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L’ITALIANO DELLA PUBBLICITÀ.
Grafie, suoni, forme.
Le scelte grafiche risentono dei tentativi dei pubblicitari di attirare l’attenzione
dei destinatari del messaggio. Può essere una risposta a quest’esigenza la
scelta:
• di disattendere la divisione in sillabe, la separazione fra le lettere e le
parole (trus /sa / rdi; “Ci ncontriamo con Cin Soda”).
• Di replicare segni di punteggiatura (“volete la salute??? Bevete…) o
lettere (CAFFFè camerino, il caffè con tre effe”)
• Di trasformare un carattere, una serie di caratteri, un’intera parola o
espressione in un’immagine, o anche per il particolare lettering
adoperato, in un suggerimento d’immagine;
La componente fonica non è da meno di quella grafica. Amplificazioni e
riverberi sonori sono talora abilmente sfruttati a ripetere singoli fonemi
componenti il nome di marca (“Il sanadon fa la donna sana”, “Chino’l beve,
muore”). L’effetto di trascinamento indotto dalla seduzione fonosimbolica può
essere in molti casi davvero notevole nella scelta dei marchionimi, spesso
incaricati di “risvegliare suggestioni sedimentate nel nostro inconscio: quando
sentiamo pronunciare un nome l’esperienza che proviamo non è mai neutrale,
richiama bensì associazioni pregresse o relazioni con la sua realizzazione
fono-articolatoria”. In alcuni prodotti infantili il raddoppiamento di sillabe o
parti di sillabe ipostatizza la connotazione ludico-infantile dell’oggetto (TIC
TAC). Soluzioni che vedono la r preceduta da un’occlusiva o da una f, rendendo
bene il rumore della masticazione, si ritrovano nella denominazione di crackers,
biscotti (“Sbricioline”), etc. Per una serie di modelli di auto di media e grossa
cilindrata i nomi prescelti intendono suggerire l’idea di un rombo meccanico
(Astra, Vectra).
Relazioni tanto più solidi ed efficaci quanto più si provveda il nome del marchio
o del prodotto di opportuni “rinforzi” (“Brrrr.. Brancamenta). Non dissimili gli
effetti semantici di natura sonora che scaturiscono dalla deformazione del
corpo fonico di singole parole (Vetril, il puliziotto di casa” polizia-pulizia).
Sul versante morfologico a fare la parte del leone nella lingua pubblicitaria è il
superlativo assoluto, da sempre il più saccheggiato fra tutti gli espedienti
grammaticali funzionali allo scopo di magnificare un prodotto; interessante
anche il comparativo assoluto (Meglio Bosch, perché Bosch è migliore).
Lessico e formazione delle parole.
Uno dei procedimenti più frequentati dalla lingua pubblicitaria per esaltare le
qualità di un prodotto è la creazione di composti aggettivali e sostantivali il cui
primo elemento è un prefisso elativo, soprattutto –super, -extra, -ultra. Di
–super Migliorini ne aveva individuato il largo uso commerciale già negli anni
venti-trenta del novecento (superpandoro, superpomodori, superdissetante,
supermoderna, etc). Sia super sia gli altri prefissi pubblicitari risultano da
tempo poco produttivi all’interno del settore perché troppo inflazionati, e perciò
non più in grado di garantire al messaggio una sufficiente forza espressiva. Non
sono mancate “alleanze strategiche” (super + issimo superissima) e altre
alternative che vanno ad aggiungersi al ricorso al comparativo assoluto e a
certi particolari usi dell’articolo determinativo e indeterminativo. Tra queste:
• L’anteposizione alla forma in –issimo dello stesso aggettivo col grado
positivo: “Signal dà un alito fresco freschissimo”;
• Un discreto patrimonio di marche “esagerative”: eccellente, formidabile,
insuperabile, superiore, …
• Sintagmi di varia fortuna (come la regina di, il re di);
• Moduli come più bianco del bianco;
• Lo snobistico differente;
• Una efficacissima diafora: “Una Becchi è sempre una Becchi”
• Il sineddochico “singolare per il plurale”: “La donna elegante veste Cori”;
• L’ontologico-filosofico “Nordmende, l’assoluto.
• Le duplicazioni del tipo: per una sete sete.
La lingua pubblicitaria, per non rinunciare a sorprendere, non può fare a meno
dell’apporto neologico. Esso può consistere di varie soluzioni e procedimenti
formali:
• Una più generale coniazione di termini che traggono la loro origine da
verbi (deverbali), nomi (denominali), aggettivi (deaggettivali). La base è
non di rado costituita dal nome del marchio, del prodotto, della linea di
prodotti: da aperitivissimo, shampissimo, caffeissimo, lavandissima;
• La specifica applicazione a basi grammaticali “attese” di primi o secondi
elementi avvertiti come freschi, funzionali, fonicamente attraenti: i
prefissi già analizzati (mini, maxi, bio); suffissi come –evole (amarevole,
liquore amaro dal gusto gradevole); -icante (amaricante); -icida
(odoricida, delicatezza e proprietà igienizzanti di un insetticida); -oso
(comodosa, risparmiosa, scattosa, vantaggiosa, riferita alla macchina
della Fiat).
• L’altrettanto specifica applicazione a basi grammaticali “inattese” di
elementi compositivi che legano solitamente con basi di diverso tipo:
grancondire combina insieme una base verbale e un prefisso anteposto
in genere a sostantivi.
• Composizioni residue di varia natura, che possono essere il risultato:
1. Della convergenza di una base verbale e di un nome o di altre
occasionali alleanze (verbo+avverbio, preposizione+nome:
brillatutto, calmadolori, sottobuono, salvasapore).
2. Della giustapposizione in scrittura continua di due o più elementi di
un’unità sintagmatica, con eventuale perdita di materiale fonico:
modello-famiglia, tappeto-auto, lanagiovani, dove è caduto l’anello
della congiunzione preposizionale (modello per la famiglia, etc.).
dai vari boccasana, pienaroma, polpachiara in cui il rapporto tra i
due costituenti il sintagma, un sostantivo e un aggettivo, è di
dipendenza, ai tipi di gommapiuma e tessuto-freschezza, che
stabiliscono ancora una relazione di subordinazione tra i
componenti ma stavolta a partire da due sostantivi indipendenti tra
cui si viene a determinare una relazione di uguaglianza.
3. Della fusione di mozziconi di parole a formare conglomerati, definiti
parole “macedonia”. Quella a cui assistiamo è una semplice
operazione di “saldatura” tra le parti componenti, che talora
indossano i panni di più o meno estemporanei confissi (cioè
prefissoidi o suffissoidi), dei vari esemplari disponibili:
aperitivolissimevolmente [aperiti (vo) + (precipite)
volissimevolmente], ultimoda (ulti (ma) + (moda).
L’impreziosimento del messaggio pubblicitario a cui queste forme recano un
importante contributo si può ottenere lessicalmente con diversi espedienti, tutti
simbolici. L’analisi motivazionale ha provveduto a scandagliare le potenzialità
segniche, sostenendo che i ceti superiori prediligerebbero le tinte neutre e
meno accese e i ceti inferiori i colori più vivaci. Basterebbe una rapida
consultazione di riviste, articoli, cataloghi di moda o di automobili per rendersi
conto della varietà di tinte che vi trovano accoglienza; tre le serie più cospicue
e interessanti:
• Quella che abbina a un determinato colore un referente concreto,
secondo le modalità retoriche di un’analogia: azzurro cielo, beige
caramel, biondo platino;
• Quella che riconferma con più o meno forza l’appartenenza di colore,
mediante precisazione affidata a un apposito determinante, o sottolinea
invece la presenza di sfumature ricorrendo a polarizzazione semantiche
come opaco/lucido, chiaro/scuro, tenue/intenso, pulito/sporco: azzurro
bleached, azzurro forte, bianco assoluto, bianco immacolato;
• Quella con aggettivo evocativo di luoghi o ambienti, la quale attiene alla
sfera metaforica ed è la più ricca di sovrasensi simbolici: blu Cina, giallo
Tahiti, verde Giava;
• Quella che sopprime l’elemento di colore o vi rinuncia fin dall’inizio:
acquamarina, albicocca, ambra, aragosta;
Per quanto riguarda i tecnicismi di settore rimane valida l’analisi di Beccaria:
“sono segni vuoti, privi di “informazione” linguistica. Nel linguaggio
pubblicitario il segno affida le proprie capacità significative alle disponibilità
latenti ed irrazionali dell’uomo massa, che è sollecitato dal termine scientifico
“che lo fa sentire al passo con il progresso”. La parola non è in funzione di un
arricchimento di significato o di libertà espressiva, ma è incanalata, costretta e
deformata in direzioni atte a provocare reazioni spontanee e inconsce.”
A questo messaggio i tecnicismi, come gli stranierismi, conferiscono il dovuto
prestigio a prescindere dal fatto che possano risultare comprensibili per
l’utente medio.
Si deve accennare, infine, alle scelte che inducono a preferire quel
marchionimo o quel merceonimo quando un nuovo prodotto o una nuova
gamma di prodotti vengono immessi sul mercato. Già negli anni sessanta
Folena individuava nella volontà di sintesi, nella ricerca di sonorità o fisionomie
grafiche inusitate, le principali motivazioni alla proliferazioni di parole tronche.
Allo scopo di garantire al prodotto una parvenza di scientificità e un tocco di
superiore prestigio si ricorre a pseudo latinismi (Nivea, Aiax) e soprattutto a
pseudo grecismi (Alfa, Omega, etc).
Se, all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale, l’attribuzione
ad automobili di nomi di animali proiettava sui veicoli a motore il senso di
un’affettuosa familiarità, l’espediente di attribuire a una certa merce un nome
confidenziale risultante dall’accorciamento di un nome più lungo risponde in
genere a un preciso intento di accorciare la distanza tra emittente e ricevente
(budini Budì, passata Pomì). I vari prodotti recapitano al consumatore un
messaggio latentemente allusivo alla funzione di facilità, velocità, sbrigatività.
Le imprese lasciano spesso ad appositi consulenti, i namers, la responsabilità di
nominare le merci.
Sintassi e testualità.
In quest’ambito, il modo più semplice e sfruttato per valorizzare un prodotto
investe l’uso dell’articolo determinativo e indeterminativo. Ne prende atto
Perugini, che scrive: “l’articolo determinativo con valore elativo è frequente
negli anni ottanta (Volvo. IL saper scegliere). L’articolo indeterminativo &egrav