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II. I SOFTWARE IN AZIONE
Capitolo 3 – Motion Graphics e Design
3.1 Introduzione
Si tratterà del design dell’immagine in movimento, un linguaggio radicalmente nuovo
che emerge tra il 1993 e il 1998, quando registi e designer hanno iniziato a utilizzare
in modo sistematico i software per l’editing e l’authoring. Oggi questo linguaggio
domina su tutta la nostra cultura visuale.
Negli anni Novanta l’informatizzazione degli strumenti ha inciso non solo sulla cultura
dell’immagine in movimento, bensì anche su tutti gli altri ambiti del design tutti
hanno iniziato ad adottare lo stesso tipo di processo produttivo che oggi implica o la
combinazione di elementi creati attraverso diverse applicazioni, oppure lo
spostamento dell’intero progetto da un applicativo all’altro in modo da sfruttare le
funzioni specifiche di ciascun programma.
E sebbene ogni ambito disponga delle proprie applicazioni dedicate ormai i
professionisti utilizzano anche numerose applicazioni di uso comune come Photoshop,
Illustrator, Flash, Final Cut, After Effects, Maya.
L’adozione di questo ambiente di produzione, che consiste in un numero esiguo di
applicativi compatibili, in tutte le aree dell’industria creativa ha avuto ricadute
importanti, a partire dall’abbattimento dei rigidi confini professionali tra i diversi
ambiti del design.
Ci si soffermerà sull’impatto prodotto dall’informatizzazione dei processi produttivi
sull’estetica visuale contemporanea.
3.2 La rivoluzione invisibile
Collegamento tra il pastiche postmoderno e la computerizzazione. Andreas Huyssen,
nel suo libro After the Great Divide del 1986, parlava di “banche dati computerizzate”
dove tutte le tecniche, le forme e le immagini moderne e avanguardistiche erano
conservate.
In verità alla metà degli anni Ottanta non esisteva nessuna società di produzione che
disponeva di qualcosa di simile alle “banche dati computerizzate” immaginate da
Huyssen.
La situazione descritta da Huyssen ha iniziato a diventare realtà solo dieci anni dopo,
quando le workstation e i personal computer con annessi i software per il montaggio,
l’animazione, la composizione e il disegno sono diventati alla portata di grafici e
illustratori freelance e dei piccoli studi di post produzione e animazione.
L’impatto è stato radicale: in meno di cinque anni la cultura visiva moderna è stata
completamente trasformata tecniche visive un tempo prerogative di media differenti
hanno iniziato a combinarsi in molti modi e alla fine del decennio l’immagine in
movimento “pura” rappresentava l’eccezione, quella ibridata la norma.
Tuttavia, diversamente da altre rivoluzioni informatiche come quella del World Wide
Web, questa non ha avuto il medesimo riconoscimento da parte di media e studiosi
perché, a differenza di altre rivoluzioni, non ha creato un medium veramente nuovo.
L’attenzione si è concentrata sugli sviluppi digitali che hanno condizionato
l’audiovisivo narrativo.
3.3 L’ibridazione visuale
Oggi quasi tutto è ibrido: l’80% delle immagini in movimenti, delle interfacce animate
e dei cortometraggi seguono l’estetica dell’ibridazione.
Il linguaggio ibrido si è sviluppato tra il 1993 e il 1998 (Rivoluzione di Velluto come la
chiama Manovich)
1993 anni di nascita di After Effects: importante per il ruolo che ha giocato, molto
economico e longevo
1998 data dei grandi cambiamenti nell’estetica delle immagini in movimento
Nei primi esperimenti dei primi anni Novanta, l’immagine computerizzata appariva
nella maggior parte dei casi isolata e veniva sottolineata proprio la novità del
linguaggio.
Verso la fine del decennio, invece, l’animazione computerizzata diventa
semplicemente un ulteriore elemento integrato con altri linguaggi mediali.
3.4 Esempi
After Effects è il software che ha reso pratica comune la motion graphics, la
produzione di immagini non narrative e non figurative che cambiano nel tempo.
Fino al 1993 la grafica in movimento compare come parte di sequenze più lunghe. Dal
1993 in poi il confine fra la grafica in movimento e le altre immagini è divenuto
sempre meno chiaro.
Una delle caratteristiche distintive della grafica in movimento degli anni Novanta era il
ruolo centrale attribuito alla tipografia dinamica.
Il termine “grafica in movimento” è stato utilizzato almeno a partire dal 1960, quando
John Whitney, uno die pionieri della produzione cinematografica computerizzata,
chiamo la sua nuova azienda Motion Graphics.
Tuttavia, fino alla Rivoluzione di Velluto solo pochi tra i professionisti freelance e le
aziende hanno esplorato in modo sistematico l’arte della tipografia animata. Solo dalla
metà degli anni Novanta prende avvio la produzione massiccia di sequenze animate e
cortometraggi con scritte e forme geometriche animate. La causa di ciò fu la diffusione
capillare tra le piccole case di produzione, gli studi minori di design ed effetti speciali e
i professionisti indipendenti di After Effects e di altri software simili che giravano su PC
o workstation relativamente economiche.
Oltre alla tipografia, l’intero linguaggio grafico del Ventesimo secolo è stato
“importato” nel linguaggio delle immagini in movimento. A questa evoluzione non è
stato dato un nome specifico che sia entrato di uso comune, ma questo non vuol dire
che non sia un fenomeno importante.
Sebbene sia stato utilizzato il termine design cinema, esso non ha mai ottenuto il
riconoscimento e la popolarità attribuiti al termine “grafica in movimento”.
Se negli anni Novanta i computer venivano utilizzati per creare effetti speciali molto
spettacolari oppure effetti invisibili, verso la fine del decennio è emersa una nuova
estetica visiva “oltre l’effetto” l’intero progetto presenta uno stile iperrealistico in cui
la manipolazione del materiale di ripresa non è completamente invisibile ma
nemmeno richiama l’attenzione su se stessa nel modo in cui gli effetti speciali erano
soliti fare.
Alcuni film, a partire dalla fine degli anni Novanta (Matrix, Sin City, 300) si sono serviti
della tecnica del digital backlot: la maggior parte delle riprese, se non l’intero film, è
realizzata inserendo le sequenze degli attori all’interno di ambientazioni generate da
computer. Questi film non accostano linguaggi diversi in modo radicale, come fa di
solito la grafica in movimento, e non cercano di integrare completamente le immagini
generate dal computer con le riprese dal vivo, com i primi blockbuster con effetti
speciali digitali (Terminator 2, Titanic). Piuttosto esplorano lo spazio che intercorre tra
l’accostamento e l’integrazione completa.
3.5 L’ibridazione mediale in Sodium Fox e Untitled (Pink Dot)
Sodium Fox di Jeremy Blake e Untitled(Pink Dot) di Takeshi Murata, entrambi del 2005,
offrono esempi eccellenti del linguaggio visivo ibrido oggi più in voga nella cultura
delle immagini in movimento.
Blake è stato tra i primi artisti contemporanei a sviluppare un suo linguaggio ibrido. Il
suo video Sodium Fox è un sofisticato mix di disegni, animazioni bidimensionali,
fotografie ed effetti visivi realizzati al computer. Egli rallenta il tipico ritmo accelerato
della grafica in movimento e nonostante ciò il suo video risulta ricco e carico di
informazioni visive tanto quanto la più frenetica grafica in movimento.
Egli lavora sulla costruzione dell’immagine a partire da più strati. Oggi, con il software
i designer possono controllare con assoluta precisione la trasparenza di ciascuno
strato e aggiungere effetti visivi, come la sfocatura, tra uno strato e l’altro. Di
conseguenza, piuttosto di creare un audiovisivo narrativo basato sul movimento degli
elementi, oggi i designer hanno a disposizione molti più strumenti per creare
alterazioni visive.
Esplorando queste possibilità Blake crea il proprio linguaggio visivo in cui gli elementi
posizionati su differenti strati vengono continuamente e gradualmente riscritti l’uno
sopra l’altro anziché passare da un fotogramma all’altro, Blake fa apparire
continuamente singole parti dell’immagine. L’effetto è quello di un’estetica dove la
continuità visiva è punteggiata da riscritture, cancellazioni e graduali
sovraimpressioni.
Anche Murata, con il suo Untitled (Pink Dot), sviluppa il proprio linguaggio all’interno
del paradigma dell’ibridazione. Egli genera una immagine viva e pulsante,
chiaramente allusiva al mondo degli esseri viventi. Le sue immagini sembrano
veramente prendere vita. Per generare questo tipo di impulso vitale, Murata trasforma
alcune scene dal vivo tratte da uno dei film di Rambo in un flusso di chiazze colorate e
astratte. Questa trasformazione non ha mai fine e viene costantemente calibrata da
Murata.
In termini di software, questo processo implica l’automazione dei parametri di un filtro
o di un effetto. In Untitled (Pink Dot) l’ibridazione mediale trova realizzazione come
metamorfosi permanente.
Entrambi gli artisti rappresentano, con il loro linguaggio, il cambiamento tecnologico e
concettuale fondamentale che definisce la nuova era dell’ibridazione mediale. I
software ci permettono sia di combinare un numero infinito di elementi visivi a
prescindere dai propri media originali sia di controllare in tempo reale ogni elemento.
3.6 L’assemblaggio profondo
Il linguaggio ibrido delle immagini in movimento equivale a una forma di remix, ma
bisogna fare un distinguo. Il remix combina contenuti di uno stesso medium oppure
contenuti provenienti da diversi media.
Nella cultura contemporanea delle immagini in movimento la pratica di remixare
contenuti provenienti da media diversi è piuttosto comune. Tuttavia questo è solo un
aspetto della rivoluzione dell’ibridazione.
Nell’ibridazione si parla di assemblaggio profondo perché ciò che viene remixato
oggi non è solo il contenuto di diversi media ma anche le loro tecniche, i processi
produttivi e le modalità di rappresentazione ed espressione riuniti nello stesso
ambiente informatico i vari linguaggi hanno formato un nuovo metalinguaggio.
Questo metalinguaggio è come una specie di libreria di tutte le tecniche conosciute
per la creazione e la modificazione di immagini in movimento. L’utente seleziona le
tecniche da questa libreria e le combina in una singola sequenza o in un singolo
fotogramma.
Come si remixano le tecniche?
Nel caso delle interfacce mediali ibride analizzate prima, “remixare” significa
semplicemente “combinare” tecniche diverse compaiono una vicina all’altra
nell’interfacc