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IL LAVORO A PROGETTO

Ogni attività umana può essere svolta sia in forma autonoma che subordinata: l’una o l’altra

qualificazione dipenderà da come tale attività è stata , IN CONCRETO, resa (Principio generale

Cassazione in materia di Lavoro). Perché distinguiamo tra lavoro autonomo e lavoro subordinato?

Questa distinzione è importantissima, poiché solo al lavoro subordinato si applica la disciplina

protettiva che caratterizza il diritto del lavoro. La definizione di lavoratore subordinato come “colui

che si obbliga mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro

manuale o intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore” ci da motivo di

pensare che la subordinazione consista nel fatto che il lavoratore debba osservare le direttive

impartite dal suo datore di lavoro in modo continuativo.

Tuttavia questi elementi e la volontà delle parti di stipulare un certo tipo di contratto dove le parti stesse danno atto del

fatto che c’è o meno subordinazione, non sono decisivi ed essenziali in una controversia giudiziaria, perché il giudice

del lavoro può far prevalere la situazione di fatto a quella di diritto.

Il lavoro parasubordinato è definibile come un lavoro quasi subordinato, cioè un rapporto di lavoro

che è giuridicamente autonomo ma che dal punto di vista economico-sociale assomiglia più ad un

lavoro dipendente che ad uno autonomo. In pratica il collaboratore presta la propria attività

lavorativa a favore di un committente senza essere suo dipendente (quindi in maniera autonoma),

ma tale attività è coordinata con quella del committente ed è svolta in maniera continuativa.

La conseguenza di questa particolare classificazione della tipologia di lavoro è che i lavoratori

parasubordinati beneficiano di tutele in genere riservate ai lavoratori dipendenti.

Il lavoro subordinato nasce nel 1973 con la legge n.533. Ma è dal punto 3 dell’articolo 409 c.p.c.

che da una definizione (l’unica) di lavoro parasubordinato:”rapporti di collaborazione, che si

concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche

se non a carattere subordinato”.

il co.co.co. (collaborazioni-coordinate-continuative) sono rapporti di lavoro certamente

autonomi ma di un’autonomia “affievolita” che merita l’estensione di una minima parte delle

garanzie che la legge attribuisce al dipendente.

Il co.co.co. fin dalla sua nascita ebbe un grande successo imputabile esclusivamente alla crescente

consapevolezza, maturata dai potenziali datori di lavoro, in ordine alla capacità di questa figura

contrattuale di rappresentare una comoda alternativa al lavoro subordinato. Infatti le co.co.co. hanno

offerto sensibili convenienze quanto a oneri sociali (contributi), quanto a definizione del trattamento

economico, quanto a tutele assistenziali (si pensi alla carente protezione in caso di malattia, ecc.),

quanto a modalità di risoluzione del rapporto (non sussistendo le condizioni pesantemente limitative

poste per le ipotesi di licenziamento) e così via.

Proprio per i motivi sopra esposti questa tipologia di rapporto di lavoro venne largamente

saccheggiata (uso fraudolento, cioè in frode alla legge, del co.co.co.), perché determinando minori

oneri per il committente (datore di lavoro), era stata spesso utilizzata dai datori per mascherare veri

e propri rapporti di lavoro subordinati (le co.co.co. sono servite a dare una veste giuridica di

comodo a rapporti di lavoro propriamente subordinato).

Il legislatore dell’enorme successo, nonché del conseguente abuso dei co.co.co. se ne accorge e

decide di intervenire cominciando ad estendere tutele anche ai collaboratori (anche se di molto

minori a quelle dei lavoratori subordinati). Ciò che fece il legislatore fu quello di creare una

apposita gestione separata presso l’INPS, destinata a riconoscere ai collaboratori una minima tutela

previdenziale (essa veniva finanziata da contributi posti a carico per due terzi del committente e per

un terzo dello stesso collaboratore nella misura prevista dalla legge). Tale gestione separata

prevedeva: un’indennità di malattia giornaliera a carico dell’INPS più estesa; un’indennità di

maternità pari all’80% del reddito medio giornaliero per i due mesi prima e i tre mesi dopo il parto;

il trattamento economico per congedo parentale (parto, adozione o affidamento); la copertura

assicurativa per i casi di infortunio e malattia professionale; gli assegni per il nucleo familiare.

La vera svolta si ha nel 2003 con un decreto emanato in virtù della cosiddetta “legge Biagi” (d.lgs.

276/2003), il nuovo regime introduce infatti una serie di principi destinati a ridurre fortemente

l’utilizzabilità dei co.co.co. (contenimento del ricorso a questa figura).

con il decreto legislativo 276 del 2003 sono state ridefinite le vecchie collaborazioni coordinate e

continuative, rinominandole “collaborazioni a progetto”.

La svolta della riforma è stato rendere ammissibili i collaboratori solo nel caso essi siano

riconducibili “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal

committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del

coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato

per l’esecuzione dell’attività lavorativa” (articolo 61).

Quindi i rapporti di lavoro parasubordinato devono essere riconducibili a uno o più progetti

determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del

risultato, con la conseguenza che la mancata indicazione di uno specifico progetto

determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Si è comunque di fronte ad una collaborazione coordinata e continuativa, ma le parti qui vengono

a fissare un certo risultato ben determinabile. In realtà, la distinzione principale tra co.co.co. e

co.co.pro. non è tanto nel progetto, ma sta nel fatto che il lavoro a progetto è necessariamente a

termine, cioè a tempo determinato.

Quindi il contratto di lavoro a progetto è da considerarsi una species del contratto di co.co.co., in

quanto si compone degli elementi della fattispecie proprie delle “vecchie” collaborazioni

(coordinamento, continuatività, personalità della prestazione), con l’aggiunta obbligatoria del

progetto. Esso consiste nell’identificazione dell’obbiettivo (o risultato) perseguito tramite

l’attività del collaboratore, per cui si risolve nell’oggetto dell’obbligazione lavorativa dedotta in

contratto.

Le più vistose novità portate dalla disciplina si sono tradotte:

a) nella necessaria riconducibilità dei rapporti di co.co.co. a uno o più progetti specifici

determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve

essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una

mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento

con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiego per

l’esecuzione dell’attività lavorativa.

A rafforzare il requisito del progetto contribuisce, infine, un dispositivo sanzionatorio molto

incisivo secondo il quale i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa senza

l’individuazione di uno specifico progetto (o eseguiti con prestazione di attività diverse da

quelle previste nel progetto) sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo

indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (si veda la lettera g).

Sono esonerati dal requisito del progetto soltanto particolari ipotesi di collaborazione

tassativamente elencate (per que\ste figure sopravvivono le “vecchie” co.co.co.):

- gli agenti e rappresentanti di commercio

- i professionisti intellettuali iscritti ad appositi albi professionali (ma soltanto quando la

collaborazione sia riconducibile alle attività tipiche dell’albo: art.1, comma 27 legge n.

92/2012)

- i pensionati di vecchiaia

- gli amministratori e i sindaci di società

- i collaboratori occasionali impiegati per meno di 30 giorni complessivi nell’anno solare con

lo stesso committente e comunque con un reddito da lavoro non superiore a 5.000 euro netti

annui.

b) nel fatto che una collaborazione non può dirsi occasionale se ha una durata complessiva

superiore ai 30 giorni nel corso dell’anno solare (240 ore nell’ambito dei servizi di cura e

assistenza alla persona) con lo stesso committente e/o quando il compenso

complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5.000 euro.

Quindi in sostanza se si superano i 30 giorni e/o i 5.000 euro un anno solare bisogna

stipulare per forza un co.co.pro.

c) nella imposizione di precisi obblighi formali, del tutto assenti nel precedente regime; il

nuovo contratto di lavoro a progetto deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere

ad probationem (ai fini della prova e non a pena di nullità, cioè se tali elementi mancano il

contratto non è nullo, ma nascono solo dei limiti ai fini della prova), i seguenti elementi:

- l’indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro

- descrizione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo

contenuto caratterizzante (che viene dedotto in contratto)

- il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di

pagamento e la disciplina dei rimborsi spese

- le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche

temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da

pregiudicare l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa

- le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore e progetto

Mentre si può dire che nel contratto di lavoro non è richiesta una forma particolare, almeno

che la legge non lo richieda espressamente, per i co.co.pro. è richiesta una forma scritta

obbligatoria.

d) Nella previsione della necessaria proporzionalità del corrispettivo alla qualità e quantità

del lavoro eseguito (tenuto conto della eventuale contrattazione collettiva specifica).

e) Nella introduzione di un regime, seppure debole, di parziale conservazione del rapporto in

presenza di eventi impeditivi della prestazione (gravidanza, malattia e infortunio).

Si ha quindi per i co.co.pro. l’estensione delle tutele minime per malattia, gravidanza e

infortunio, perché in questi casi non si procede all’estinzion

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
17 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher iure notes di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia o del prof Tampieri Alberto.