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LATINO GRECO INDOEUROPEO

feid- peith- *bheidh-

- tutte le sonore aspirate indoeuropee in posizione iniziale, in latino diventano [f]; quindi il latino ci

dice che all’inizio abbiamo una sonora aspirata, ma non ci dice esattamente quale: la lingua che

ce lo dice è il greco [quindi per il latino potremmo avere [bh] e [dh] (la velare [k] è più difficile che

diventi [kh]] che ci spinge verso la labiale [bh].

- le sorde aspirate greche ([th]) derivano dalle sonore aspirate ([dh]), che in corpo di parola, in

latino, perdono l’aspirazione ([d]); quindi si ricostruisce una [dh].

• SERIE APOFONICA INDOEUROPEA: *bheidh (normale), *bhid (ridotto), *bhoid(forte) [(attesta)]

Ricostruzione dall’indoeuropeo al greco:

- si parte da *bheidh- —> le due sonore aspirate diventano sorde aspirate: *pheith;

- con la legge di Grassman —> *pheith- diventa *peith- (che è la forma che abbiamo).

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• TEORIA LARINGALE (riguarda il vocalismo)

Quando si cominciò a parlare di indoeuropeo, siccome si considerava l’antico indiano la lingua più

vicina a quella indoeuropea, si postulò come vocale originaria la [a], cosa che presentava grossi

problemi perché poi non si capiva perché le altre lingue avessero sviluppato [e] ed [o] secondo lo

stesso modello, cioè e quasi impossibile andare dal semplice al complesso quando il complesso è

uguale in tutte le lingue; è evidente che è al contrario: è l’antico indiano che innova per quanto

riguarda il vocalismo perché [e] ed [o] dell’indoeuropeo diventano [a]. Nell’800 si pensava al

contrario, che l’indoeuropeo avesse solamente [a], questa [a] si fosse mantenuta nel sanscrito e

poi nelle altre lingue si fosse divisa in [a], [e] ed [o] —> ma questo non è possbile!

Venne fuori anche un’altra situazione un po’ strana: cioè si notarono alcune apofonie strane.

Per esempio: latino —> făci-o/fĕc-i (presente/perfetto); dō-num/dătus (“dono”/participio).

Queste sono apofonie strane perché se fosse un’apofonia quantitativa consueta, non si dovrebbe

avere “făc-”, ma dovremmo avere “fĕc-”; di contro non si dovrebbe avere “dătus” ma “dŏtus”.

Il verbo “dare” c’è anche nell’antico indiano: “da-dā-mi”. “dā”, corrisponde perfettamente alla radice

di “dō-num” (la ā diventa una ō nell’antico indiano). Il participio di questo verbo, cioè il corrispettivo

di “dătus” è “dĭtá”. Anche questa è un’apofonia strana, perché se fosse un’apofonia quantitativa

avremmo la “ă”.

Cioè se noi avessimo un’apofonia quantitativa normale “ō/ŏ”; nel latino non l’abbiamo perché

abbiamo “ō/ă”, nell’antico indiano dovremmo avere “ā/ă” (cioè ā diventa ō e ŏ diventa ă); ma

invece abbiamo “ā/ī”… Insomma, ci sono tutti questi fenomeni un po’ strani, che sono chiaramente

legati all’apofonia, ma non si riusciva a spiegarli.

Saussure, elaborò questa teoria in cui viene prospettata una nuova configurazione del vocalismo

indoeuropeo. Si era parlato di [a] come vocale originaria dell’indoeuropeo, ma Saussure dice che

la vocale originaria non ci interessa, bensì ci interessa la vocale fondamentale, ovvero la [e], che è

la vocale fondamentale dell’apofonia (grado normale, appunto).

Egli continua… Questa vocale [e], unendosi con quelli che chiama “coefficienti sonantici” (che

sono [a] ed [o]), dà luogo alle altre vocali: alla [a] e alla [o]. Li chiama coefficienti sonantici perché

nel frattempo Osthoff e Brugmann avevano attribuito all’indoeuropeo le sonanti, quindi per lui

queste [a] ed [o] si comportano come sonanti: possono stare davanti alla vocale e possono stare

da soli. La teoria di Saussure è fortemente innovativa ed è anche fortemente credibile, perché non

pretende di ricostruire la fase antica della lingua, ma si basa sull’apofonia che è un fenomeno ben

conosciuto e inoltre è un fenomeno di tipo grammaticale, perché serve per distinguere i tempi dei

verbi, il nome dal verbo ecc….

C’era un problema.. Che in effetti, con l’eccezione di [i] e di [u] (che sono le vocali estreme), la

teoria di Saussure non spiega la differenziazione fra [a], [e] ed [o]. E allora uno studioso

successivo, Muller, parlò non di due coefficienti sonantici, ma ne aggiunse un terzo; e quindi parlò

di [a], [e], [o], che chiamò “coefficienti laringali” (consonanti laringali e non sonantici).

Nel frattempo venne decifrato l’ittita (era scritto in cuneiforme) da Hrozný, nei primissimi del ‘900, e

venne fuori che laddove Muller e i suoi seguaci avevano postulato una laringale, nell’ittita c’era una

consonante laringale.

Teoria laringale classica (che parte da Muller ma in realtà e quella di Benveniste e Murilovic)

Ci sono tre laringali —> H₁, H₂ e H₃ che corrispondono ad [e], [a] ed [o].

- Dall’unione di H₁ con [e] si ha [ĕ]; (qui la vocale laringale H precede la

- Dall’unione di H₂ con [e] si ha [ă]; vocale fondamentale e quindi si ha come

- Dall’unione di H₃ con [e] si ha [ŏ]. esito vocali brevi)

[(quindi le tre laringali [ĕ], [ă] ed [ŏ] si preferisce chiamarli H₁, H₂ e H₃; la [e] è la vocale

fondamentale)]

Se la vocale laringale H segue la vocale fondamentale [e] si ha come esito le vocali lunghe:

- [e] + H₁ = [ē];

- [e] + H₂ = [ā];

- [e] + H₃ = [ō]

Il grado ridotto sarà *H₁, *H₂, H₃.

Le tre laringali nel grado ridotto (cioè da sole, che si comportano come sonanti) mantengono timbri

diversi solamente nel greco. Quindi:

- H₁ dà [e];

- H₂ dà [a];

- H₃ dà [o].

Nelle altre lingue le tre laringali darebbero tutte la stessa vocale, che normalmente è [a].

Nell’antico indiano, invece, questa vocale (delle tre laringali da sole) è [i].

Per cui se noi prendiamo: pater, patèr, fađer e pitàr possiamo ricostruire: *PH₂tér (: considerato

che abbiamo sempre [a] e nell’antico indiano abbiamo [i] si ricostruisce, per motivi legati ad altre

lingue, una H₂)

[Torniamo a dōnum/dătus:

per “dō” possiamo costruire la laringale H₃ —> quindi si ha dH₃num. Nel grado ridotto abbiamo

dH₃; questo dH₃ nel greco diventa “dŏ” e infatti l’equivalente di “dătus” è “dŏtos”.

Nel latino diventa “dă”, infatti abbiamo la [ă] di dătus.

Nell’antico indiano diventa [i], infatti abbiamo dĭtá.]

La parola per “osso” in latino è “os, ossis”, e in greco è “osteon”. Quindi si parte da “ost-”: con la

teoria laringale si ricostruisce: *H₃est (???). Nell’ittita, la parola corrispondente è “hàst-ai” (molto

spesso nell’ittita si trova una [a] (funziona come l’antico indiano)); quello che però ci interessa è la

laringale: perché nell’ittita si trova una laringale all’inizio di parola, esattamente nella stessa

posizione in cui l’aveva supposto la teoria. Quindi l’ittita sembrò essere la conferma della teoria

laringale, perché quelle laringali, che erano state solo supposte per motivi teorici, vennero trovate

nell’ittita una volta che fu decifrato.

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MUTAMENTO LINGUISTICO

Il mutamento può essere a livello fonologico, morfologico, lessicale, sintattico e semantico.

1. Mutamento fonologico

I fenomeni tipici del mutamento fonologico sono sostanzialmente 3:

- fonologizzazione;

- defonologizzazione;

- rifonologizzazione.

⤳ Per fonologizzazione si intende la creazione di un nuovo fonema (che prima non esisteva

nel sistema linguistico); più precisamente si ha fonologizzazione quando una variante cessa di

essere condizionata (non essendoci più il contesto condizionante) e diventa un fonema.

Esempio: [k] (latino), nel passaggio dal latino al francese, ha esiti diversi:

1) rimane [k] davanti a [o] —> fr. côte (costa);

2) diventa [ʃ] davanti ad [a] —> fr. chanter (cantare);

3) diventa [s] davanti ad [e] e ad [i] —> fr. cent (cento).

Fino a questo punto di tratta di varianti condizionate. Poi ad un certo punto succede che “al”

diventa [o] —> esempio: latino “calidus” (caldo) diventa “chaud” in francese (pronuncia chòud).

Quando [a] diventa [o], ci ritroviamo [ʃ] non solamente davanti ad [a], ma anche ad [o].

A questo punto, la presenza di [ʃ] non è più condizionata dalla presenza della [o], perché

possiamo trovare [ʃ] sia davanti ad [a] sia davanti ad [o], mentre prima davanti ad [o] si aveva

solamente [k]. Quindi non essendo più condizionante il contesto, [ʃ] è diventato un fonema, e

quindi non è più una variante.

Altro esempio di fonologizzazione molto famoso: nell’indoeuropeo, come si è detto, vi sono le

labiovelari, le velari pure e le velari palatali. Quindi la labiovelare sorda + [e] dà *kʷe, che è la

congiunzione “e”, quella che si trova nel latino come “que”. Inoltre si ha *kʷo, che è il pronome

relativo (è il “quod” latino). (nell’indoeuropeo questa è una coppia minima).

Ora, nell’antico indiano succede il fenomeno per cui le labiovelari perdono l’appendice labiale e

si fondono con le velari pure, e diventano quindi *ke e *ko. La [k], davanti ad [e], si anteriorizza

(la [e] è una vocale anteriore), quindi la [k] diventa [c], quindi si ha *ce —> [c] è ancora una

variante, in questo caso davanti a vocale anteriore [e] ed [i]) (così come *ki diventa *ci). *ko,

invece, rimane così (naturalmente davanti ad [o], [k] non si può anteriorizzare).

Poi succede il fenomeno dell’uniformarsi delle vocali, per cui [e] diventa [a], quindi *ce diventa

ca (lett. cià); [o] diventa [a], quindi *ko diventa ka.

- *ke e *ko sono una coppia minima opposta dalle vocali;

- ca e ka sono coppia minima opposta da consonanti, quindi [c] non è più una variante, ma è

diventata un fonema.

⤳ La defonologizzazione è il fenomeno contrario. In sostanza si ha quando si perde un

fonema, cioè quando due fonemi diventano uno solo. Un esempio è quello che succede

nell’antico indiano, dove nell’indoeuropeo [e] e [o] erano fonemi, ma nel primo sono divent

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/01 Glottologia e linguistica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher hardrockmetallover97 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Glottologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Aliffi Maria Lucia.