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Dove il reale incontra l’immaginario, si pongono i personaggi in vista della grande stampa,
i divi moderni.
L’informazione converte questi divi in vedette dell’attualità.
Questo nuovo Olimpo è in effetti il prodotto più originale del nuovo corso della cultura di
massa. I divi possono anche oramai accettare l’imborghesimento di un matrimonio medio:
a condizione però che il loro matrimonio sia trasfigurato dall’amore.
I nuovi divi sono ideali inimitabili e al tempo stesso modelli imitabili. Divi e dive sono
superumani nel ruolo che impersonano, e umani nell’esistenza privata che vivono.
I divi, attraverso la loro duplice natura, divina e umana, mettono in atto una circolazione
permanente tra il mondo della proiezione e il mondo dell’identificazione. I divi divengono
modelli di cultura nel senso etnografico del termine, vale a dire modelli di vita. Incarnano i
miti di autorealizzazione.
La pubblicità, impadronendosi delle star per farne dei modelli di bellezza, conferma
esplicitamente il loro ruolo essenziale. Le star, nella loro vita di loisir, di gioco, di
spettacolo, di amori, di lusso, rappresentano i tipi ideali della cultura di massa.
Così nel nuovo strato olimpico viene a costituirsi una nuova società, più vicina all’umanità
quotidiana.
Oggetto di consumo estetico, la cultura di massa sviluppa, al di là dell’estetica, una praxis
e una mitologia. Travalica l’estetica sia verso il reale che verso l’immaginario. Questi due
movimenti si pongono in atto attraverso i divi.
Come ogni cultura, la cultura di massa elabora dei modelli, delle norme; ma non ci sono
prescrizioni imposte, bensì immagini o parole che invitano all’imitazione.
CAPITOLO UNDICESIMO – La pistola
Ormai da lungo tempo Hollywood ha proclamato la sua ricetta: una ragazza e una pistola.
L’erotismo, l’amore e la felicità, da una parte; dall’altra, l’aggressione, l’avventura, il delitto.
I temi avventurosi e criminali non possono realizzarsi nella vita e tendono a distribuirsi
proiettivamente. I temi amorosi interferiscono con le esperienze vissute e tendono a
distribuirsi per identificazione.
Nella cultura di massa la vita non è soltanto più intensa, è altra.
Questa libertà propriamente immaginaria, è quella assunta dai doppi nelle mitologie
arcaiche. Ma nell’universo realistico della cultura di massa, la libertà non si incarna al di
fuori della condizione umana. Si esercita piuttosto all’interno di cornici plausibili, ma che
sono tuttavia ultra, extra o intra-sociali. 13
I re e i capi godono di un’ulta-libertà. I ricchi e i divi sfuggono alle strettezze della vita
quotidiana.
L’extra-libertà è evidente nei viaggi nel tempo e nello spazio. La caratteristica del western
è quella di situarsi in un tempo epico e genetico agli inizi della civiltà, che è insieme un
tempo storico, realistico, recente.
L’infra-libertà si esercita al di sotto delle leggi, nel bassifondi della società, presso i
vagabondi, i ladri, i gangster.
La gang esercita un fascino particolare, poiché risponde alle strutture affettive elementari
dello spirito umano: essa si fonda sulla partecipazione comunitaria al gruppo, sulla
solidarietà collettiva, sulla fedeltà, sull’aggressività verso tutto ciò che è estraneo, sulla
vendetta.
La gang è come il clan arcaico, ma purificato di ogni sistema tradizionale di prescrizioni e
divieti.
L’eroe ci farà immergere nel mondo senza legge. Ogni vera libertà sfocia nella parte
maledetta, nella zona d’ombra degli istinti e dei divieti.
Il tema della libertà si presenta attraverso le finestre sempre aperte dello schermo, come
evasione onirica o mitica al di fuori del mondo civilizzato. Qualunque sia l’esito del
conflitto, la rivolta antropologica contro la regola sociale è posta. Ciò che distingue la
cultura di massa dalle altre è l’esteriorizzazione multiforme della violenza. In tutta
sicurezza, dunque, si fa esperienza dell’insicurezza. Pacificamente, si fa esperienza della
guerra. I ragazzi si compiacciono non sono di uccidere fittiziamente, ma anche di morire
fittiziamente. Il grande fascino della morte emerge oscuramente.
La stampa capitalistica consuma in prima pagina le grandi catastrofi come quella del
Frejus, i grandi atti di sadismo, i rapimenti, i bei delitti passionali. I grandi criminali sono
così, letteralmente, i capri espiatori della collettività.
Le strutture del fatto di cronaca sono le stesse dell’immaginario. Ma il film a lieto fine
risparmia i suoi eroi. In un certo senso, il fatto di cronaca resuscita la tragedia, scomparsa
dall’immaginario.
Le morti dei fatti di cronaca, per quanto ben reali, sono in definitiva più lontane dal lettore
di quanto non lo siano dallo spettatore le morti shakespeariane. Le vittime del fatto di
cronaca sono proiettive, cioè offerte in sacrificio.
Così, paradossalmente, l’identificazione con il protagonista del fatto di cronaca è minore
dell’identificazione con gli eroi del cinema. ***
Lo spettacolo della violenza incita e al tempo stesso placa: incita parzialmente
l’adolescenza, in cui la proiezione e l’identificazione non si distribuiscono ancora in modo
razionale, ma nello stesso tempo placa parzialmente i bisogni aggressivi della pubertà.
Soltanto una civiltà ludica sarebbe in grado di imbrigliare senza danni l’enorme bisogno
offensivo represso.
L’esperienza prova che nessuno è definitivamente civilizzato. La cultura di massa non ci
ha guariti dei nostri furori fondamentali: piuttosto li distrae, li proietta.
CAPITOLO DODICESIMO – L’eros quotidiano
In Unione Sovietica o in Cina, l’erotismo è ancora inimmaginabile, proprio in quanto tenuto
fuori dalle immagini. Nel mondo capitalista, la religione frena il prodigioso slancio di
erotismo. Ma è nel flusso della cultura di massa che l’erotismo trionfa. La merce moderna
tende ad ammantarsi di sex-appeal. 14
Nella sua espansione verticale, il capitalismo, dopo avere annesso il mondo dei sogni, di
sforza di addomesticare l’eros. Le merci caricate di un supplemento erotico ricevono
anche un supplemento mitico: è un erotismo immaginario, cioè dotato di immagini e di
immaginazione. ***
L’erotismo della merce è soprattutto pubblicitario. La violenza erotica si manifesta molto
più nella pubblicità che nelle stesse merci, cioè molto più nell’esortazione al consumo che
nei consumi.
La merce gioca a fare la donna desiderabile, per essere desiderata dalle donne, facendo
appello al loro desiderio di essere desiderate.
D’altra parte la pubblicità, per certi prodotti, potenzia gli oggetti già dotati di una carica
erotica. In tal modo la pressione erotica si fa estremamente violenta sui prodotti per la
pelle e anche sui prodotti sentimentali: giornali, rotocalchi, film. La pubblicità ha
rapidamente colmato la distanza che separava la pulizia dalla bellezza, e la bellezza dal
sex-appeal. I prodotti dietetici, a loro volta, sono divenuti prodotti di seduzione.
L’erotismo si è specializzato nei prodotti con finalità particolarmente erotiche, la cui
pubblicità divora le pagine dei rotocalchi (fard, parure, reggiseni). Si è diffuso nell’ambito
dei consumi immaginari.
Il regno della donna-oggetto è l’altra faccia del regno della donna-soggetto. Le immagini
erotiche non si rivolgono in modo particolare agli uomini, ma alle donne e agli uomini
insieme. Le immagini che attraggono il desiderio maschile suggeriscono alla donna i suoi
comportamenti di seduzione.
L’erotismo della cultura di massa è di per sé ambivalente. Suppone un certo rapporto di
equilibrio fra i tabù sessuali e la licenza che li corrode. Tra la pressione dei tabù religiosi,
sociali e politici, e la pressione della libido, c’è un optimum dell’erotismo.
Da un certo punto di vista, l’erotismo rimanda alla sessualità, mediante le sue permanenti
allusioni. Da un altro, diffondendo l’attrazione sessuale sull’insieme del corpo, l’erotismo
toglie alla sessualità potere di concentrazione. I baci e le carezze sparsi per tutto il corpo
perpetuano l’erotismo infantile presessuale.
L’erotismo libertino del XVIII secolo escludeva l’anima e l’amore. L’erotismo della cultura di
massa si sforza di riconciliare l’anima e l’eros. Al cinema, l’erotismo e l’immaginario sono
reciprocamente mezzo e fine. Il cinema è il crogiolo della straordinaria manipolazione di
anima e di erotismo.
CAPITOLO TREDICESIMO – La felicità
L’idea di felicità raggiunge l’apice nelle civiltà individualiste, favorita dall’impoverimento dei
valori tradizionali e delle grandi trascendenze.
La cultura di massa traccia un profilo particolare e complesso di felicità, insieme proiettivo
e di identificazione. In essa la felicità è mito, ossia proiezione immaginaria di archetipi di
felicità, ma nello stesso tempo è idea-forza, ricerca vissuta.
L’ideale immaginario della vita piena di rischi si oppone all’ideale pratico della sicurezza
contro ogni rischio. L’ideale del giustiziere ascetico si oppone all’ideale del padre di
famiglia.
Così, nella concezione stessa della felicità, si può constatare una bipolarità e un
antagonismo tra modi proiettivi e identificativi.
Sia la mitologia proiettiva che la prassi identificativa riguardano l’individuo privato.
Si aggiunge la tematica della felicità nell’amore. La felicità implica la coppia.
L’happy end è una proiezione durativa di un momento di felicità. 15
L’economia che iniziava a svilupparsi nel XIX secolo tende a “produrre le merci più
richieste, ma non quelle più necessarie”.
Così si completano i due temi della felicità. L’uno privilegia l’istante ideale nella proiezione
immaginaria, l’altro stimola un edonismo di tutti gli istanti della vita vissuta. La felicità
moderna, divisa nell’alternativa tra la priorità dei valori affettivi e la priorità dei valori
materiali, si sforza nello stesso tempo di superare tale alternativa, conciliando l’essere con
l’avere.
La felicità empirica scaccia o respinge le mitologie dell’aldilà, ma crea necessariamente
una propria mitologia, destinata a mascherare le zone d’ombra in cui la felicità è
inesorabilmente messa in discussione dal senso di colpa, dall’angos