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IPERLIPIDEMIA FAMILIARE
COMBINATA: Alcune delle
caratteristiche principali sono:
Frequente presenza di familiarità
• positiva per diabete
Maggiore evidenza fenotipica in
• presenza di sovrappeso ed obesità
Difficile diagnosi in età infantile ed
• adolescenziale
Discreta sensibilità alla dieta
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Nelle iperlipidemie familiare combinate bisognerà sempre iniziare con una STATINA (in quanto
l’LDL è maggiormente correlato al rischio CV); se necessario, si aggiungerà FENOFIBRATO (fra i
fibrati è quello che in associazione alle statine non dà effetti collaterali!)
È importantissimo fare la distinzione tra forme primitive e secondarie per tre motivi:
1. conoscere quale terapia impostare, quale causa va trattata: quando abbiamo la forma
secondaria non curiamo la dislipidemia, prima trattiamo la causa che l’ha scatenata. Se io ho il
colesterolo alto perché ha un ipotiroidismo non gli do la statina, se io ho una
ipertrigliceridemia perché ha il diabete scompensato non gli devo dare la statina.
2. ricercare la patologia tra i familiari in caso di forme primitive.
3. nelle forme primitive è più probabile un danno vascolare in quanto hanno la dislipidemia è
presente da molto più tempo. Quindi questi soggetti devono subito fare uno screening per
danno vascolare e per le complicanze (es: ECO-TSA, sito facilmente accessibile con una
metodica poco invasiva ed è uno specchio molto fedele della situazione coronarica del
paziente. Se ci sono placche alle carotidi, probabilmente ci saranno anche nelle coronarie.)
[potrebbe esserci anche una diversa risposta alla terapia, magari le forme genetiche sono “più resistenti”, ma
ciò vale solo in parte, dipende anche dal tipo di alterazione genetica, se omozigote o eterozigote.]
In questi pazienti è importante eseguire un ESAME CLINICO attento: Ricerca di xantomi
(accumuli di colesterolo, tendinei, piani, eruttivi), xantelasmi, presenza di complicanze
dell’arteriosclerosi (pregresso IMA, aterosclerosi carotidea, vasculopatia periferica ecc.) è
importante perché le ipercolesterolemie familiari sono associate a xantomi, in particolar modo
tendinei, ma anche alle mani (eruttivi) e alle ginocchia. Se li trovo, sono molto suggestivi per
un’ipercolesterolemia familiare; se non li trovo, non escludono comunque tale diagnosi. Le forme
familiari non sono associate con lo xantelasma (accumuli sottopalpebrali di lipidi).
Indagine familiare: Ricerca di anamnesi positiva per eventi cardiovascolari precoci nei familiari
di 1° grado, studio dell’iperlipoproteinemia nei familiari affetti (costruzione di alberi
genealogici) ha valore se positiva, cioè il paziente racconta che c’è nella sua famiglia qualcuno che
ha la dislipidemia e quindi lì devo cercare di avere i dati di laboratorio, mentre se è negativa
questa anamnesi ha valore relativo.
3. VALUTAZIONE DEL RISCHIO CV GLOBALE (tramite apposite carte del rischio): influenza
il target terapeutico. E’ importante la valutazione dei diversi fattori di rischio, perché in base a
quanti ce ne sono nel paziente, cambia il target da raggiungere per il colesterolo LDL, quindi
l’obiettivo della terapia. Tali fattori sono stati valutati da vari studi, tra cui il più importante è il
Framingham: 9 fattori di rischio, facilmente misurabili, spiegano oltre il 90% degli infarti
miocardici e l’associazione di più fattori di rischio moltiplica la probabilità di infarto
Fumo, Ipertensione, Diabete, Dislipidemia (fattori maggiori), Obesità addominale
(circonferenza vita), Stress, Inattività fisica, Scarsa assunzione di frutta e verdura, Nulla
assunzione di alcol. (possiamo aggiungere anche il sesso)
Chi presenta tutti i nove fattori ha una probabilità di infarto che è più di 330 volte
superiore a quella di chi non ne ha nessuno
Allora noi abbiamo, per esempio, queste carte italiane dove i fattori di rischio sono divisi in uomini
non diabetici e uomini diabetici, fumatori e non, donne non diabetiche e donne diabetiche,
fumatrici e non. Poi, a secondo della colesterolemia e della pressione arteriosa sistolica, la griglia si
incrocia per stabilire un rischio più o meno alto di mortalità a 10 anni per evento CV e sulla base di
tale rischio si stabilisce l’intensità del trattamento e la definizione dei target, che non sono uguali
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per tutti. Quando io mi trovo dinnanzi ad un soggetto con un rischio basso o con un rischio alto ho
pochi dubbi, un soggetto a basso rischio lo devo osservare senza fare assolutamente nulla, un
soggetto ad alto rischio lo devo assolutamente trattare. Il dubbio clinico viene molto spesso per i
soggetti con un rischio intermedio: in questo caso, con delle metodiche semplici e poco costose,
bisogna screenare quell’individuo per capire se ci sono già segni di danno vascolare. Una di queste
metodiche è l’INDICE DI WINSOR (o ABI, valore del rapporto fra la pressione arteriosa tibiale e
quella omerale): normalmente dovrebbe essere pari ad 1, perché ci dovrebbe essere la stessa
pressione al braccio rispetto alla caviglia. Quando, invece, c’è una arteriopatia periferica, questo
indice è più basso e questo ha un impatto notevole sul rischio di una mortalità ed è predittivo di
eventi CV, inclusi quelli cardiaci e cerebrali. L’indice di Winsor è un ottimo strumento diagnostico,
in quanto è una metodo rapido e poco costoso per la diagnosi di arteriopatia obliterante e necessita
solo di un apparecchio per misurare la pressione, per cui si può fare in qualsiasi laboratorio. Ben
standardizzata e relativamente semplice, possiede una buona predittiva di morbilità e mortalità
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cardiovascolare, fornendo informazioni aggiuntive sul rischio cardiovascolare in persone >50 anni
(fumatori, diabetici). Quindi, se io ho un paziente che nella carta del rischio risulta a rischio
intermedio, ma ha un indice di Winsor alterato, va considerato ad alto rischio e va iniziata una
terapia. In alcuni soggetti diabetici può succedere che i vasi siano un po’ calcifici, e ciò determina
un aumento della pressione sistolica con alterazione dell’indice (>1,15).
Esecuzione dell’esame: Si posiziona un manicotto per la misurazione della pressione alla caviglia
poco sopra la zona malleolare, eseguendo la manovra anche per l’arto contro laterale; poi si
applica il manicotto al braccio e si misura la pressione arteriosa sistolica omerale. A questo punto,
si calcola il rapporto tra la pressione arteriosa più alta, rilevata alla caviglia, e la pressione arteriosa
omerale → ABI = PA CAVIGLIA/PA BRACCIO: Il valore normale (pz senza arteriopatia) è > 1;
valore < 0,9 è patologico. Diagnosi di stenosi arteriose ≥50%: Sensibilità=90 % - Specificità = 98 %.
In alcuni casi l’ABI è normale a riposo, ma è presente una sintomatologia suggestiva di arteriopatia
(es: claudicatio intermittens), che implica l’esecuzione della prova del cammino su tapis roulant o
test di flessione plantare dei piedi (su e giù sulla punta delle dita) prima dell’esecuzione
dell’esame. In questo modo è possibile incrementarne la sensibilità diagnostica.
Guardate la differenza tra i soggetti con l’indice di
mortalità % a 6 anni per indice di Winsor Winsor alterato, quindi meno di 0,9, rispetto a chi ha
< 0,9 > 0,9 questo indice normale: la mortalità totale è circa 3-4
mortalità totale 5.09 1,7 volte più alta, la mortalità per malattia
mortalità per malattie CVD 1,6 0,3 cardiovascolare è 5 volte più alta.
IMA 2 0,9
Un po’ più indaginoso, ma comunque sempre più alla portata delle unità operative, è
l’ecoDoppler, con misurazione dello spessore medio intimale, che si fa all’arteria carotidea in
alcuni tratti, in particolare a livello della biforcazione. E’ un ottimo indice perché, se trovo un
aumento di tale spessore, vuol dire che un danno intimale già c’è, quindi quei pazienti devono
essere trattati come soggetti a rischio alto. E’ utile soprattutto in soggetti asintomatici di età
inferiore ai 45 anni, l’immagine ottenuta con l’apparecchiatura di videoregistrazione può essere
ottimizzata con l’ausilio di un computer e permette l’analisi di tre segmenti di arteria carotide
comune dallo spessore di 1 cm. La buona riproducibilità è condizionata da un’accurata
standardizzazione della procedura dell’esame ultrasonografico e della lettura delle registrazioni.
Allora, nel momento in cui osserviamo una paziente con dislipidemia, dovremmo porci questo
obiettivo di screening, specie nei pazienti asintomatici, controllando almeno una volta l’anno,
colesterolo totale, colesterolo HDL e trigliceridi. Nel nostro caso, a parte che già è sintomatica con
la claudicatio intermittens, abbiamo l’obesità, abbiamo l’ipertensione quindi per lo meno altri due
fattori di rischio, per cui siamo in un rischio moderato-alto e il nostro obiettivo minimo è portare il
colesterolo LDL <130mg/dl, ma visti i livelli di partenza di colesterolo è un target molto difficile
da raggiungere anche con terapia farmacologica. E’ opportuno però ricordare che la correzione
dello stile di vita contribuisca in maniera esistenziale al raggiungimento dei nostri target. Agire
sulla dieta significa prima di tutto introdurre alimenti a basso contenuto colesterolico non
superando i 300 mg/die di colesterolo o 200 mg se è a bassissimo contenuto. Gli alimenti che
contengono più colesterolo sono quelli di origine animale, anche se in quantità diverse: ad
esempio, la bresaola contiene molto meno colesterolo rispetto ad esempio al salame. 7
Linee Guida NCEP ATP III: implicazione dei recenti trial clinici
†
Categoria di rischio Obiettivo C-LDL Livello di C-LDL Considerare la terapia
per iniziare il TLC farmacologica
> 100 mg/dl > 100 mg/dl
Rischio alto: CHD o < 100 mg/dl (< 100 mg/dl: valutare
equivalenti del rischio di (valore ideale l’opzione farmacologica)
CHD (rischio di CHD a 10 aa opzionale: < 70
>20%) mg/dl)
< 130 mg/dl > 130 mg/dl > 130 mg/dl
Rischio moderatamente alto: 2+ (< 100-129 mg/dl: valutare
fattori di rischio (rischio a 10 l’opzione farmacologica)
aa compreso tra 10 e 20 %) < 130 mg/dl > 130 mg/dl > 160 mg/dl
Rischio moderato: 2+ fattori di
rischio (rischio di CHD a 10
aa <10%) <160 mg/dl > 160 mg/dl > 190 mg/dl
0-1 fattori di rischio (160-189 mg/dl: terapia
ipocolesterolemizzante
opzionale)
TERAPIA: L’organismo ricava il colesterolo principalmente d