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PARTE 2 LA PROSPETTIVA PRAGMATICA
CAP. 1 - NASCITA E SVILUPPO DELLA PRAGMATICA
1.1 Che cos'è la pragmatica?
La pragmatica studia il rapporto della lingua con il modo in cui viene utilizzata, quindi il rapporto della
lingua rispetto agli scopi per cui viene usata, alle persone che la usano e a tutti quegli elementi che
contribuiscono ad individuare le funzioni della lingua e ad influenzarne le varietà. La pragmatica,
quindi, comprende sia gli aspetti della struttura linguistica che fanno riferimento al contesto, sia i
principi di uso e comprensione della lingua. Riflettere sulle funzioni pragmatiche significa quindi avere
consapevolezza dei meccanismi e delle funzioni della lingua. Presupposto della pragmatica, inoltre, è
che il parlare è un'azione dell'uomo. In tal senso, un punto cardinale insito in qualsiasi studio di
pragmatica è che ogni volta che parliamo lo facciamo per scopi ben precisi: prima di tutto per la
comunicazione, ma anche per organizzare concettualmente il nostro pensiero, per convincere,
comunicare emozioni ecc. Il nostro parlare ha quindi, sostanzialmente, come fine ultimo quello di
cambiare il comportamento degli altri. Non a caso, dal punto di vista etimologico il termine pragmatica
contiene la radice greca “pragma” che significa appunto azione. Oggetto di studio della pragmatica
linguistica è quindi l'agire linguistico.
1.2 Confluenze sulla nascita della pragmatica
La genesi e l'evoluzione della pragmatica non è stata né semplice né omogenea. Il primo a parlare di
pragmatica o meglio di “dimensione pragmatica” è stato Charles Morris, il quale oppone la pragmatica
alla sintassi, cioè la disciplina che studia la relazione tra segni, occupandosi, in particolare, di come
mettere insieme gli elementi linguistici per formare enunciati corretti, così come dell'organizzazione dei
sintagmi ecc., e alla semantica, che invece si occupa della relazione tra i segni e gli oggetti del mondo
esterno e che pertanto ha come referente primario la realtà. La pragmatica, secondo Morris, studia i
segni in rapporto agli utenti, quindi va oltre le due discipline. Il rapporto tra pragmatica e semantica, in
particolare, si tratta di un rapporto conflittuale. Entrambe, infatti, fanno riferimento al significato di un
atto verbale, ma c'è una differenza fondamentale: la semantica è una componente costituente la
lingua e si occupa del significato linguistico dell'unità; la pragmatica, invece, va oltre perché pone
attenzione non al significato linguistico, ma al significato che il parlante vuole attribuire a una
determinata frase, a prescindere dal suo significato linguistico. Quindi, mentre la semantica si occupa
solo del significato della frase in quanto tale, cioè del valore linguistico di quella unità verbale, la
pragmatica va oltre. Semantica e pragmatica, però, sono caratterizzate anche da una contraddizione
di fondo: la semantica, infatti, a un certo punto ha abdicato di fronte a tutti quei fenomeni che non
riusciva a spiegare senza fare riferimento alla lingua. Dall'altro lato, invece, la pragmatica dichiarava di
occuparsi del significato linguistico andando però a sconfinare nel campo della semantica.
Attualmente questa contraddizione è stata superata adottando una posizione complementare e
conciliante tra i due ambiti. Nel 1963 altri due autori, Katz e Fodor, intendono la pragmatica come
studio dell’esecuzione linguistica che fa parte della dicotomia chomskyana competenza-esecuzione.
L'esecuzione, in particolare, si riferisce all'atto linguistico completo e coincide con la parole. Secondo
questa definizione dei due autori, però, la pragmatica non sarebbe una scienza, in quanto non è
l’antropologo Dell Hymes
contemplata la competenza. Nel 1972 e a seguire, invece, usa il termine di
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“competenza comunicativa” in riferimento alla capacità dei parlanti di usare la propria lingua in modo
efficace in ogni ambito linguistico. Allo stesso modo, gli uomini dispongono anche della "competenza
pragmatica". In questo modo la pragmatica acquisisce l'elemento della competenza e pertanto diviene
a tutti gli effetti una scienza.
In generale si può dire per molti decenni gli studi e le ricerche dei pragmatisti sono state caratterizzate
da frammentarietà e interdisciplinarità, in quanto non c'era un terreno di ricerca circoscritto e
delimitato. Fino agli anni ‘70, in particolare, la pragmatica ha avuto un esordio confuso e difficile,
questo perché è stata spesso considerata in maniera complementare alla sintassi e alla semantica,
quindi non come una scienza autonoma. Dal 1970 in poi c'è stata una crescita esponenziale di
ricerche in questa direzione, anche se ancora scarsamente omogenee. A partire dal 1980, invece, si
avverte finalmente lo sforzo di unificare le diverse posizioni dei pragmatisti così come l'esigenza di
rapportarsi a scienze moderne. La nascita della pragmatica si può collocare, oltre che sul filone del
cosiddetto "pragmatismo americano" che ha come fondatore Peirce, anche all'interno della linguistica,
della filosofia, della psicologia e della sociologia.
Sfondo linguistico
Strutturalismo
All'inizio del Novecento, in Europa, lo scenario linguistico è caratterizzato soprattutto dallo
strutturalismo che ha come principale rappresentante il linguista Saussure. Il tema centrale dello
strutturalismo consiste nel considerare ogni lingua come un sistema di relazioni all'interno del quale
tutto è collegato. Nello strutturalismo si individuano tre scuole: la scuola di Praga, la scuola di Mosca
(Hjemslev), che analizza la lingua in termini formali e astratti, e lo strutturalismo americano, chiamato
anche “strutturalismo tassonomico” o “distribuzionalismo”, che fa capo a Bloomfield. Il termine
strutturalismo vuol dire che la lingua è intesa come un insieme strutturato: la lingua, quindi, è un
insieme di regole, non casuali ma strutturate. I maggiori esponenti dello strutturalismo europeo sono
Saussure. In questo ambito viene assegnata grande importanza alla “langue”, cioè
Jakobson e alla
lingua come sistema astratto di relazioni e di regole. In tal senso, il primo limite dello strutturalismo è
proprio connesso al fatto di essersi occupato esclusivamente della langue e delle strutture. Il secondo
limite, invece, è quello di non aver mai considerato la lingua nelle sue dimensioni di variazione.
Funzionalismo
Intorno al 1950, si assiste a un nuovo movimento ideologico in ambito linguistico: il funzionalismo, nel
quale il linguaggio è inteso come uno strumento di interazione sociale. In questo paradigma si fa
riferimento anche alla “funzione linguistica”, inoltre si parla si parla sia di funzione che di contesto.
Grammatica generativa
Nel 1955 si ha la nascita, negli Stati Uniti, della grammatica generativa o generativismo, fondato da
Secondo quest’ultimo, il linguaggio ha una base genetica, innata, esso pertanto è inteso
Chomsky.
come un sistema cognitivo di regole e principi attraverso cui ogni singolo individuo apprende la propria
lingua madre. Chomsky ha fondato buona parte della sua teoria sul predominio della sintassi: a
questo proposito viene introdotto il concetto di "lingua naturale possibile", inteso come l'insieme delle
condizioni e dei principi comuni a tutte le lingue naturali, che si caratterizza attraverso la cosiddetta
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Grammatica Universale: quest'ultima comprende, oltre alle condizioni relative alla forma della
grammatica e al funzionamento delle regole grammaticali, anche una serie di norme e parametri
"aperti" e sono stabiliti in maniera differente da ciascuna lingua. La grammatica generativa ha poi in
seguito subito una serie di evoluzioni: ad esempio è sorta la semantica generativa, il cui obiettivo era
quello di integrare parte della problematica pragmatica all'interno della prospettiva generativista.
Secondo Chomsky ogni teoria linguistica deve necessariamente fornire un legame tra suono e
significato attraverso una grammatica, deve cioè individuare due livelli di rappresentazione: la forma
fonetica e la forma logica. L'influenza della tesi chomskyana si è poi estesa non soltanto all'ambito
linguistico, ma anche a quello psicologico, filosofico, antropologico ecc.
Linguistica testuale
Un orientamento linguistico che ha inciso in maniera determinante sulla nascita della pragmatica è
stato, in particolare, la linguistica testuale o linguistica del testo. Questa metodologia di ricerca
sostiene che l'elemento primario della linguistica non sia l'enunciato, bensì il testo dove si possono
distinguere tre momenti: il primo momento è l'analisi delle regolarità che oltrepassano i limiti del
singolo enunciato; il secondo momento della costruzione di grammatiche testuali mentre il terzo
momento è la costruzione di teorie del testo. A questo livello, in particolare, l'ambito della ricerca si
estende dal testo al contesto; si passa cioè dal co-testo (inteso come l'insieme delle regole interne al
testo) al con-testo (inteso come insieme delle condizioni esterne al testo, relative alla produzione, alla
ricezione e all'interpretazione del testo).
Sfondo filosofico
In ambito filosofico hanno contribuito significativamente alla nascita della pragmatica l'empirismo
logico, la filosofia del linguaggio ordinario, la semantica logica e la filosofia della mente che hanno tutti
e quattro, come comune denominatore, il problema del significato. L'empirismo logico, in particolare,
ha origine nel circolo di Vienna e fu poi costretto a sciogliersi per motivi politici nel 1938. Questa
corrente filosofica concepiva la filosofia come uno strumento di chiarificazione concettuale, inoltre era
finalizzata a costruire una lingua scientifica. In particolare, secondo l'empirismo logico, un enunciato
che non può essere verificato (del quale, cioè, non si può provare se sia vero o falso), è, almeno in
linea di principio, privo di significato. Il movimento filosofico che ha portato maggiore contributo alla
pragmatica è stato però, soprattutto, la “filosofia del linguaggio” che si sviluppa in Inghilterra negli anni
30. Muovendosi sempre all'interno della ricerca del significato o verità delle frasi, questo tipo di
filosofia utilizzava la lingua quotidiana per analizzare e risolvere i problemi filosofici. Con la filosofia del
linguaggio, inoltre, si ha il passaggio dal linguaggio come rappresentazione al linguaggio come azione
e attività sociale. La filosofia analitica si interessa poi all'antipsicologismo e agli aspetti formali delle
lingue naturali, applicando procedure logiche nella ricerca semantica. Un aspetto centrale connesso a
questo orientamento è la costi