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Il Conte e la sua leadership

Il Conte ha una leadership assoluta sui soldati semplici e sugli ufficiali. È un'autorità che il Conte si è guadagnato con la sua intelligenza militare (le sue sono per tutti le decisioni più sagge per combattere) e con l'attenzione partecipe al destino dei propri soldati. Il Conte è amato dalle sue truppe, le quali sono convinte che lui voglia per loro il destino migliore possibile.

Atto II, scena V

La scena rappresenta un monologo del Conte. In questo monologo Manzoni fa emergere come pur essendo personaggio positivo e nobile, il Conte abbia limiti da diversi punti di vista. Qui emerge in modo evidente il desiderio di vendetta del Conte. Questo non è un sentimento positivo. Manzoni qui per la prima volta pone limiti di carattere morale al suo personaggio. Qui il Conte perde per la prima volta il controllo di sé. Per un attimo il...

Conte ha paura che possa trionfare il caso, il destino, l'irrazionale. Un istante dopo però il Conte riprende il controllo delle proprie passioni in maniera volontaristica.

Atto II, scena VI

Nella scena arrivano i diversi condottieri del campo veneziano. La "lieta nova" di cui parla il Conte è che il nemico è finalmente caduto nella trappola e ha deciso di dar battaglia, proprio come il Conte voleva. La lieta nova non può che richiamare la lieta novella del Vangelo. Ovviamente è adattata alla misura imposta dall'endecasillabo. Questa però non è una lieta novella, è espressione del desiderio di vendetta, è volontà di prevaricazione di fratelli su fratelli. L'espressione del Conte, quindi, è inappropriata e imporrà al Conte l'espiazione finale per questa colpa. Questa espressione si caricherà di nuovi significati nel coro ormai prossimo.

Si trova poi

un'enfasi guerresca persino esagerata che serve forse a Manzoni per prendere un poco le distanze dal suo personaggio nel momento in cui il personaggio ha mostrato i suoi limiti etici. Il «sì» come unico elemento di risposta mostra come la volontà del Conte sia fatta propria dai suoi subalterni senza esitazione. Il Conte dispone le truppe per la battaglia ma lo fa con un linguaggio molto più secco e deciso rispetto a quello usato prima dal Malatesti. Abbiamo in questo passaggio periodi brevi, secchi, indirizzati a dare indicazioni precise, centrale è l'uso dell'imperativo. La sequenza di imperativi testimonia in maniera chiara la volontà di controllo assoluto che il Conte intende esercitare sui propri uomini ma anche sugli eventuali eventi imprevedibili che possono presentarsi nel corso della guerra. È un modo di esprimere l'idea del controllo assoluto di tutto ciò che accade. L'uso ripetuto a breve

La distanza dell'imperativo è un carattere che più volte torna nell'operamanzoniana. In particolare, torna nel famoso testo "Sgombra o gentil dall'ansia mente i terrestri ardori...", il famoso coro di Ermengarda. Il coro di Ermengarda è pieno di imperativi. C'è però una differenza enorme, sebbene ci sia un elemento in comune. L'uso dell'imperativo è l'espressione della volontà di controllo. Qui la volontà di controllo è però di controllo mondano della propria vita e delle proprie esperienze, per il Conte di Carmagnola. L'uso qui è tipicamente tragico: l'eroe vuole controllare la propria esistenza (cfr. Edipo Re, Sette contro Tebe). Nel coro di Ermengarda l'imperativo diventa simbolo della necessità dell'uomo di obbedire al piano divino. Lì è il poeta a rivolgere gli imperativi ad Ermengarda. Gli altri capitani danno

ragione e obbedienza assoluta al Conte. Importante è la battuta con cui il Conte si rivolge al Gonzaga. Quando si avrà letto il IV e V atto ci si renderà conto del fatto che a un certo punto il Conte di Carmagnola diventa una sorta di figura christi. La morte del Conte è una seconda passione di Cristo. In quest'ottica il rapporto tra il Conte e il suo più fedele luogotenente, il Gonzaga, viene a ripetere il rapporto di predilezione di Cristo con il suo discepolo Giovanni. Atto II, Coro Ora arriva l'unico coro della tragedia. La battaglia di Maclodio non è rappresentata per motivi pratici e per eredità del teatro classico che esclude dalla scena sempre gli eventi tragici di sangue che vengono invece poi raccontati da parte del coro. Manzoni qui segue esattamente il modello della tragedia classica: quando capita qualcosa di tremendo (morti, omicidi...) questo

viene raccontato e pateticamente commentato dal coro. Qui lo sguardo si alza e assume il punto di vista privilegiato di osservazione dell'autore. La battaglia di Ma-clodio allora si rivela come battaglia stolta di italiani contro italiani, battaglia dannosa politicamente perché indebolirà le forze degli eserciti italiani che dopo saranno invasi dagli stranieri. Manzoni legge nella battaglia di Maclodio l'evento che ha aperto all'invasione delle truppe straniere di Carlo VIII e agli scontri di eserciti stranieri sul territorio italiano. Anche i Promessi sposi oltretutto sono ambientati durante la guerra di Casale, combattuta da eserciti stranieri su territorio italiano. Bisogna prima spendere qualche parola sulle scelte di carattere metrico. In Manzoni le scelte di carattere metrico non sono mai neutrali. Quando Manzoni sceglie un tipo di metro ci dice già qualcosa. Manzoni è l'autore italiano più attento e abile nella gestione

tecnica del verso. Egli usa schemi metrici spesso innovativi, o inven-tati completamente o ripresi da tradizioni minoritarie. È ciò che accade anche in questo coro che ripete il metroche Manzoni aveva già in precedenza usato nella Passione, il decasillabo. In Manzoni la scelta dello stesso metro non è mai fatto casuale e neutrale ma implica un significato anche dal punto di vista dei contenuti. Ciò vuol dire interpretare la morte dei soldati, morti fratelli contro fratelli, nei termini di una riproposizione della morte di Cristo in croce e del suo sacrificio sulla croce. All’interno del testo se si è consapevoli di questo si è senza dubbio portati a rendersene conto. Manzoni nell’ultima strofe richiama proprio la morte in croce di Cristo. "Solo" e "Riscatto" hanno la maiuscola, è la morte di Cristo. È voluta la rispondenza metrica tra i due testi. C’è però anche qualcosa di più.

Il Quadrio, uno dei principali critici settecenteschi, dice che il decasillabo è il metro delle cose spaventevoli e rovinose. Il Manzoni usa questo verso per la scrittura della Passione e dellabattaglia di Maclodio, due eventi spaventevoli e rovinosi. La battaglia di Maclodio è responsabile dell'indebolimento definitivo del nostro paese.

Con uno schema metrico diverso, il decasillabo è usato anche in un altro testo settecentesco: il melodramma Morte d'Abelle di Metastasio. Questo è un testo in cui Metastasio racconta l'uccisione di Abele da parte di Caino. L'uccisione di un italiano da parte di un altro italiano ripete l'uccisione di Abele da parte di Caino. La scelta del decasillabo rinvia anche al modello di Metastasio e a quel dramma. Questo si vede bene nel Coro del Carmagnola perché diverse volte le morti di questa battaglia sono rappresentate come una riproposizione dell'uccisione di Abele da parte di Caino (v. 87).

«i fratelli hanno ucciso i fratelli»). Veniamo ora nei dettagli di carattere metrico.

Per noi oggi il decasillabo non è più il metro delle cose spaventevoli e terribili. Dopo Manzoni nei manuali di metrica si trova detto che il decasillabo è il metro della poesia guerresca (Berchet e scrittori del Risorgimento italiano).

Dopo Manzoni si consuma anche un altro cambiamento nelle modalità di uso del decasillabo. Nella tradizione italiana esistono tre decasillabi diversi. Esiste il decasillabo più tradizionale, lo schema tradizionale premanzoniano, che prevede accenti su 1 3 5 7 9 sillaba. È un verso estremamente monotono e caratterizzato da ritmo fortemente discendente, si va di due sillabe in due sillabe delle quali la prima è sempre quella accentata. Il decasillabo manzoniano però non è fatto così, ma prevede accenti di 3 6 9, con ritmo

fortemente ascendente. Per questo carattere fortemente ascendente questo verso diverrà tipico della poesia guerresca. Si dice che il decasillabo manzoniano abbia ritmo anapestico (metro tipico della poesia guerresca nella metrica greca, com-posto da due brevi e una lunga). Questo decasillabo prima di Manzoni è rarissimo nella poesia italiana (si trova solo in Onesto da Bologna nel Duecento e nel Rolli). Questo decasillabo è detto anche decasillabo manzoniano.

Il terzo tipo di decasillabo nasce ancora più tardi ed è un doppio quinario, ovvero un decasillabo nel quale c'è cesura costante dopo la V sillaba, con accenti su 1 2 4 6/7 9. Questo è un verso caratteristico della poesia di Pascoli ed è una sua invenzione (decasillabo pascoliano).

Il metro scelto da Manzoni produce effetto di precipitosità bellica. Il ritmo ascendente dà velocità. Abbiamo inoltre la cesura che separa il verso in due parti che vengono

spesso costruite secondo meccanismidi parallelismo perfetto (simmetria perfetta), a dimostrare come i due eserciti che combattono agiscano l'unoin conseguenza della condotta dell'altro, come se la guerra fosse uno spettacolo nel quale c'è perfetto corri-spondersi delle azioni dei due combattenti.

La strofe successiva segna l'inizio della guerra vera e propria. Qui la contrapposizione scompare in una bolgiae confusione assoluta che è quella della battaglia. Il terreno è inghiottito nel nulla perchè i due eserciti si sonoavvicinati e hanno iniziato a combattere.

Nel finale della II strofe il ritmo bellicoso inizia ad incrinarsi di fronte ad una serie di domande che fannoemergere come quello che potrebbe apparire uno spettacolo magnifico, come descritto dal Malatesti, in realtànasconda un'altra realtà e un'altra essenza.

A far emergere, pur in maniera solo implicita, l'assurdità dello spettacolo in

atto è una citazione. «belle con-trade» è citazione di Petrarca dalla Canzone all'Italia (CXXVIII) nella quale l'espressione indica l'Italia. Questa citazione fa emergere quello che dopo sarà esplicito. Qui ci
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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Alessandro_Vercelli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Boggione Valter.