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La peculiarità più evidente del parlato radiotelevisivo, anomalo rispetto a quello dialogico, è nella sua direzione a senso

unico: l’emittente non può adeguare il suo messaggio alle reazioni del destinatario, che è assente dal luogo della

produzione linguistica, ha il ruolo passivo di chi non può interloquire. Si può intervenire con modalità molto diverse dal

colloquio faccia a faccia: il telefono non annulla la distanza tra interlocutori, la sua oralità è imperfetta perché non si

realizza con la compresenza dei parlanti nello stesso spazio fisico, una delle condizioni della realizzazione orale nella

sua forma compiuta (manca del tutto la gestualità del parlato dialogico, che accompagna e arricchisce la comunicazione,

sostituendosi all’espressione verbale). L’uso del telefono quando si interviene

in un dibattito radiotelevisivo è diverso da quello del libero scambio conversazionale, ha implicita una disuguaglianza

sostanziale: il canale comunicativo è gestito da una delle due parti, che decide

a chi dare la voce, quanto tempo destinare al colloquio, quando interromperlo, talora troncando la parola

all’interlocutore, che privo della garanzia di un controllo della comunicazione, a cui si può collaborare solo in modo

imperfetto. I talk show sono solo una parte della programmazione radiotelevisiva, composta da una miriade di

trasmissioni eterogenee per tipologia e contenuti, che vede affiancare le funzioni della cronaca, quelle del commento,

dell’intervista, del dibattito a più voci, del documentario.

Con l’attenzione alle modalità informative dei notiziari (uno studio recente sulla lingua dei notiziari radiofonici ha

accertato, seguendo fra altri il parametro della lunghezza delle frasi, che il parlato dell’italiano trasmesso è vicino

piuttosto alla lingua della cronaca giornalistica che non a quella della libera conversazione [Atzori, 2002, pp. 203-206]:

il dato sottolinea la sua dipendenza dalla scrittura più che l’apertura a un’effettiva e compiuta oralità),

l’oralità radiotelevisiva si colloca nel settore intermedio della diamesia che corre tra lo scritto-scritto e il parlato-parlato.

La varietà diamesica della radiotelevisione, l’italiano trasmesso, partecipa di alcuni caratteri della scrittura: si colloca

sullo stesso versante dell’oralità nella sua forma più genuina, quella del parlato-parlato, per il semplice fatto di usare la

voce, articolata in tutte le sue modulazioni e intonazioni, con le pause, le esitazioni, i segnali discorsivi e, per la

televisione, con la piena utilizzazione della gestualità (ma non per questo riproduce il parlato con fedeltà assoluta,dal

momento che nel libero colloquio si comunica anche attraverso la collocazione spaziale degli interlocutori).

Si presenta con uno dei tratti fondamentali del parlato: la fuggevolezza, l’evanescenza nel tempo.

E’ accostabile allo scritto perché può essere registrato ed ascoltato più volte; è a una sola direzione, dall’emittente al

destinatario; l’emittente e il destinatario non condividono la stessa situazione spaziale;

la comunicazione è rivolta a una pluralità di persone molto ampia e che può essere situata a grandissime distanze;

avviene, per le funzioni di tipo informativo (attualità, divulgazione culturale e scientifica)

a partire dalla scrittura, attraverso la lettura di testi preconfezionati rispetto al momento dell’enunciazione.

Il linguaggio dei giornali, quello cinematografico, quello televisivo e radiofonico e di Internet non si riferiscono a un

argomento specialistico ma a uno specifico canale di trasmissione. Le due prospettive sono state spesso sovrapposte

(Bonomi, Masini, Morgana, 2003), ciò che in parte è autorizzato dal fatto che la divulgazione dei sottocodici

propriamente detti avviene attraverso i moderni mezzi di comunicazione, secondo modalità informative rinnovate,

articolate e usufruibili da un ampissimo pubblico. Il linguaggio radiotelevisivo è espressione scritta nell’atto di

produzione, ma orale per il punto di vista della ricezione. Il parlato della radio e della televisione propone molto spesso,

fuori dalle funzioni informative, esempi di oralità declinata verso i gradini bassi della diafasia (molto più risentito il

linguaggio della tv per la calcolata ricerca di spettacolarizzazione): attraverso i programmi spazzatura, dei microfoni

aperti e di molte altre trasmissioni, radio e tv divulgano una continua messe di tratti regionali (italiano di Roma e

Milano, RAI e Mediaste), contribuendo a far conoscere, a far sentire meno estranee, le varietà fonetiche che corrono

nella nostra geografia linguistica. L’italiano trasmesso livella, in direzione propriamente standardizzante, verso un

modello di pronuncia sregionalizzato. Sino agli anni Settanta dalle radio e dalla tv si diffondeva, in bocca ad

annunciatrici e conduttori di tg, (che seguivano appositi corsi di dizione, una pronuncia informata al modello del

e separata da quella della lingua standard, ma particolarità che acquistano importanza crescente

nella dinamica della lingua contemporanea. Nella sintassi della frase il parlato predilige andamenti

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che adottano un ordine delle parole (non ) marcato: per ragioni di espressività o per particolari

esigenze comunicative si modifica l’ordine, enfatizzando un costituente,

attraverso la sua collocazione in prima sede (tema o dato noto) contrapposto al rema (nuovo).

La diastratia (greco stràtos, strato) è la variazione determinata da fattori di tipo sociale, correlata

allo status socioeconomico di chi usa la lingua, anche se riconoscere precisi confini fra le classi

sociali dell’Italia contemporanea è difficile per i linguisti e per gli stessi sociologi.

Nel quadro di un miglioramento generale delle condizioni di vita negli ultimi decenni, ma anche di

fiorentino emendato, priva di tratti fonetici e intonativi regionali. Con l’avvento delle emittenti private, con la

scomparsa di queste figure, con la priassi di affidare la conduzione dei tg a giornalisti di professione, non addestrati alla

ortopeia, queste occasioni si sono rarefatte. Ma, nei radiogiornali, in molti programmi culturali, nel doppiaggio di film

e sceneggiati prodotti all’estero, il mezzo televisivo e soprattutto quello radiofonico si pongono come importanti punti

di irradiazione della pronuncia emendata. Questa, insieme alle pronunce regionali anche spiccate, non è in

contraddizione: entrambi possono concorrere, in modi diversi, a una sia pur lenta e graduale uniformazione dell’italiano

parlato. La fruizione orale e la destinazione a un pubblico anche basso per la collocazione diastratica sono due fattori

che contribuiscono a dettare alcune caratteristiche espressive dell’italiano trasmesso: chiarezza e capacità di concisione,

che devono assicurare la piena comprensibilità richiesta, da un lato, dall’ampia gamma diastratica degli utenti e,

dall’altro, dalla ricezione orale del messaggio e della condizione particolare del destinatario. Chi ascolta l’italiano

trasmesso, a differenza degli scambi colloquiali, non può farsi ripetere o spiegare gli enunciati già percepiti, ma talora

intesi in modo imperfetto, e non può ritornare sul testo, a meno che non abbia registrato la trasmissione. Radio e tv si

pongono come fonti di una lingua usufruita passivamente, non rielaborabile, per l’inevitabile rapidità del consumo (e in

linea con la natura dell’italiano trasmesso): valgono a rafforzare la competenza linguistica di chi già possiede una

preparazione culturale di base, ma difficilmente riescono a creare nuove capacità espressive

(Cortellazzo, 2000, pp. 64-7 e Atti del convegno “L’italiano televisivo 1976-2006, Milano, 2009, in Mauroni, Piotti,

2010). Si parla di trasmesso-scritto per la lingua di web, chat, e-mail ed SMS,

che si mantiene vicina al polo della scrittura, ma spesso si configura secondo modalità che tendono al parlato.

Si deve parlare di rapidità non solo per quanto riguarda il consumo, ma anche in relazione alla produzione, in merito ai

processi comunicativi (Pistoleri, 2004; Orletti, 2004; Antonelli, 2007). Il parlato del libero scambio conversazionale e

la scrittura non legata in alcun modo al parlato.

I dialetti affiorano nel trasmesso-scritto, nella pubblicità, nelle lingue esposte (insegne c, graffiti), nella musica

giovanile (Grimaldi, 2006 sull’uso del dialetto salentino nelle canzoni hip-hop), nei romanzi siciliani di Camilleri.

Nel settore della scrittura più impegnata (narrativa, saggistica, prosa giornalistica) le sfumature regionali si annullano.

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Pragmatica: la lingua della conversazione ricorre a elementi linguistici detti segnali discorsivi, che non aggiungono

nulla al contenuto delle preposizioni, vuoti di valore semantico, di significato, hanno un ruolo primario nel

funzionamento dell’interazione verbale: mantengono vivo il contatto fra gli interlocutori, assecondando la funzione

fatica della lingua, che controlla il canale comunicativo, e nell’organizzazione del testo – sono connettivi testuali.

Gli intercalari inconsapevoli (cioè, insomma, comunque, diciamo, è vero) nascono dalla difficoltà di pianificare il

discorso e permettono di riprendere e correggere gli enunciati dopo una falsa partenza o accordano lievi pause nelle

quali riformulare il messaggio. Per il punto di vista del locutore si distinguono gli elementi che segnalano l’inizio del

turno (senti, allora, dunque, ecco, scusa, niente); quelli che lo chiudono (preceduti da pausa e pronunciati in tono

ascendente) annunciano anche la richiesta di un accordo; gli usi allocutivi e vocativi richiamano l’attenzione altrui

(mister). L’ascoltatore usa segnali di interruzione per impadronirsi del turno conversativo (ma, allora), segnali di

avvenuta ricezione del messaggio (sì, perfetto, d’accordo, assolutamente, elementi non lessicali), di disaccordo

(assolutamente no, per niente, ma va là, elementi non lessicali, gestualità). Le ripetizioni lessicali rispondono a enfasi

(oratoria politica, sindacale), all’esigenza di chiarezza e tenuta del discorso, assolvendo il compito di connettivi testuali.

Sono meccanismo di coesione tra i turni di conversazione e veicolano commenti di sorpresa, dissenso.

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L’ordine basico, non marcato, delle parole (topologia) nella preposizione in italiano contemporaneo

è quello diretto SVO (oggetto-verbo-oggetto diretto) o SVOOI (soggetto-verbo-oggetto diretto-

oggetto indiretto). Il latino ha un ordine SOV ed ampia libertà di collocazione delle parole

grazie a morfemi desinenziali che indicano la funzione sintattica (lingua flessiva).

differenziazioni economiche molto ampie e di una maggiore mobilità fra i ceti, per la linguistica le

variabili pertinenti sono costituite non solo e non tanto da fattori tradizionali come il reddito

Dettagli
A.A. 2011-2012
9 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

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