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Lessico e fraseologia. L’influenza che il cinema ha avuto sulla lingua comune, con numerosi prestiti, è importante.

Soprattutto da titoli di film molto famosi sono nati modi di dire, ma anche parole e locuzioni: alba tragica, quarto

potere, giungla d’asfalto. Anche i personaggi di molti film vengono usati come antonomasie: Rocky, Rambo, King

Kong, Fantozzi, Fracchia. In Italia, spetta a Federico Fellini il primato dei prestiti alla lingua comune: amarcord,

vitelloni, bidone, dolcevita, paparazzo. Il grande schermo ha insomma preceduto la televisione nel ruolo di prima scuola

di lingua degli italiani.

1. Dal cinema muto agli anni quaranta

Le origini e la fase orale. Fin dalla sua nascita l’arte cinematografica si è sempre confrontata con il suono e con la

parola. Il suono e il colore nel film si svilupparono relativamente tardi, ma non per impedimenti tecnici o economici, ma

per pregiudizi estetici (della critica più che del pubblico) che identificavano nell’immagine muta e in bianco e nero la

purezza della nuova arte, che consideravano in tal modo più realistica e più onirica. È notevole che molti critici e

studiosi e registi, invece, si ponessero subito il problema di quale lingua impiegare sul grande schermo e salutassero il

sonoro come una grande possibilità di ringiovanimento dell’italico idioma. Secondo questi autori il nuoto italiano

cinematografico doveva essere, almeno negli intenti, antiletterario e antipuristico, intonato all’evoluzione generale della

lingua e dello stile nazionale che va verso il semplice e la franchezza. Un linguaggio sostenuto e aulico, infatti, avrebbe

rischiato di assumere, secondo il loro parere, un valore artistico proprio, a tutto scapito della visione filmica. Una vasta

cerchia di addetti ai lavori rifletteva quindi quale fosse il tipo di parlato più appropriato alla finzione filmica, in grado di

conciliare opposte tendenze: da un lato la piena comprensibilità del pubblico più vasto possibile, dall’altro il realismo

richiesto dalle trame o dalle caratteristiche del mezzo stesso, così vicino alla riproduzione fedele del mondo. Studiosi e

cineasti si chiedevano quindi se fosse possibile infrangere le regole grammaticali in nome della verosimiglianza scenica,

dove si potesse reperire un parlato medio e credibile senza usare il dialetto. Con l’avvento del sonoro cambieranno

anche lo stile e i soggetti: la commedia e i film in costume diventano i generi più prolifici, soppiantando le

superproduzioni storiche, letterarie e melodrammatiche in auge nel cinema muto. I modelli stranieri di riferimento

saranno le commedie americane, il teatro francese e simili.

La lingua scritta del cinema. La lingua scritta ha un’importanza notevole nel cinema. Può essere diegetica (ovvero

interna alla trama del film) o extradiegetica. Del primo tipo fanno parte tutte quelle scritte che sono parte integrante

della scena in corso: l’insegna di un negozio, un cartello stradale, etc. Al secondo tipo appartengono i titoli di testa e di

coda e anche le didascalie, vale a dire le porzioni di testo scritto aggiunte all’immagine filmica per integrarne o

specificarne il significato. La didascalia può essere di tre tipi:

1. Narrativa riassume gli eventi che si vedranno nella scena seguente e ha funzione identificatrice, descrittrice

e sintetizzante;

2. Locutiva riporta parole dette da un personaggio, è scritta talvolta tra virgolette ma può avere anche forma di

discorso indiretto;

3. Tematica esprime idee di carattere universale, talora sotto forma di citazione.

Bisognerà aspettare gli anni dieci del Novecento, e quindi la nascita di un cinema caratterizzato da trame più complesse

e bisognose di integrazioni verbali, perché le didascalie diventino più frequenti. Con Cabiria la letterarietà delle

didascalie tocca il culmine. E sarà l’ostentato scarto dalla lingua comune il tratto distintivo della gran parte della

produzione filmica nostrana fino all’avvento del sonoro. A far da contraltare minoritario alla propensione per la

letterarietà più trita non manca una ricerca della medietà linguistica, per via della vocazione al realismo. Con lo

sviluppo delle didascalie giunge anche l’immancabile crociata di puristi e difensori del buon uso linguistico. Ne

consegue, in età giolittiana, le prime norme della censura, istituita nel 1913: «i titoli, i sottotitoli e le scritture, tanto sulla

pellicola quanto sugli esemplari della domanda, debbono essere in corretta lingua italiana».

I dialetti e le altre lingue. L’uso del dialetto accompagna il cinema fin dalle origini, soprattutto a Napoli, fino al 1928,

anno in cui i divieti fascisti impedirono la circolazione di “pellicole di ambienti napoletani che persistessero su clichés

che offendono la dignità di Napoli e dell’intera Regione”. Talora i film uscirono in doppia versione: con didascalie in

dialetto per il mercato locale e in italiano per il mercato nazionale. Con le didascalie nascono anche i primi problemi di

adattamento cinematografico, che si amplificheranno durante i decenni del sonoro. Il più importante riduttore (adattatori

cinematografici) dell’epoca, Guglielmo Giannini, tesse l’elogio della professione in una serie di articoli scritti all’inizio

degli anni trenta. Per Giannini il peggior difetto di una traduzione è la fedeltà: compito dell’adattatore è quello di

agevolare la comprensione del pubblico italiano. L’influenza delle didascalie sull’italiano non fu rilevante e non fece

che confermare certi stereotipi letterari e ad avvallare lo iato tra scritto e parlato. Anche quel tipo di lingua contribuiva a

collocare i divi e le dive del cinema in un mondo onirico, desiderato ma irraggiungibile come l’alfabetizzazione di gran

parte degli italiani dell’epoca.

Il parlato dei film sonori. Il cinema italiano subisce una crisi profonda alla fine degli anni venti, a causa dell’incapacità

di concorrere con i film americani e il crollo del divismo italiano a favore delle stars americane. A salvare il nostro

cinema è l’avvento del sonoro, sebbene la transizione dal muto al sonoro sia stata tutt’altro che indolore, sia per ragioni

tecniche (eliminazione rumori di fondo e gestione del volume), professionali (gli attori dovevano imparare a recitare), e

produttive (nuovi impianti e nuove maestranze). Il primo film sonoro della storia del cinema è Il cantante di jazz,

mentre il primo film sonoro italiano è invece La canzone dell’amore, di Righelli, tratto da una novella pirandelliana, dal

titolo antifrastico: In silenzio. E in effetti in quel film di silenzioso non c’è nulla: la produzione non risparmia alcun tipo

di effetto acustico. In realtà il primo film sonoro sarebbe dovuto essere Resurrectio di Blasetti, ma fu considerato

inadatto al grande pubblico e al lancio della nuova tecnica. I dialoghi della Canzone dell’amore non mostrano grandi

differenze rispetto allo stile melodrammatico delle didascalie del muto.

Primi segnali di cambiamento. Presto il parlato cinematografico mostra di sapersi aprire a modi più colloquiali, quando

non regionali. Ne sono una prova i film di Blasetti e di Camerini. Importante in questo senso il film Gli uomini, che

mascalzoni…, cruciale nella storia del cinema per vari motivi: per aver lanciato Vittorio De Sica come primo divo del

sonoro, poi per aver lanciato la celeberrima canzone Parlami d’amore Mariù. Inoltre dà il via alla corrente comica detta

dei telefoni bianchi, caratterizzata dalla contrapposizione tra ricchi e poveri e dal gioco di equivoci nato dal tentativo di

passare da una sponda sociale all’altra. Anche se il parlato del film appartiene nel complesso all’italiano standard, non

manca qualche pennellata dialettale. Un’altra commedia esemplare di Camerini è Il signor Max, dove la morale

conservatrice è ormai assodata: qui emergono forestierismi, inglesi e francesi. L’inglese è utilizzato come simbolo di

una classe snob e boriosa, catalizzatore di giochi linguistici.

Tra realismo, letterarietà e propaganda. Il cinema del periodo fascista è più multiforme di quanto si creda. L’intento di

film del genere è quello di mostrare Mussolini e i fascisti come continuatori dei gloriosi esponenti della Roma

repubblicana e imperiale (Scipione l’Africano). Ma, anche senza risalire ai romani, si pensi a film ridondanti di retorica

fascista come Condottieri ambientato nella Firenze cinquecentesca di Giovanni delle Bande Nere, e a vari film

d’’ambientazione contemporanea. Gli elementi della retorica da slogan politico ci sono tutti: le serie allocutive, la

sintassi elaborata, le ripetizioni, l’andamento ternario e a climax.

Altre tendenze. Il cinema godeva di una maggiore libertà in epoca fascista rispetto ad altre forme di comunicazione e di

espressione artistica. Proprio dal mondo cinematografico nacquero alcune figure fondamentali di intellettuali antifascisti

(Barbaro, Visconti, Rossellini, Antonioni, etc). Questa libertà è dovuta in parte alla distrazione dei legislatori e dei

governanti, attenti ad affidare ad altri mezzi i messaggi propagandistici, e in parte alla constatazione che i rischi del

cinema erano sicuramente inferiori ai suoi vantaggi. Non è trascurabile, del resto, la figura di Vittorio Mussolini, figlio

del duce, tra le fila degli addetti ai lavori, colto direttore della rivista “Cinema”. Un utile indicatore della relativa libertà

espressiva del cinema è dato dalla presenza di forestierismi nei dialoghi dei film degli anni trenta. L’uso e l’abuso

dell’inglese e del francese simboleggiano la bassa caratura morale di una classe mondana, decadente e imbelle. Per

quanto riguarda invece il “lei” allocutivo di cortesia, vietato nel 1938, anche qui il cinema godette di libertà. Qualche

“lei” permane anche dopo la legge, per esempio in Luciano Serra pilota e ne L’Argine. Numerosi film del periodo

considerato esibiscono dialoghi in un italiano agile e scorrevole senza indulgere al dialetto.

2. Dal neorealismo alla commedia all’italiana

Per incontrare inserti dialettali e colloquiali nel cinema italiano non bisognerà aspettare il neorealismo. Già negli anni

quaranta, infatti, saranno non pochi i film dominati dal registro umile. Al neorealismo dunque va il merito non di aver

inscenato il plurilinguismo, bensì di averne trasformato il ruolo, elevato a codice espressivo dell’intera opera.

Protagonisti dei film diventano tutti quei personaggi fino ad allora rilegati a ruoli marginali e inseriti in trame perlopiù

di svago. La funzione del dialetto non è quindi più quella di far ridere ma quella di rappresentare un mondo e un’epoca.

Alla base della lingua del cinema neorealistico sta un paradosso: se si voleva una ripresa documentaria acusticamente<

Dettagli
A.A. 2014-2015
8 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/01 Glottologia e linguistica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ilaria.degiovanni di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Linguistica dei media e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Bonomi Ilaria.