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Nei sistemi detti socialisti, lo Stato è il padrone assoluto; è censore, direttore, produttore. I contenuti
culturali differiscono più o meno radicalmente secondo il tipo di intervento statale – negativo (cen-
sura, controllo) o positivo (orientamento, addomesticamento, politicizzazione) – secondo il carattere
liberale o autoritario, secondo il tipo di Stato che interviene. Se comune è la preoccupazione di rag-
giungere il più vasto pubblico sia nel sistema privato (ricerca del massimo profitto) che nel sistema
di Stato (interesse politico e ideologico), il sistema privato vuole soprattutto piacere al consumatore
e farà di tutto per ricreare e divertire, nei limiti della censura. Il sistema di Stato vuole convincere ed
educare: da una parte, tende a propagare un’ideologia che può annoiare o irritare, dall’altra, non es-
sendo stimolato dal profitto, può proporre dei valori di “alta cultura” (dibattiti scientifici, opere clas-
siche, musica colta). Il sistema privato vive perché diverte: vuole adattare la sua cultura al pubblico.
Il sistema di Stato è rigido e greve: vuole adattare il pubblico alla propria cultura. Il problema non è
quello di scegliere tra sistema di Stato e sistema privato, ma di come costituire una combinazione
nuova dei due. Oggetto di questo studio sono i processi culturali che si sono sviluppati al di fuori
della sfera di orientamento statale (o religioso, o pedagogico), sotto l’impulso principale del capita-
lismo privato, e che possono del resto diffondersi, in futuro, anche nei sistemi culturali statalistici.
Si userà il termine di cultura industriale per designare i caratteri comuni a tutti i sistemi, privati o di
Stato, riservando il termine di cultura di massa per la cultura industriale dominante in Occidente.
Produzione e creazione: il modello burocratico-industriale
Nell’un caso come nell’altro, per differenti che siano i contenuti culturali, ha luogo uno stesso fe-
nomeno di concentrazione dell’industria culturale. La stampa, la radio, la televisione, il cinema so-
no industrie ultra-leggere. Ma questa industria ultra-leggera è organizzata sul modello dell’industria
più concentrata tecnicamente ed economicamente. Nel campo privato, pochi grandi gruppi di stam-
pa, poche grandi catene radiotelevisive, poche società cinematografiche concentrano gli strumenti e
Nel campo pubblico, è lo Stato che assicura la concentrazione.
dominano le comunicazioni di massa.
A questa concentrazione tecnica corrisponde una concentrazione burocratica. L’organizzazione bu-
rocratica filtra l’idea creatrice, la sottopone a esame prima che essa arrivi nelle mani di colui che de-
cide. Questi decide in base a valutazioni impersonali: il profitto eventuale del soggetto proposto (i-
niziativa privata), la sua opportunità politica (sistema di Stato); quindi rimette il progetto nelle mani
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dei tecnici, che lo sottopongono alle proprie manipolazioni. Nell’uno e nell’altro sistema, il potere
culturale viene compresso tra il potere burocratico e il potere tecnico. La concentrazione tecno-bu-
rocratica grava universalmente sulla produzione culturale di massa. Di qui la tendenza alla sperso-
nalizzazione della creazione, alla prevalenza dell’organizzazione razionale della produzione sull’in-
venzione, alla disintegrazione del potere culturale. Ma questa tendenza, richiesta dal sistema indu-
striale, urta contro un’esigenza radicalmente contraria, nata dalla natura stessa del consumo cultura-
le, che vuole un prodotto sempre individualizzato, e sempre nuovo. Un film può essere concepito in
funzione di alcuni standard (intrigo amoroso, lieto fine), ma deve avere la sua personalità, la sua o-
riginalità, la sua unicità, e lo stesso si dica per una trasmissione radio o per una canzone. L’industria
culturale deve dunque costantemente superare una contraddizione fondamentale tra le proprie strut-
ture burocratizzate-standardizzate e l’originalità (individualità e novità) del prodotto che deve forni-
re. Il suo stesso funzionamento si fonda su queste due coppie antitetiche: standard-individualità, bu-
rocrazia-invenzione. Ma questa possibilità risiede senza dubbio nella struttura stessa dell’immagina-
ci sono dei modelli-guida dello spirito uma-
rio. L’immaginario si struttura secondo alcuni archetipi:
no, che ordinano i sogni, e particolarmente quei sogni razionalizzati che sono i temi mitici o roman-
zeschi. Regole, convenzioni, generi artistici, impongono delle strutture esterne alle opere, mentre si-
tuazioni-tipo e personaggi-tipo ne forniscono le strutture interne. L’analisi strutturale ci mostra co-
me sia possibile ridurre i miti a strutture matematiche. Ora, ogni struttura costante può conciliarsi
con la norma industriale. L’industria culturale persegue la dimostrazione a suo modo, standardizzan-
do i grandi temi romanzeschi, riducendo gli archetipi in stereotipi. La burocrazia è costretta a ricer-
care l’invenzione, e lo standard si arresta per essere completato dall’originalità. La creazione cultu-
rale non può essere totalmente integrata in un sistema di produzione industriale. Da ciò un certo nu-
mero di conseguenze: da una parte, le controtendenze alla decentralizzazione e alla concorrenza;
dall’altra, una tendenza all’autonomia relativa della creazione nell’ambito della produzione. L’equi-
librio concentrazione-decentralizzazione, e persino concentrazione-concorrenza, si stabilisce e si
modifica in funzione di molteplici fattori. Di qui strutture di produzione ibride e mobili. Il sistema,
ogni volta che vi è costretto, tende a tornare al clima concorrenziale del precedente capitalismo. Al-
lo stesso modo, tutte le volte che vi è costretto, accoglie in sé degli antidoti al burocratismo. L’equi-
librio e lo squilibrio tra le forze contrarie, burocratiche e antiburocratiche, dipende a sua volta dalle
particolarità del prodotto culturale. La stampa di massa è più burocratizzata del cinema, poiché l’o-
riginalità e l’individualità sono imposte dall’avvenimento, il ritmo di pubblicazione è quotidiano o
settimanale, e la lettura di un giornale è legata a forti abitudini. Il film deve trovare ogni volta il suo
pubblico, e soprattutto deve ogni volta tentare una difficile sintesi tra lo standard e l’originale. Ecco
perché il cinema cerca il divo, che unisce l’archetipo e l’individuale; si comprende perciò come il
divo sia la migliore garanzia della cultura di massa, e in particolare del cinema. In ogni caso, un rap-
porto stringente viene a stabilirsi tra la logica industriale burocratica monopolistica centralizzatrice
standardizzatrice, e la contro logica individualista inventiva concorrenziale autonomista innovatrice.
Questo rapporto complesso può essere alterato da qualsiasi cambiamento che tocchi uno solo dei
La contraddizione invenzione-standardizzazione è la contraddizione dinamica della cul-
suoi aspetti.
tura di massa, il suo meccanismo di adattamento ai vari pubblici e di adattamento dei vari pubblici a
essa, la sua vitalità. L’esistenza di questa contraddizione consente, da una parte, di circoscrivere un
immenso universo stereotipato e, dall’altra, permette all’invenzione di perpetuare una zona di crea-
zione e di talento nell’ambito del conformismo standardizzato. In altre parole, l’industria culturale
ha bisogno di un elettrodo negativo per funzionare positivamente. Questo elettrodo negativo è una
certa libertà nell’ambito di strutture rigide. Questa libertà può essere assai ristretta, e servire il più
delle volte a perfezionare la produzione standard, a favorire dunque la standardizzazione.
Produzione e creazione: la creazione industrializzata
Il “creatore”, vale a dire l’autore, è emerso abbastanza tardi nella storia della cultura: è l’artista del
XIX secolo, che si afferma precisamente nel momento in cui comincia l’era industriale, e inizia a
disgregarsi con l’introduzione delle tecniche industriali nella cultura, allorché la creazione tende a 4
diventare produzione. Le nuove arti della cultura industriale, in certo senso, resuscitano l’antico col-
lettivismo del lavoro artistico. Ma il nuovo collettivismo non si ricollega semplicemente alle forme
primitive dell’arte. Per la prima volta nella storia, la divisione del lavoro manda in pezzi l’unità del-
la creazione artistica, così come la manifattura frantuma il lavoro artigianale. La nuova grande arte,
arte industriale tipica, il cinema, ha istituito una divisione del lavoro rigorosa, analoga a quella che
si opera in una fabbrica dal momento in cui entra la materia grezza fino a quando ne esce il prodotto
finito. La materia prima del film è la sinossi o il romanzo che bisogna adattare: la catena comincia
con gli adattatori, gli sceneggiatori, i dialogisti; quindi interviene il regista, insieme allo scenografo,
l’operatore, il tecnico del suono; il musicista e il montatore, infine, completano l’opera collettiva.
Certo, il regista emerge come autore del film, ma questo è comunque il prodotto di una creazione
concepita secondo le norme della produzione. Negli altri settori della creazione industriale, la divi-
sione del lavoro è adottata in varia misura; la produzione televisiva, quella radiofonica, la stampa
settimanale, ecc. La divisione del lavoro divenuto collettivo è un aspetto generale della razionaliz-
zazione richiesta dal sistema industriale, che inizia al momento della fabbricazione dei prodotti,
prosegue nei piani di produzione e di distribuzione, e termina negli studi del mercato culturale. A
questa razionalizzazione corrisponde la standardizzazione, che impone veri e propri calchi spazio-
temporali al prodotto culturale. Ma la divisione del lavoro non è del tutto incompatibile con l’indivi-
dualizzazione dell’opera: essa ha già prodotto i suoi capolavori nel campo del cinema. La standar-
dizzazione non comporta necessariamente la disindividualizzazione; essa può essere l’equivalente
industriale delle regole classiche dell’arte, come le tre unità che imponevano particolari forme e par-
ticolari temi. Le limitazioni obiettive a volte soffocano, ma a volte, al contrario, sostanziano l’opera
d’arte. Né la divisione del lavoro, né la standardizzazione, sono in sé degli ostacoli all’individualiz-
zazione dell’opera. Infatti, esse tendono contemporaneamente a comprimerla e a sostanziarla: più l’
industria culturale si sviluppa, e più fa appello all’individualizzazione, anche se tende a standardiz-
zarla. La dialettica standardizzazione-individualizzazione tende spesso ad attutirsi in una sorta di
media. La presenza di