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4.2 DALLA FRAMMENTAZIONE LINGUISTICA MEDIEVALE AL PRIMATO DEL FIORENTINO
LETTERARIO
La frammentazione linguistica medievale e i primi documenti volgari:
Da quando si può far iniziare la storia della lingua ‘italiana’? se pensiamo non alla
nascita dell’italiano come lingua di una nazione, a alle prime attestazioni scritte
dei volgari parlati nel territorio italiano, dobbiamo riferirci a un periodo tra il IX e il X
secolo. Ma l’impiego del volgare anche per gli usi scritti non è che l’ultimo atto di
un processo di trasformazione lungo alcuni secoli. In età imperiale, si affermano
infatti, nel latino parlato delle varie aree, mutamenti importanti.
Esistevano anche nel territorio italiano come in tutta la Romania molte varietà di
latino parlato, e queste varietà sono il presupposto della grande frammentazione
linguistica dell’area, cioè della formazione di volgari locali con caratteri diversi e
specifici.
Ma il vero e proprio distacco tra la lingua scritta della cultura e i volgari avviene in
tempi e modi diversi, comunque non pria del VII-VIII secolo, e presuppone una
situazione di diglossia latino-volgare, in cui il volgare è la lingua bassa, l’unica
usata dagli incolti, mentre il latino è al lingua alta,usata da una minoranza colta.
La scripta latina rustica rappresenta una sorta di ponete del latino scritto con le
scritture volgari vere e proprie, ma latino e volgare continueranno per molto
tempo ad interferire e a coesistere nei documenti. L’avvio di sciptae volgari è
legato ad ambienti alfabetizzati e a figure importanti di ‘mediatori’ linguistici e
culturali: i notai che dovevano tradurre e riformulare di continuo da una lingua
all’altra; i mercanti che di solito non conoscevano il latino, ma sapevano scriver e
dovevano far uso del volgare per esigenze pratiche; i religiosi che dovevano farsi
comprendere anche dagli illitterati. Si parla perciò relativamente dello scriptae
medievali, di plurilinguismo e policentrismo.
Allo stato attuale degli studi il più antico testo volgare è la Iscrizione della
Catacomba di Commodilla a Roma. 51
Risulta molto importante il primo documento che attesta l’uso consapevole del
volgare in un documento ufficiale: il Placito di Capua. Il Placito è un verbale
scritto in latino su pergamena dal notaio: in esso il giudice accerta il diritto al
possesso di alcune terre da parte del monastero di Montecassino, sulla base di tre
testimonianze, che vengono trascritte in formule volgari per tre volte all’interno del
testo in latino notarile.
Alla passaggio alla verbalizzazione scritta comporta una notevole perdita di tratti
dell’oralità spontanea, e si avverte del forte peso della formularità del latino
notarile e della sua tradizione grafica.
Il volgare nei testi pratici e nei testi letterari in prosa:
L’affermazione del volgare, negli usi scritti avviene in tempi e modi diversi. Nei testi
pratici dopo le prime attestazioni dal IX-X secolo tale affermazione si verifica più
precocemente in Toscana, da cui è pervenuta una ricca documentazione già
duecentesca, più tardi in altre regioni.
L’esistenza dei ceti medi alfabetizzati, di una borghesia comunale e mercantile, di
confraternite religiose di alici, è un fattore importante che sollecita l’impiego del
volgare per usi notarili, amministrativi, epistolari. Anche se il latino continua ad
essere la lingua più usata, si avviano così nei vari centri, tradizioni di scritture
pratiche già caratterizzate dal punto di vista linguistico – testuale e lessicale. Esse
appaiono da prima vivacemente municipali nella coloritura linguistica, poi nel
corso del 300, maggiormente esposte a un processo di conguagliamento
regionale, ma più resistenti all’espansione del tosco – fiorentino.
È significativo anche lo spazio che acquista il volgare nell’ambito della scuola e
dell’università, tradizionalmente legate al latino, ma sensibili alle nuove esigenze
della vita civile e politica. Fioriscono così manuali come l’Ars dictandi. Di grande
interesse sono anche i testi scolastici, glossari, esercizi grammaticali, anche se qui
la presenza del volgare è di solito strumentale all’apprendimento del latino.
La formazione della lingua poetica:
Già nel corso del 200 si avvia una tradizione di lingua poetica in volgare. La
nascita di una vera e propria scuola, la scuola siciliana, che sperimenta l’impiego
letterario delle orme sulle orme del provenzale.
Attorno al 1220 si situano gli inizi della poesia religiosa, Cantico di frate sole di
Francesco d’Assisi, scritto in volgare umbro. È importante la tradizione delle laudi
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diffuse anche in altre aree geografiche, poiché diventano il tramite di notevoli
fenomeni linguistici.
La scuola siciliana impiega consapevolmente il volgare depurato dai tratti
linguistici locali più vistosi, e nobilitato attraverso il latino e il provenzale. Nella lirica
siciliana abbondano i provenzalismi e caratteristico è l’uso di allotropi e il ricorso a
dittologie sinonimiche.
Com’era la consuetudine i copisti toscani, trascrivendo i testi siciliani, li adattarono
al loro sistema linguistico, divergente dal siciliano specie nel vocalismo; il toscano
aveva sette vocali toniche, che si riducevano a cinque in posizione atona; mentre
il siciliano ne aveva 5 toniche, ridotte a tre (i a u) all’atona. I copisti diedero ai testi
una patina toscaneggiante , ma conservarono alcuni tratti caratteristici.
Il risultato è una lingua composita, con un’evidente coloritura toscana, in cui
l’assunzione di tipici sicilianismi ha un intento nobilitate rispetto al toscano. Perduti
o andati distrutti i manoscritti siciliani, la veste ibrida della lirica federiciana fu
ritenuta quella originale.
Come si può allora riconoscere il processo di travestimento? Una spia significativa
è offerta dall’analisi della rima, la sede più conservativa del verso: mentre per i
siciliani la rima doveva essere perfetta, troviamo nei canzonieri rime imperfette
come ascoso: rinchiuso: amoroso.
C’è poi un’altra testimonianza che risale alle carte del filologo cinquecentesco
Giovanni Maria Barbieri che trascrisse alcuni componimenti da un Libro
siciliano,non pervenuto fino a noi.
Il formarsi di una tradizione linguistica lirica si ha già con i poeti toscani della
‘scuola di transizione’, o siculo-toscani. Operano in centri diversi ma sono
accomunati dall’imitazione della maniera siciliana sulla base dei codici
toscaneggianti.
I poeti dello Stilnovo , nella loro complessità di esperienze culturali innovano
profondamente le tematiche amorose, immettendovi venature intellettuali e
psicologiche: rimatori come il bolognese Guinizelli, Cino da Pistoia e Dante
assimilano e trasfigurano le forme linguistiche della lirica siculo-toscana,
selezionando i tratti della tradizione ed elaborando una lingua raffinata con un
progressiva potatura dei suffissanti gallicizzanti resi ipertrofici dalla scuola siculo-
toscana e in generale di sicilianismi e provenzalismi troppo vistosi. Dante assume
più frequentemente elementi fiorentini. Si tende insomma a una forma di
sublimazione letteraria del tosco fiorentino, che favorisce anche per la
concomitanza di altri fattori al penetrazione dei modelli toscani in altre regioni.
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Dante e la riflessione sul volgare:
E’ di Dante la prima riflessione teorica e storica sul volgare, e sulla tradizione della
poesia volgare dai siciliani ai siculo-toscani allo Stilnovo, già chiaramente
delineata: il De vulgari eloquentia, è un trattato latino rimasto incompleto e
pressoché sconosciuto fino ai primi del 500.
Oggetto principale del trattato è la ricerca non di lingua , ma di stile poetica, cioè
del volgare come elaborazione artistica. Tema che Dante affronta dopo un
ampio excursus sull’origine del linguaggio e delle lingue, e un esame della
frammentazione geografica e linguistica dell’Europa, fino ad arrivare all’area
italiana e alla trattazione del volgare italiano. Con un’acuta sensibilità Dante
individua l’esistenza di 14 varietà principali di volgari, nessuno dei quali si è
identificato nel volgare illustre. Il volgare illustre, aulico,cardinale, curiale non si
identifica con nessuna città italiana ama in realtà appartiene a tutta Italia. dante
parla del volgare che si addice alla poesia e in particolare alla canzone: il
momento più alto dello stile tragico esige una scelta accuratissima quanto a
tipologie di rime, suoni, forme.
La riflessione di Dante sul volgare si arricchisce nel Convivio scritto in volgare, in cui
è affrontato piuttosto il problema del rapporto con il latino, la lingua di maggiore
prestigio letterario. Nel primo libro Dante giustifica la scelta del volgare per
commentare le sue canzoni morali,e pur ammettendo la superiorità del latino, il
poeta giudica il volgare accessibile a un più ampio pubblico. Intenti divulganti,
amore per la sua ‘loquela’ e desiderio di illustrarla determinano dunque una scelta
linguistica già pienamente consapevole e fiduciosa delle possibilità letterarie del
volgare.
Il volgare e le ‘tre corone’: Dante, Petrarca, Boccaccio e il primato del fiorentino:
Dante aveva intuiti che perché il <<sole nuovo>>, il volgare, arrivasse a splendere
definitivamente, doveva raggiungere una dignità pari a quella del latino, possibile
solo con l’impiego in opere di indiscusso valore letterario e di larga diffusione
anche tra i non litterati. È quanto accade grazie soprattutto alle ‘tre corone’;
Dante con la Commedia,Petrarca con il Canzoniere e Boccaccio con il
Decameron.
La Commedia rappresenta un momento di eccezionale importanza per la storia
della lingua italiana.
Straordinaria appare la ricchezza espressiva della Commedia , in cui il poeta
inventa un nuovo metro narrativo, la terzina, e la pluralità e la mescolanza degli
stili, non ammessa per l’alta lirica, ma legittimata dalla varietà di tematiche, si
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situazioni, di personaggi che caratterizza l’opera. Ciò si traduce in un vivace
plurilinguismo: verticale, perché Dante attinge a tutte le varietà grammaticali del
fiorentino tardo-duecentesco. Anche il lessico presenta simili caratteristiche: Dante
attinge a piene mani alle varietà lessicali del fiorentino, scendendo fino ai livelli più
popolari e realistici e impiegando fiorentinismi esclusi nel De vulgari eloquentia per
lo stile elevato della lirica.
La precoce divulgazione,anche popolare, della Commedia contribuì
all’affermazione del fiorentino in altre