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Spesa (o domanda) aggregata = C + I + G + NX
Siccome la spesa totale in beni e servizi non è altro che il reddito (PIL) di una nazione avremo anche:
PIL = C + I + G + NX
Oppure, per semplicità, come abbiamo detto:
PIL = C + I + G
La funzione di consumo C
Graficamente la funzione di consumo, corrispondente alla componente C vista sopra, può essere rappresentata in questo modo:
Il grafico della spesa delle famiglie di consumatori si spiega con pochi punti:
- C'è una spesa iniziale autonoma (l'intercetta sull'asse delle ordinate), che configura un consumo di sussistenza, il quale non risente di altre variabili, perché rappresenta la domanda di beni che comunque si rivolge al mercato.
- La domanda di consumo dei cittadini è direttamente proporzionale al reddito (cioè cresce al crescere del reddito), perché all'aumentare della ricchezza nazionale è verosimile ipotizzare che cresce anche il tenore di vita e quindi,
Perché maggiore è il reddito e maggiori sono gli investimenti che le imprese intendono realizzare. Quindi, anche la curva degli investimenti sarà crescente, come quella dei consumi. Ma nel caso degli investimenti non è importante la relazione di I con il reddito (tant'è vero che per semplicità possiamo considerare, nel proseguo della trattazione, la curva di I costante e dunque orizzontale), bensì la relazione degli investimenti I con il mercato della moneta.
Come abbiamo visto nella lezione precedente, gli investimenti sono in stretta relazione con il tasso d'interesse (in particolare sono in relazione inversa) e quest'ultimo è determinato dal mercato della moneta. Inoltre, ricordiamo, che l'offerta di moneta è decisa dalla Banca Centrale.
Ecco dunque che gli investimenti costituiscono l'anello di trasmissione della PM della Banca Centrale. Attraverso le operazioni di mercato aperto e la conseguente
maggiore o minore offerta di moneta, la Banca d'Italia (o, adesso, quella europea) riesce a spostare la curva degli investimenti e, quindi, a aumentare o ridurre la domanda aggregata (di cui I è una componente).
In particolare, la BC aumenta l'offerta di moneta (mediante il processo del moltiplicatore monetario) quando vuole aumentare la domanda aggregata ed il PIL (perché la curva di I si alza nel grafico), mentre diminuisce l'offerta di moneta quando vuole diminuire la domanda aggregata ed il PIL (perché la curva di I si abbassa nel grafico).
La PM dunque, nella costruzione keynesiana, agisce sul reddito d'equilibrio tramite gli investimenti delle imprese, che risentono di tutto il processo d'aggiustamento del mercato monetario, avviato da una variazione iniziale di base monetaria.
Reddito d'equilibrio
Dopo aver visto come è formata la domanda aggregata (da C + I + G), andiamo a studiare l'equilibrio keynesiano del reddito.
Per adesso, semplifichiamo l'analisi non considerando la spesa pubblica G. Nella teoria keynesiana è la domanda aggregata che determina il reddito e la produzione. La condizione d'equilibrio sul mercato dei beni è, quindi, semplicemente espressa dall'espressione:<p>Reddito = Domanda aggregata</p>
Il grafico che esprime l'equilibrio è, di conseguenza, il seguente, dove la domanda aggregata è formata dalla somma dei consumi delle famiglie e degli investimenti delle imprese (C + I):
<img src="grafico.png" alt="Grafico equilibrio">
In figura, il punto E è quello che indica l'uguaglianza fra domanda aggregata e reddito. Infatti, per evidenziare quest'uguaglianza è stata tirata una bisettrice dell'angolo d'origine degli assi. La bisettrice ha la particolarità di dividere l'angolo in 2 parti uguali (di 45 gradi), per cui tutti i punti su di essa hanno la caratteristica di essere equidistanti dai due assi e quindi di esprimere la stessa grandezza per le 2.
variabili (reddito e domanda aggregata) che gli assi stessi misurano. Con questa doverosa precisazione, possiamo capire perché il punto E, d'intersezione della dom. aggregata con la bisettrice, rappresenta il punto che esprime l'uguaglianza fra dom. aggregata e reddito e, di conseguenza, l'equilibrio stabile del mercato dei beni.
La quantità Q* configura il valore della produzione o reddito nazionale (PIL) d'equilibrio, mentre la quantità Qp indica la produzione di pieno impiego dei fattori produttivi.
Evidenziamo le conclusioni che si traggono da quest'impostazione di Keynes:
- Il mercato dei beni tende ad E, e quindi al valore della produzione Q*, perché se la produzione fosse più bassa di Q* (perciò per valori a sinistra di Q*), ci sarebbe un "eccesso di domanda" (la dom. aggregata sarebbe più alta della bisettrice che esprime la produzione reale di beni), per cui i produttori avrebbero
- L'equilibrio economico (sul mercato dei beni) di Keynes non è necessariamente un equilibrio di piena occupazione, come invece dicevano gli economisti classici. Ciò è dimostrato dal fatto che Q* è inferiore (anche di molto) a Qp, che è il reddito di pieno impiego.
- Il punto precedente evidenzia la necessità,da parte dello Stato, di intervenire in economia, quando si presentano situazioni, come quella descritta dal grafico, di equilibri di sottoccupazione. L'intervento dei pubblici poteri può avvenire tramite la PM, la quale, mediante la regolazione dell'offerta di moneta (così come abbiamo visto nella lezione precedente), varia la quantità di investimenti "I" e, quindi, sposta la domanda aggregata, di cui gli investimenti sono una componente (C + I). Secondo Keynes, tuttavia, il necessario intervento in economia dello Stato si deve attuare attraverso politiche fiscali e spesa pubblica, perché esse sono maggiormente efficaci per variare la domanda aggregata. Infatti, la spesa pubblica G è essa stessa parte della domanda aggregata, per cui aumentando G, la domanda aggregata si alza nel grafico e ciò determina un maggiore livello della produzione d'equilibrio, più vicino a quello di piena occupazione, o, meglio ancora,
coincidente con esso.
- Un'ultima considerazione. Nella costruzione keynesiana, i prezzi e l'inflazione sono quasi del tutto ignorati. Questo perché nel periodo in cui la teoria keynesiana è stata elaborata, non era sicuramente l'inflazione il problema contingente, bensì quello opposto della profonda recessione da insufficienza della domanda aggregata. Keynes considera i prezzi ed il problema del loro aumento, solamente in un caso, quello nel quale l'equilibrio del sistema si forma al di là del livello di pieno impiego della produzione. In questa situazione, la maggiore domanda rispetto alla produzione reale di beni, non potendo essere soddisfatta da un aumento della produzione (che ha raggiunto il top), si riversa sui prezzi, determinando una loro crescita indiscriminata. Quindi, per Keynes, l'inflazione è giustificata solo nelle situazioni di pieno impiego, quando l'eccessiva domanda, non potendo aumentare le
un incremento dispesa pubblica, è maggiore dell'aumento iniziale di G. Questo perché l'aumento del reddito, conseguenza dell'incremento di G, porta all'aumento anche dei consumi C, i quali hanno una relazione direttamente proporzionale con il reddito (la funzione C è crescente al reddito). Ne consegue che l'effetto dell'aumento di G è maggiore della quantità di G aumentata, perché c'è anche l'effetto reddito sui consumi e dunque la domanda aggregata cresce sia per l'aumento di G, che per l'aumento di C. Questo processo di espansione del reddito molto al di là dell'incremento della spesa pubblica G, è noto come moltiplicatore del reddito. Quindi, la PF del governo è maggiormente efficace per combattere situazioni di recessione, soprattutto riguardanti la forza lavoro disoccupata. Volendo dare una grandezza numerica al moltiplicatore del reddito: Moltiplicatore =
La formula da utilizzare è:
1 / (1 - PMC)
dove PMC è la propensione marginale al consumo, cioè quanta parte di 1 lira (o 1 euro) è destinata al consumo di beni.