.
Bisogna, pertanto, esaminare separatamente i due seguenti quesiti:
MISURA EFFETTO EQUIVALENTE
Sono tutti quei provvedimenti di uno Stato che, indipendentemente dal tipo o che sia riferibile ai pubblici poteri e dalla denominazione, producono lo stesso risultato dunque non a semplici privati.
Limitando l’esame alle sole misure all’importazione, la Corte ha statuito che costituisce una misura del genere “ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, gli scambi
"intracomunitari". Per far scattare il divieto dell'art 28, è infatti sufficiente che la normativa commerciale di uno Stato membro possa provocare un ostacolo agli scambi. La formula non contiene alcun elemento che consenta di limitarne la portata in relazione al tipo di misura: il qualificativo "commerciale" è generico. Anche l'entità dell'effetto restrittivo sembra irrilevante: ne discende che misure che ostacolano gli scambi in maniera minima non sono per questo sottratte al divieto. L'ostacolo agli scambi può avere carattere indiretto o potenziale. Non esiste misura statale che non abbia dei riflessi indiretti o potenziali sui flussi di importazione o sulle attività economiche legate a tali operazioni.
Occorre tracciare una netta distinzione tra le misure restrittive che si applicano ai soli prodotti importati e le misure che invece sono previste per qualsiasi merce che si trovi nel territorio dello Stato membro.
esempio di misure d'effetto equivalente indistint