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Per riassumere, potete pensare alla produzione aggregata -Pil- in tre modi diversi ma equivalenti:
dal lato della produzione: il Pil è uguale al valore dei beni e servizi finali prodotti
nell'economia in un dato periodo di tempo;
sempre dal lato della produzione: il Pil è la somma del valore aggiunto nell'economia in un
dato periodo di tempo;
dal lato del reddito, il Pil è la somma dei redditi percepiti nell'economia in un dato periodo
di tempo.
Si usa lo stesso simbolo Y sia per indicare la produzione sia per il reddito. Questo non deve
creare confusione, perché abbiamo visto che reddito e produzione sono identicamente uguali:
sono due modi diversi di guardare al Pil – dal lato della produzione e dal lato del reddito.
2. Pil nominale e Pil reale
Il Pil nominale (nominale= termine per indicare le variabili espresse ai prezzi correnti) è la somma
delle quantità dei beni finali valutati al loro prezzo corrente. Questa definizione chiarisce che il Pil
nominale cresce nel tempo per due ragioni:
perché la produzione di molti beni cresce nel tempo;
perché il prezzo di molti beni cresce anch'esso nel tempo.
Se vogliamo misurare la produzione e le sue variazioni nel tempo, dobbiamo elimiare l'effetto
dell'aumento dei prezzi sulla nostra misura del Pil. A questo scopo si costruisce il Pil reale come la
somma delle quantità di beni finali valutati a prezzi costanti (invece che correnti).
Il Pil nominale è anche chiamato: Pil a valori o a prezzi correnti.
Il Pil nominale e le variabili misurate a prezzi correnti verranno invece indicate con il simbolo
dell'euro €
Per costruire il Pil reale dobbiamo moltiplicare il numero di auto prodotte ogni anno per uno
stesso prezzo.
Il Pil reale è anche chiamato: Pil a prezzi costanti, Pil in termini di beni, Pil aggiustato per
l'inflazione, Pil ai prezzi dell'anno X.
Il Pil reale sarà genericamente indicato con il termine “Pil” oppure con “Y” (per indicare il Pil reale
nell'anno t).
Il problema principale nella costruzione effettiva del Pil reale è che in realtà i beni finali sono più di
uno. Il Pil reale deve essere definito come media ponderata della produzione di tutti i beni finali e
questo solleva il problema di quali pesi usare.
3. Pil: livello o tasso di crescita?
Un paese con un PIL doppio rispetto a quello di un altro è economicamente due volte più grande di
quest'ultimo. Altrettanto o forse anche più importante è il livello del Pil reale pro capite, il Pil
reale
diviso per la popolazione del paese.
Per valutare l'andamento di un'economia da un anno all'altro, gli economisti consideriamo il tasso
di crescita del Pil reale, o crescita del Pil.
I periodi di crescita positiva del Pil sono chiamati espansioni, i periodi di crescita negativa del Pil
sono detti recessioni.
La crescita del Pil nell'anno t è costruita come: ( Y – Y ) \ Y
t t-1 t-1 .
Anche se non esiste una definizione ufficiale, la convenzione vuole che si parli di “recessione” se
l'economia registra almeno due trimestri consecutivi di crescita negativa. E' quindi possibile che in
un anno la crescita sia completamente positiva e che in quello stesso anno l'economia registri due
trimestri consecutivi di crescita negativa.
→ Un aumento del Pil nominale possa derivare da un aumento del Pil reale o da un aumento dei
prezzi. Se il Pil nominale aumenta più velocemente del Pil reale, la differenza è dovuta ad un
aumento dei prezzi.
4. Le principali variabili macroeconomiche: tasso di disoccupazione e di inflazione
In quanto misura della produzione aggregata, il Ppil è variabile macroeconomica più importante.
Ma altre due variabili, la disoccupazione e l'inflazione, rilevano aspetti altrettanto importanti
dell'andamento di un'economia.
Tasso di disoccupazione
L'occupazione è data dal numero di persone che hanno un lavoro.
La disaccupazione è costituita dal numero di persone che non hanno un lavoro, ma lo
stanno cercando.
La forza lavoro è la somma delle persone occupate e di quelle disoccupate:
L = N + U
forza lavoro = occupati + disoccupati
Il tasso di disoccupazione è definito come il rapporto tra il numero dei disoccupati e la
forza lavoro: u = U \ L
Solo chi è in cerca di lavoro è considerato disoccupato; coloro che invece non lavorano, ma
non stanno nemmeno cercando un lavoro, sono considerati fuori dalla forza lavoro. Quando
la disoccupazione è alta, alcune delle persone senza un lavoro smettono di cercarne uno e
quindi non sono più considerate disoccupate. Queste persone prendono il nome di
lavoratori scoraggiati.
Un aumento del tasso di disoccupazione di solito è associato a una riduzione del tasso di
partecipazione, definito come rapporto della forza lavoro sul totale della popolazione in età
lavorativa.
Gli economisti si preoccupano della disoccupazione anche perché essa segnala che
l'economia potrebbe non utilizzare in modo efficiente alcune delle sue risorse. Molti
individui che sarebbero disposti a lavorare non trovano un'occupazione: l'economia non sta
quindi utilizzando in modo efficiente le proprie risorse umane.
Tasso di inflazione
L'inflazione rappresenta un aumento sostenuto del livello generale dei prezzi, o semplicemente del
livello dei prezzi. Il tasso di inflazione è il tasso a cui il livello dei prezzi aumenta nel tempo. In
modo simmetrico, la deflazione è un significativa riduzione del livello dei prezzi; corrisponde a un
tasso di inflazione negativo.
Abbiamo due indici dei prezzi: il deflatore del Pil e l'indice dei prezzi di consumo.
Il deflatore del Pil (nell'anno t) → definito come il rapporto tra il Pil nominale e Pil
reale nell'anno t; esso dà il prezzo medio dei beni inclusi nel Pil, cioè dei beni finali
prodotti nell'economia:
Pil nominale nell'anno t
P = € Y \ Y
_______________________________ = i i
Pil reale nell'annto t
Uno dei maggiori vantaggi derivanti dal definire il livello dei prezzi in termini di deflattore
del Pil è che questa definizione implica una semplice relazione tra Pil nominale, Pil reale e
deflatore del Pil. Infatti, riordinando i termini dell'equazione precedente, otteniamo:
€ Y = P Y
i i
l'indice dei prezzi → si usa per misurare il prezzo medio al consumo, il cosiddetto
“costo della vita” (IPC); esso è fissato pari a 100 nel periodo scelto come base
(attualmente il 2013) e quindi il suo livello non ha un significato in termini assoluti.
Nel gennaio 2012 l'IPC nell'area dell'euro era pari a 117,4, ciò significa che rispetto
al 2013 uno stesso paniere di beni e servizi costava 17,4% in più.
Ecco che:
l'IPC e il deflatore del Pil si muovono quasi sempre insieme. Nella maggior parte degli anni,
infatti, i due tassi di inflazione differiscono meno dello 0,5%;
esistono delle eccezioni alla pima conclusione;
assumeremo che i due indici si muovano nella stessa direzione, pertanto non
distingueremo tra i due se non per analizzare nel dettaglio le loro differenze, pertanto
parleremo semplicemente di livelli di prezzi (P ), senza indicare se avremo in mente l'IPC o il
i
deflattore del Pil.
Perché gli economisti si preoccupano dell'inflazione? Se un'elevata inflazione significasse
semplicemente un incremento proporzionale di tutti i prezzi e salari – un fenomeno noto come
inflazione pura – essa non sarebbe altro che un piccolo inconveniente per i consumatori, dal
momento che i prezzi relativi non ne sarebbero affatto influenzati.
Il salario reale è il salario misurato in termini di beni anziché euro; esso durante l'inflazione
variano come i prezzi (es. 10%) → l'inflazione non sarebbe del tutto irrilevante, perché le persone
dovrebbero comunque tenerne conto nel prendere le loro decisioni di spesa, ma questo non
giustificherebbe un controllo serrato del fenomeno da parte delle autorità monetarie.
Ecco che l'inflazione pure non esiste:
durante le fasi inflattive, non tutti i prezzi e i salari aumentano proporzionalmente;
l'inflazione influenza pertanto la distribuzione del reddito.
L'inflazione crea altre distorsione; le variazioni dei prezzi relativi generano anche un clima di
maggiore incertezza, rendendo più difficile per le imprese prendere decisioni sul futuro,
come quelle sugli investimenti produttivi. Inoltre il sistema fiscale interagisce con
l'inflazione le distorsiono.
6. Breve, medio e lungo periodo
Che cosa determina il livello di produzione aggregata di un'economia?
Dipende se consideriamo il breve, medio, lungo periodo.
Breve periodo: le variazioni annuali della produzione sono dovute soprattutto a variazioni
della domanda le quali possono derivare da cambiamenti nella fiducia dei consumatori o da
altre fonti e possono portare a una riduzione della produzione (recessione) o ad un suo
aumento (espansione).
Medio periodo: l'economia tende al livello di produzione determinato da fattori relativi
all'offerta: lo stock di capitale, il livello della tecnologia, la dimensione della forza lavoro
(fattori che possono essere presi come dati perché non cambiano significativamente nel
breve periodo).
Lungo periodo: dobbiamo osservare e soprattutto capire il perché di cambiamenti del
capitale e della tecnologia, dobbiamo guardare a fattori quali il sistema di istruzione, il
tasso di risparmio e il ruolo del governo.
1.2 Pil, reddito e spesa
Nel precedente paragrafo si è visto che il PIL può essere misurato con il metodo del valore aggiunto
e con il metodo del reddito. Ma il PIL può essere calcolato anche con il metodo della spesa.
Nell’economia semplificata descritta sopra (quella con famiglie e due imprese, mugnaio e fornaio)
abbiamo che la spesa per beni finali è costituita esclusivamente da spesa per consumi, pari a € 40
(spesa delle famiglie per la farina) + € 100 (spesa delle famiglie per il pane). La spesa di € 10 per
l’acquisto di farina da parte del mugnaio non rientra né tra le spese di consumo delle famiglie, né
tra le spese di investimento del fornaio, in quanto la farina non costituisce un bene durevole ma è
interamente utilizzata nella produzione di una anno.
Con il metodo della spesa avremo quindi: PIL = 40 + 100 = 140
Detto altrimenti: poiché il PIL registra solo il valore dei beni e servizi finali e poiché questi ultimi
sono, nel nostro esempio, solo beni di consumo, il valore della spesa non potrà che essere pari al
valore dei beni di consumo.
Alla spesa per consumi delle famiglie bisogna