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Vocalismo di tipo siciliano
Il sistema con cinque vocali toniche è definito vocalismo di tipo siciliano in quanto si presenta nei dialetti siciliani e in quelli delle regioni meridionali estreme. Come in queste altre regioni, anche in alcune aree del Cilento nelle sillabe toniche si incontrano -i-e-u- nelle parole in cui nel resto della Campania ci sono rispettivamente -e-,-o- con le relative eventuali evoluzioni metafonetiche. Al vocalismo siciliano sono dovute forme come chista, fimmini, ngundri, paisi, picchì, zappaturi.
Nella stessa zona dove le vocali toniche sono cinque, in posizione atona finale prevalgono le vocali -a, -i, -u, per cui troviamo per esempio attuornu, castieddu, chistu, fimmini, maccaturu, manu, miu, la finale tende a essere conservata in modo molto più netto di quanto non accada in area napoletana. Il suono finale indistinto, peraltro, si nota in zone di transizione tra il Cilento meridionale e il resto della provincia di
Salerno. L'area campana meridionale presenta inoltre una serie di caratteristiche che l'accomunano sia ai dialetti lucani sia a quelli irpini. Tra le più diffuse figura l'evoluzione LL>dd. Particolare è anche l'esito del nesso consonantico FL-, che in altri dialetti della Campania dà la palatale fricativa [ɸ] mentre tra Cilento e Irpinia produce la semivocale [j], jumara "fiumara", jumo "fiume". Nella stessa zona, tra Cilento e Irpina, è tipica la presenza dell'affricata dentale (in grafia fonetica è [ts]) dove nel resto della regione si ha la palatale informe come fazzo "faccio", lazzo "laccio", azzaro "acciaio", brazzo "braccio". Tra le caratteristiche morfologiche è da segnalare il condizionale con desinenze -era, -ara, formato a partire dall'indicativo piuccheperfetto latino del tipo putèra "potrei" (registra inoltre la sonorizzazione di dentale dopo vibrante o liquida. Questi esiti fonetici particolari ricorrono naturalmente in parole legate ad attività tradizionali. Altre caratteristiche ricorrenti sono: l'evoluzione da liquida intensa in vibrante in quiro "quello", quiri "quelli", dove si nota anche la conservazione della sequenza iniziale qu - (afronte del tipo napoletano chillo). Per quanto riguarda il vocalismo si ha per esempio la -i- finale in parole femminili come lacaoci "la calce" e la faoci "la falce", che in italiano rientrano nella classe dei nomi in -e. Il vocalismo tonico ha sette vocali e presenta gli esiti metafonetici con dittonghi e chiusure come in napoletano. Nell'area irpina che confina con la Puglia, però, il dittongo metafonetico si riduce soltanto al primo elemento vocalico. Un altro fenomeno che rappresenta un interessante caso di conservazione è il pronome relativo
chi con funzione disoggetto (risalente al latino QUI), mentre lo stesso pronome con funzione di oggettto è che (lat. QUEM). Il chi con funzione di soggetto può essere ancora rilevato nelle conversazionidialettali e risalta con forza particolare in frasi formulari. Nel passato remoto sono notevoli le forme deboli del tipo corrieri “corsi”, corrìo “corse”, la sesta persona dell’indicativo presente di potere, volere e venire si presenta con il dittongometafonetico, per cui si hanno puònno “possono” e vuònno “vogliono”, viènono “vengono”. Il polimorfismo dell’articolo e talora l’intercambiabilità tra articolo maschile e articolo neutro a distanza di pochi chilometri da un lato sono interpretabili come conservazione di un’esigenza di distinguere tra due categorie di nomi avvertire come diverse, dall’altro rendono anche evidente che alla coscienza dei parlanti
sfuggono ormai le ragioni stesse ditale differenziazione. Vale a dire che la specificità dei nomi neutri si è ormai affievolita sia nell'uso, sia nella percezione dei parlanti. In qualche caso, tuttavia, emergono tratti che se non rinviano direttamente al neutro sono interpretabili come indizi di una specificità di nomi collettivi: per esempio màskure a Cerreto sono, intesi come insieme collettivo, i maschi, come la càsola "le case", murola "le mura", détela "dita", lèttela "i letti", chiòvela "ichiodi". In queste forme di suffisso -ola deriva dai plurali latineggianti (originariamente neutri) in -ora. Nella situazione di confine dell'area sannita, collocata tra spinte di tipo adriatico e influenza laziale, le caratteristiche dialettali si presentano complesse e variegate. Limitiamoci a ricordare che, si incontra la paletizzazione di s- in scì.si è; e così; inoltre in questa zona la s-preconsonantica è articolata come palatale non solo prima di labiale e velare, ma anche prima delle dentali: sono perciò sannite ma non napoletane pronunce come "stupido", "stesso", si incontrano le terze persone plurali dell'indicativo prive delladesinenza –no. Anche nella provincia di Caserta, i dialetti sono in parte diversi da quelli della zona napoletana. Una certa somiglianza con i dialetti del Lazio meridionale è del resto giustificata da precise ragioni storiche, visto che ancora fino all'inizio del Novecento molti centri della provincia di Frosinone rientravano nel territorio campano. D'altronde in passato si spingevano fino a Gaeta i confini del Regno di Napoli. Già in prossimità di Napoli, avvicinandoci verso Caserta, si notano caratteristiche diverse da quelle del napoletano, come per esempio l'articolazione.della –a– come vocale posteriore, come nell'area paganese e come a Torre del Greco, anche a Formicola, Orta d'Atella e altri centri vicini, non si dice saccio, ma sòccio "so". Nella stessa zona l'articolo determinativo è aferetico come il napoletano, ma è in prevalenza 'u invece di 'o. Le peculiarità della Terra di Lavoro diventano però più vistose al di là del fiume Volturno. Infatti è al nord del Volturno che troviamo la palatalizzazione del gruppo –ll– in parole come capigliu "capello", chigliu "quello", puriègliu "poverello". A Pignataro Maggiore si constata il cedimento del genere neutro, data l'assenza del rafforzamento sintattico in 'u sale "il sale", 'u latte "il latte". Con una diffusione non uniforme, sempre a Pignataro Maggiore, a Sessa Aurunca, a Roccamonfina e altrove, dal nesso latino PL si.produce l'affricata palatale: sono perciò caratteristiche parole come "ciòvere" (piovere), "ciù" (più), "ciàzza" (piazza), "cianta" (pianta dei piedi), "cinu" (pieno). L'articolo determinativo nell'area casertana è 'u, ma in qua e là si trova anche l'articolo ju, che può essere pronunciato anche gliù. Nella zona di Sessa Aurunca, però, troviamo anche "ruper" (lo) e "ri" (le). Nella zona casertana che va verso il Molise, l'infinito è tipico di questa zona il passato remoto in -ette anche per i verbi della prima coniugazione; perciò il passato di pensare è "penzette" (pensò). Le veloci indicazioni date sono un indizio di come le specificità locali non siano state compromesse dall'influenza della città di Napoli, in realtà non è neanche necessario.
uscire dai confini della provincia di Napoli per constatare quanto siano lontane dal napoletano le caratteristiche di alcuni dialetti. Riferiamo così questa frase in dialetto procidano: Lu parrucchiano ha fètto na bèr'apparatape re quarantore cioè "il parroco ha fatto (fare) un bell'addobbo per le quarant'ore". Diversamente dal napoletano, qui l'articolo è lu; la tonica -a- è palatalizzata in -e-; il gruppo -ll- si evolve in vibrante; l'articolo femminile plurale è re. A Procida si incontrano dunque fenomeni presenti anche in altre zone della Campania, come se il procidano conservasse tutte insieme caratteristiche di altre aree regionali assenti invece a Napoli e nei immediati dintorni. Altri vistosi elementi di differenziazioni rispetto al napoletano, sono interpretabili però come conservazione di elementi un tempo comuni, si riscontrano nel vocalismo di Pozzuoli: qui la
–i- tonica lunga produce dittongo per cui faile è il “filo, paisce è “pesci” vaiveresignifica “bere”. Al plurale invece la –i- tonica diventa .oi-, per cui poisce “i pesci”, moile “imeli”, foile “i fili”. Una dittongazione si produce anche al posto di –o- chiusa nauce “noce”,nepaute “nipoti”. Il napoletano ha una serie di caratteristiche in comune con altri dialetti campani: il dittongo metaforico, il genere neutro, la vocale indistinta, la variazione consonantica; ma come per altri dialetti della regione, anche per il napoletano si nota d’altraparte qualche elemento pitico. In primo luogo, risulta indebolito il suono vocalico finale espesso si indebolisce la pronuncia dell’intera sillaba finale. Ciò in parte può essere posto in relazione con la maggiore velocità della pronuncia, che viene percepita dai non napoletani. Valga a questoproposito un riferimento alle commedie di Eduardo De Filippo. Nella commedia Le bugie hanno le gambe lunghe, nel presentare una balia venuta in città dalla provincia, l'autore precisa che il personaggio si esprime con un accento caratteristico.