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Letteratura latina - Appunti di linguistica Pag. 1
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CARATTERISTICHE DELLA LINGUA LATINA

La lingua latina, come ogni linguaggio verbale, si sviluppa su due livelli:

quello delle unità con significato autonomo, i lessemi, e quello delle unità

prive di significato, i fonemi.

I lessemi non sono altro che parole, ognuna delle quali è costituita da suoni

che sono appunto i fonemi.

Il fonema è un suono che ha la capacità di essere distintivo, differenziando

quindi le parole: possiamo più correttamente definirli come l’unità minima del

suono sprovvista di significato autonomo.

I fonemi si dividono in vocali e consonanti, le quali a loro volta hanno una loro

suddivisione interna in base al luogo di articolazione e al modo di

articolazione.

Le consonanti, in base al modo di articolazione, si suddividono in occlusive e

continue.

Le consonanti occlusive, dette anche momentanee o esplosive, sono

pronunciate in modo tale che il suono viene emesso in un tempo così breve

da provocare un “blocco” dell’apparato fonatorio; esse si dividono in base al

luogo di articolazione a loro volta in labiali (B, P), dentali (D, T) e velari o

gutturali (G, C).

Le consonanti continue sono provocate invece con un maggior gradi di

apertura del suono e si dividono in fricative (F), nasali (N, M), sibilanti (S) e

liquide (R, che è anche vibrante, L, che è anche laterale).

Tra le continua troviamo anche la lettera H, di tipo glottidale, la Q labiovelare,

la V fricativa labio-dentale e la X che è un fonema doppio costituito da una

gutturale più un suono sibilante (C+S).

Le vocali si suddividono in base al luogo di articolazione, cioè alla posizione

della lingua sul palato, in palatali anteriori (I, E), centrali (A) e palatali

posteriori (O, U). Invece in base al modo di articolazione, cioè al movimento

della lingua, si dividono in alte o chiuse (I, U), medie (E, O) e basse o aperte

(A).

La I e la U in particolare hanno una natura doppia in quanto possono essere

sia semivocali che semiconsonanti se si trovano in una parola vicino ad altre

vocali (esempio: uomo, la U è vocalica; iam, la I è consonantica).

I dittonghi sono costituiti dall’affiancamento di due suoni, uno vocalico è

l’altro semivocalico che vengono pronunciate in un unico suono. Si

distinguono in discendenti se l’alternanza è suono vocalico+suono

semivocalico, ascendendi se al contrario è suono semivocalico+suono

vocalico.

L’insieme di questi fonemi compone le sillabe, che possiamo definire come le

unità minime di pronuncia. Prendiamo ad esempio la parola monosillabica

cum: è costituito da un attacco (C) e una rima a sua volta costituita da un

nucleo (U) e una coda (M). In ogni sillaba c’è sempre un nucleo ma non

necessariamente una coda, dato che essa deve essere una consonante. Se

infatti una sillaba termina con una consonante, quindi una coda, si dice

chiusa, altrimenti è aperta.

Per quanto riguarda la fonetica, questi suoni hanno tre caratteristiche:

intensità, altezza e durata o quantità.

L’intensità indica l’energia articolato ria con cui si mettono in moto gli organi

fonatori; l’altezza indica il numero di vibrazioni delle corde vocali nel

pronunciare un suono, la durata o quantità indica il tempo impiegato per

produrre il fonema. Se il latino arcaico si basava prevalentemente

sull’intensità accentando in maniera più marcata i suoni, il latino classico

adotta un accento musicale basato su altezza e quantità, quindi sulla

percezione tra suoni lunghi e brevi. Quest’ultima distinzione ha senso

soprattutto nella metrica e quindi nella poesia, dato che l’italiano ha perso

questo tipo di percezione e dunque non siamo in grado di apprezzarlo nei

testi in prosa.

Un altro elemento caratteristico della lingua latina è il ritmo che nella lingua è

sempre artificiale: si caratterizza per ripetitività e regolarità di intervalli. Il

ritmo è l’elemento fondamentale della poesia, in quanto si ha l’alternanza

delle sillabe accentate in sedi determinate del verso, e dunque ogni verso ha

sempre lo stesso numero di sillabe. Si definisce isosillabismo: si genera un

accento ritmico che sottolinea appunto il ritmo della poesia, e ne è un

esempio l’endecasillabo.

In latino invece le sillabe brevi e lunghe sono sistemate nel verso in modo

tale da dare una cadenza regolare all’accento: è detto schema parosodico.

Significa che la metrica latina non si basa sul numero di sillabe, ma appunto

sull’alternanza tra la lunghezza delle sillabe stesse: l’esametro latino è dato

dalla ripetizione di sei dattili e ogni dattilo è costituito da una sillaba lunga e

due brevi. In questo caso il ritmo è discendente perché la prima sillaba è

forte, quindi accentata, e le altre due deboli, quindi non accentate.

In latino quindi le sillabe che terminano per consonante sono lunghe; le

sillabe aperte hanno una quantità che dipende dal fonema vocalico: ad

esempio la desinenza dell’accusativo neutro plurale è sempre breve; le

particelle enclitiche sono sempre brevi, ecc…

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher daniela.uva1 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Colafrancesco Pasqua.