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MANUALI E PROCEDURE DIAGNOSTICHE
Obiettivo: fornire una mappa il più possibile accurata del funzionamento
psichico dell’individuo. Unire il carattere idiografico e nomotetico.
+ DSM: Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, è un sistema
nosografico. Le prime due edizioni del manuale risentivano dell’influenza
del pensiero psicoanalitico e offrivano descrizioni sintetiche di un numero
ridotto di disturbi di cui elencavano segni e sintomi. Con la pubblicazione
del DSM-III e DSM-III-R assistiamo ad una vera e propria svolta verso
l’elaborazione di una tassonomia dei disturbi mentali più valida, attendibile e
utile a livello clinico. Viene adottata una diagnostica di tipo descrittivo e
ateoretico tesa a identificare e differenziare le diverse sindromi discrete
senza far riferimento a specifiche teorie del funzionamento mentale e sulla
base delle sole evidenze direttamente osservabili o autoriferite dal pz. Si è
passati da un approccio monotetico a uno di tipo politetico: per fare diagnosi
di disturbo non era più necessario che venissero soddisfatti tutti I criteri
proposti dal manuale per la sua descrizione, ma solo un certo numerosoglia.
Inoltre, con il DSM-III e DSM-III-R è stato adottato per la prima volta un
sistema multiassiale, mantenuto sino al DSM-IV ed eliminato nel DSM-V.
Questo sistema permetteva di valutare I pz lungo 5 dimensioni:
-ASSE I, preposto alla diagnosi delle sindromi cliniche
-ASSE II, preposto alla valutazione delle condizioni psicopatologiche e del
ritardo mentale
-ASSE III, per la rivelazione delle condizioni mediche generali del pz
-ASSE IV, per I problemi psicosociali e ambientali cui il pz è esposto
-ASSE V, per la valutazione del funzionamento globale
Quella del DSM è una nosografia descrittiva che basa la diagnosi
sull’identificazione di segni e sintomi osservabili dal clinico o autoreferiti
dal pz, al fine di ridurre al minimo sia l’interpretazione soggettiva sia il
ricorso a costrutti non operazionalizzabili.i criteri del DSM non forniscono,
però, informazioni sufficienti sul funzionamento complessivo del pz e sugli
eventi rilevanti della sua vita e, di conseguenza, possono non esserci d’aiuto
nel capire il trattamento più adatto da eseguire.
Il DSM-5: più rigoroso. Non viene più valutata solo la presenza/assenza dei
sintomi, ma anche la loro gravità, intensità e frequenza (modello ibrido).
Definizione del disturbo mentale: “sindrome caratterizzata da un’alterazione
clinicamente significativa nella cognizione, nella regolzaione emotiva o nei
comportamenti che riflette una disfunzione nei processi psicologici,
biologici o evolutivi sottostanti il funzionamento mentale. Il DSM.5 basa la
diagnosi su un unico asse, frutto dell’integrazione degli Assi I, II e III. Il
DSM-5 è organizzato in 3 sezioni:
-La Sezione I, principi fondamentali, fornisce un orientamento generale
rispetto agli scopi, alla struttura, al contenuto e all’impiego del DSM-5.
-La Sezione II, Criteri diagnostici e codici, è dedicata alla descrizione dei
quadri clinici e psicopatologici.
-La Sezione III, Proposte di nuovi modelli e strumenti di valutazione,
comprende le scale di valutazione dimensionali, il WHODAS,un modello
alternativo per diagnosticare I disturbi e le condizioni psicopatologiche che
necessitano ulteriori studi.
Con la pubblicazione del DSM-5 (2013) tramonta la distinzione tra disturbi
di Asse I e disturbi di Asse II. Il DSM-5 raggruppa tutti I disturbi mentali in
un’ unica sezione, li presenta seguendo un ordine di esposizione basato
sull’età d’esordio e arricchisce le loro descrizioni cliniche con informazioni
relative alle differenze tra I generi. Tratta quindi prima le sindromi a esordio
molto precoce, poi quelle che si manifestano più frequentemente in
adolescenza e nella prima età adulta e termina con la presentazione dei
disturbi con esordio generalmente tardivo. Nel DSM-5 le macrocategorie
diagnostiche sono passate da un totale di 16 a un totale di 22.
La Sezione III comprende le scale di valutazione dimensionali, per indagare
in modo più dettagliato il grado di gravità e compromissione dei domini “a
rischio”; il WHODAS, la scala utilizzata dall’OMS per valutare il grado di
disabilità dei soggetti affetti da disturbo mentale; un modello alternativo per
la diagnosi dei d.p (6 disturbi: d.p evitante, antisociale, borderline,
narcisistico, ossessivo-compulsivo e schizotipico). Secondo il DSM-5,
condizione necessaria ma non sufficiente per diagnosticare un d.p è la
presenza di una moderata o grave compromissione del funzionamento della
personalità in due domini specifici, il Sè e quello interpersonale. Il grado di
compromissione del funzionamento è valutato lungo un continuum che va da
0 (poca o nessuna compromissione) a 4 (estrema compromissione). Un
livello di compromissione da moderato in poi nel funzionamento della
personalità è indicativo della presenza di un disturbo.
+ICD-10: è la classificazione internazionale delle patologie promossa
dall’OMS. Considera la salute come “uno stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale e non semplicemente come assenza di malattia o
infermità”. L’ICD-10 propone una diagnosi di tipo descrittivo e ateoretico e
prevede la valutazione della patologia su un unico asse. Si limita a
presentare I disturbi sotto forma di breve vignetta clinica cui la
presentazione del paziente può assomigliare in grado maggiore o minore. Il
clinico deve semplicemente chiedersi se il pz presenta un quadro simile al
prototipo di disturbo descritto dal manuale.
+PDM: Manuale diagnostico psicodinamico, è un approccio nosografico-
descrittivo più attento alla comprensione dinamica del pz, mira a
promuovere un’integrazione tra una conoscenza nomotetica e una
idiografica dell’individuo utile alla diagnosi, valutazione e progettazione
degli interventi. Il PDM mosta un’attenzione alla diagnosi come risultato di
osservazioni, interazioni e ragionamenti capaci di organizzare e dare un
senso al complesso intreccio di segni, sintomi, tratti di personalità, risorse e
potenzialità di un individuo. Considera la comorbilità una regola. Altro
presupposto fondamentale è l’idea che la personalità sia il contesto entro cui
prende forma, si sviluppa e assume significato la psicopatologia del pz. In
altri termini, il PDM sa che le implicazioni diagnostiche e terapeutiche di un
disturbo clinico variano in base alle caratteristiche di personalità del pz, alle
sue capacità di funzionamento mentale, alla sua età e al suo modo di vivere e
affrontare gli eventi. Esso si articola in 3 sezioni:
-Diagnosi in età adulta
-Diagnosi in età evolutiva
-Contributi teprici e metodologici più importanti alla base dell’approccio
diagnostico proposto dal PDM
La personalità è il contenitore entro cui prende forma la manifestazione delle
diverse sindromi: 3 ASSI
-Asse P: preposto alla valutazione del livello di organizzazione e dei disturbi
di personalità. Si ispira al modello di Kernberg e articola il funzionamento di
personalità su tre livelli : sano, nevrotico e borderline (alto più vicino al
registro nevrotico, basso più vicino a quello psicotico). L’attribuzione di un
dato livello di funzionamento dipenderà dal grado di compromissione o
funzionamento di 7 capacità:
1.Identità
2.Relazioni oggettuali
3.Tolleranza degli affetti
4.Regolazione degli affetti
5.Integrazione del super io, ideale dell’io, io ideale
6.Esame di realtà
7.Forza dell’io e resilienza
Dopo aver valutato il funzionamento di personalità del pz, il clinico
dovrebbe valutare il grado di somiglianza con I diversi tipi di disturbi di
personalità descritti nell’asse P.