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Effetti della svalutazione della moneta
Contemporaneamente, se il cambio dollaro/euro è 0,8, ne consegue che il rapporto euro/dollaro è 1,25 (1/0,8): un bene prodotto negli Stati Uniti di costo 100 dollari, prima costava 100 euro al consumatore europeo, ora costa 125 euro. Dunque i beni americani diventano più costosi per il consumatore europeo che quindi è disincentivato dal comprarli: è facile prevedere una riduzione delle importazioni. Quindi svalutare la moneta nazionale (nell'esempio la moneta europea) comporta un aumento delle esportazioni nette e quindi del reddito nazionale. Anche qui c'è però una controindicazione: vi possono essere beni esteri la cui domanda è rigida, che cioè varia poco al variare del prezzo. Possono essere, ad esempio, beni necessari alla produzione e non facilmente sostituibili con beni interni. Per tali beni, se c'è una svalutazione della moneta interna, il prezzo aumenta ma la domanda rimane immutata.
L'effetto complessivo è un aumento del livello dei prezzi (effetto inflazionistico) senza una significativa riduzione delle importazioni. Propriamente bisogna distinguere tra svalutazione e deprezzamento: il primo termine si utilizza se vi sono cambi fissi amministrati tra le monete e dunque il cambio viene stabilito ad un certo livello in base ad accordi tra i rispettivi governi o autorità monetarie: si ha una svalutazione quando l'autorità competente di un certo paese decide di fissare il livello del tasso di cambio ad una quota più bassa (ci vuole meno moneta estera per comprare una unità di moneta interna). Il secondo termine si utilizza quando i cambi sono fluttuanti e dunque il cambio si determina giorno per giorno secondo la domanda e l'offerta delle monete: si ha un deprezzamento di una certa moneta quando sul mercato si determina un tasso di cambio più basso per tale moneta; anche nel secondo caso, però, le banche.Le centrali possono intervenire variando la quantità di moneta presente sul mercato e quindi facendo variare il tasso di cambio. Il cambio dollaro/euro è un cambio fluttuante, quindi nell'esempio fatto sarebbe più corretto parlare di deprezzamento.
In presenza di beni d'importazione a domanda rigida non è neppure certo che svalutando migliori la bilancia commerciale (la differenza tra esportazioni ed importazioni) ed aumenti il reddito nazionale. Bisogna infatti considerare che l'equazione del reddito nazionale è espressa in valore, dunque le quantità fisiche vanno moltiplicate per i rispettivi prezzi. Dunque, quando aumentano i prezzi delle merci importate, come accade se la moneta si svaluta, è vero che si riduce (tendenzialmente) la quantità dei beni importati, ma aumenta il loro prezzo: l'effetto complessivo può essere un
Anche in questo caso un esempio sarà molto utile: il petrolio è una
fonte di energia essenziale e non è sostituibile (non facilmente, almeno) con fonti energetiche interne, quindi la domanda di questo bene non si ridurrà (o si ridurrà molto poco) anche se aumenta il suo prezzo. Il prezzo internazionale del petrolio è espresso in dollari, quindi se l'euro si svaluta rispetto al dollaro, il prezzo in euro del petrolio aumenta. Ora, se ciò accade, aumenta anche il prezzo di tutti i derivati del petrolio che vengono utilizzati per la produzione dei beni. Aumentano dunque i costi di produzione delle imprese che, per mantenere invariati i profitti, venderanno i loro beni a prezzi più alti. C'è dunque un fenomeno inflazionistico, per di più non compensato da un effetto benefico sulle esportazioni nette con una riduzione delle importazioni, perché, essendo fonti energetiche essenziali e non sostituibili, i derivati del petrolio continueranno ad essere consumati sostanzialmente nella stessa quantità.quantità. È importante notare che anche le politiche monetarie che abbiamo definito "interne" hanno conseguenze "esterne": un aumento del TUS comporta un aumento anche dell'interesse garantito dai titoli di stato; ciò li rende maggiormente appetibili per investitori esteri e quindi si verifica un positivo afflusso di capitali e di valuta straniera, che può servire a reintegrare le riserve detenute dalla Banca Centrale. Naturalmente se un aumento del TUS viene effettuato proprio per questo scopo bisogna tenere conto degli effetti depressivi sul reddito nazionale di una tale politica. Politiche fiscali Le politiche fiscali sono di competenza del governo. Esso può regolare sia la spesa pubblica sia l'imposizione fiscale. L'effetto di una variazione della spesa pubblica è facilmente visibile dall'equazione del reddito nazionale: un aumento della spesa pubblica (G) comporta un aumento del reddito, il contrario.Una riduzione. Facilmente intuibile è l'effetto di una variazione dell'imposizione fiscale: un aumento delle tasse riduce il reddito disponibile dei cittadini e dunque riduce i consumi; viceversa una riduzione delle tasse aumenta il reddito disponibile e quindi aumenta i consumi.
È dunque facilmente comprensibile che si parla di politica fiscale espansiva in caso di aumento della spesa pubblica e/o di riduzione dell'imposizione fiscale, di politica fiscale restrittiva nel caso di una riduzione della spesa pubblica e/o di aumento dell'imposizione fiscale.
È di fondamentale importanza osservare che attuare una politica fiscale espansiva ha un'importante controindicazione: essa aumenta il disavanzo di
Il bilancio pubblico è un documento che indica la situazione finanziaria di uno Stato o di un ente pubblico. Si ha un disavanzo di bilancio quando le uscite annuali superano le entrate. In altre parole, se le spese pubbliche aumentano, le uscite aumentano, mentre se le imposte diminuiscono, le entrate diminuiscono. La somma dei disavanzi annuali costituisce il debito pubblico, che quindi aumenta. Al contrario, una politica fiscale restrittiva migliora la situazione del bilancio pubblico. Per questo motivo, in caso di forti squilibri di bilancio, il governo può decidere di attuare una politica fiscale restrittiva, nonostante gli effetti negativi sul reddito.
Va osservato che anche la politica monetaria ha effetti sul bilancio pubblico. Il bilancio pubblico è composto da due componenti. La prima è l'avanzo primario, che rappresenta la differenza tra le entrate da imposte e le uscite per spese pubbliche, escludendo gli interessi sul debito pubblico. La seconda componente è rappresentata dagli interessi sul debito pubblico, che sono influenzati dalla politica monetaria. Pertanto, le decisioni prese dalla banca centrale riguardo ai tassi di interesse possono avere un impatto significativo sul bilancio pubblico.
correnti”; se le uscite superano le entrate si ha un valore negativo, dunque un disavanzo), la seconda è una componente negativa data dalle uscite derivanti dal pagamento di interessi sul debito pubblico, cioè gli interessi che lo stato deve pagare sui titoli di stato; ebbene, se a seguito di un aumento del TUS vi è un aumento del tasso di interesse, lo stato si troverà a pagare una quantità più elevata di interessi sul debito, con un conseguente peggioramento del disavanzo.
L’effetto qui descritto è quello delle imposte sul reddito. Naturalmente vi sono altri tipi di imposta, ad esempio quelle che gravano sugli utili d’impresa o sul costo del lavoro: una riduzione di queste imposte può comportare maggiori incentivi all’investimento.
Vi è però un effetto di lungo periodo opposto: un aumento della spesa pubblica comporta nell’immediato un aumento delle uscite dalle casse dello stato,
però comporterà, dopo un certo lasso di tempo, anche un aumento di reddito; ora, le entrate fiscali sono date da una percentuale del reddito (aliquota fiscale x reddito): poiché il reddito aumenterà, aumenteranno anche le entrate fiscali. Quindi le maggiori uscite (date dall'aumento della spesa pubblica) saranno poi compensate da un aumento delle entrate. È estremamente difficile prevedere se la compensazione sarà completa. Poiché le maggiori uscite si verificano "ora" e le maggiori entrate si verificano "poi" è importante l'orizzonte temporale su cui il governo decide di agire.
5di bilancio e quindi del debito pubblico. Il contrario avverrà in caso di una riduzione del7TUS . Politiche commerciali
Abbiamo visto come, tramite politiche monetarie "esterne", sia possibile agire sull'ultima componente dell'equazione del reddito nazionale, le esportazioni nette.
realtà una svalutazione del cambio non è una politica di carattere strutturale e può essere considerata una sorta di "scorciatoia" per accrescere la competitività internazionale dei prodotti nazionali. La competitività si fonda su fattori sia di qualità che di prezzo. Una svalutazione della moneta ha come conseguenza la sola riduzione del prezzo di vendita internazionale del bene, mentre una politica di lungo periodo, dunque di carattere strutturale, mira a ridurre il costo di produzione del bene stesso, lasciandone inalterata la qualità: ciò può avvenire unicamente tramite il progresso tecnologico. Ma la competitività internazionale dei prodotti nazionale può basarsi anche sul fattore qualità: a parità di prezzo o anche con un prezzo più alto dei competitori internazionali i beni interni possono essere competitivi sul mercato mondiale grazie alle loro caratteristiche superiori.termini di tecnologia, design, ecc. Accrescere la qualità, senza incrementare troppo il prezzo, è anche in questo caso questione di progresso tecnologico, il quale può essere ottenuto soltanto se si attuano politiche di lungo periodo (ad esempio investimenti in ricerca, formazione, ecc.). Un altro strumento possibile per il controllo delle variabili del commercio internazionale sono le misure protezionistiche sulle importazioni (dazi, tariffe, barriere). Cerchiamo di capire il legame tra bilancio primario e interessi sul debito da un lato e debito pubblico dall'altro. Poniamoci in un ipotetico "anno zero". Supponiamo che nel corso di quest'anno lo stato effettui spese per 300 (ad es. opere pubbliche, pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, ecc.) ed abbia entrate derivanti dalle tasse per 200: ci sarà dunque un disavanzo di 100. Lo stato deve cioè pagare 300 di spese avendo in cassa soltanto 200. La soluzioneLa debito pubblico è rappresentata dalla vendita di titoli di stato per 100: i cittadini "prestano" 100 allo stato acquistandone i titoli. Lo stato, dal canto suo, si impegna a restituire i 100 alla scadenza dei titoli (supponiamo che siano triennali, dunque all'anno).