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CARATTERISTICHE DELLA LINGUA LATINA
La lingua latina, come ogni linguaggio verbale, si sviluppa su due livelli:
quello delle unità con significato autonomo, i lessemi, e quello delle unità
prive di significato, i fonemi.
I lessemi non sono altro che parole, ognuna delle quali è costituita da suoni
che sono appunto i fonemi.
Il fonema è un suono che ha la capacità di essere distintivo, differenziando
quindi le parole: possiamo più correttamente definirli come l’unità minima del
suono sprovvista di significato autonomo.
I fonemi si dividono in vocali e consonanti, le quali a loro volta hanno una loro
suddivisione interna in base al luogo di articolazione e al modo di
articolazione.
Le consonanti, in base al modo di articolazione, si suddividono in occlusive e
continue.
Le consonanti occlusive, dette anche momentanee o esplosive, sono
pronunciate in modo tale che il suono viene emesso in un tempo così breve
da provocare un “blocco” dell’apparato fonatorio; esse si dividono in base al
luogo di articolazione a loro volta in labiali (B, P), dentali (D, T) e velari o
gutturali (G, C).
Le consonanti continue sono provocate invece con un maggior gradi di
apertura del suono e si dividono in fricative (F), nasali (N, M), sibilanti (S) e
liquide (R, che è anche vibrante, L, che è anche laterale).
Tra le continua troviamo anche la lettera H, di tipo glottidale, la Q labiovelare,
la V fricativa labio-dentale e la X che è un fonema doppio costituito da una
gutturale più un suono sibilante (C+S).
Le vocali si suddividono in base al luogo di articolazione, cioè alla posizione
della lingua sul palato, in palatali anteriori (I, E), centrali (A) e palatali
posteriori (O, U). Invece in base al modo di articolazione, cioè al movimento
della lingua, si dividono in alte o chiuse (I, U), medie (E, O) e basse o aperte
(A).
La I e la U in particolare hanno una natura doppia in quanto possono essere
sia semivocali che semiconsonanti se si trovano in una parola vicino ad altre
vocali (esempio: uomo, la U è vocalica; iam, la I è consonantica).
I dittonghi sono costituiti dall’affiancamento di due suoni, uno vocalico è
l’altro semivocalico che vengono pronunciate in un unico suono. Si
distinguono in discendenti se l’alternanza è suono vocalico+suono
semivocalico, ascendendi se al contrario è suono semivocalico+suono
vocalico.
L’insieme di questi fonemi compone le sillabe, che possiamo definire come le
unità minime di pronuncia. Prendiamo ad esempio la parola monosillabica
cum: è costituito da un attacco (C) e una rima a sua volta costituita da un
nucleo (U) e una coda (M). In ogni sillaba c’è sempre un nucleo ma non
necessariamente una coda, dato che essa deve essere una consonante. Se
infatti una sillaba termina con una consonante, quindi una coda, si dice
chiusa, altrimenti è aperta.
Per quanto riguarda la fonetica, questi suoni hanno tre caratteristiche:
intensità, altezza e durata o quantità.
L’intensità indica l’energia articolato ria con cui si mettono in moto gli organi
fonatori; l’altezza indica il numero di vibrazioni delle corde vocali nel
pronunciare un suono, la durata o quantità indica il tempo impiegato per
produrre il fonema. Se il latino arcaico si basava prevalentemente
sull’intensità accentando in maniera più marcata i suoni, il latino classico
adotta un accento musicale basato su altezza e quantità, quindi sulla
percezione tra suoni lunghi e brevi. Quest’ultima distinzione ha senso
soprattutto nella metrica e quindi nella poesia, dato che l’italiano ha perso
questo tipo di percezione e dunque non siamo in grado di apprezzarlo nei
testi in prosa.
Un altro elemento caratteristico della lingua latina è il ritmo che nella lingua è
sempre artificiale: si caratterizza per ripetitività e regolarità di intervalli. Il
ritmo è l’elemento fondamentale della poesia, in quanto si ha l’alternanza
delle sillabe accentate in sedi determinate del verso, e dunque ogni verso ha
sempre lo stesso numero di sillabe. Si definisce isosillabismo: si genera un
accento ritmico che sottolinea appunto il ritmo della poesia, e ne è un
esempio l’endecasillabo.
In latino invece le sillabe brevi e lunghe sono sistemate nel verso in modo
tale da dare una cadenza regolare all’accento: è detto schema parosodico.
Significa che la metrica latina non si basa sul numero di sillabe, ma appunto
sull’alternanza tra la lunghezza delle sillabe stesse: l’esametro latino è dato
dalla ripetizione di sei dattili e ogni dattilo è costituito da una sillaba lunga e
due brevi. In questo caso il ritmo è discendente perché la prima sillaba è
forte, quindi accentata, e le altre due deboli, quindi non accentate.
In latino quindi le sillabe che terminano per consonante sono lunghe; le
sillabe aperte hanno una quantità che dipende dal fonema vocalico: ad
esempio la desinenza dell’accusativo neutro plurale è sempre breve; le
particelle enclitiche sono sempre brevi, ecc…