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Tetide, dall’unione sarebbe nato un figlio più forte del fulmine o del tridente). Da allora,
avrebbe portato una corona ed un anello al dito, in segno di sottomissione a Zeus.
Da questo mito, nonostante la religione greca sia lungi da una vera e propria
ortodossia, possiamo isolare alcuni elementi narrativi sui quali fondare
un’interpretazione adatta ad una lettura della civiltà tecnologica:
-Raggiungimento della definitiva stabilità del reale;
-Il fuoco, le tecniche e l’istituzione del sacrificio;
-La creazione della prima donna;
-Il supplizio del Titano;
-Il fuoco, la corona, l’anello, l’aquila e la colonna;
-Il ruolo di Zeus e quello di Prometeo nella dialettica tra sapere e potere.
Quindi, abbiamo detto come Prometeo tenda a definire il mondo, in maniera definitiva,
definendo l’olimpico. Gli uomini e gli dei, grazie alla sua azione, trovano la giusta
collocazione, il senso del loro esistere: il Titano è il crocevia tra il mondo olimpico e
celeste degli dei e quello del divenire della materia. Con il suo supplizio, inoltre,
esprime il paradigma della sfida all’ordine sacro; la montagna (o il palo, o colonna,
indifferentemente dalla tradizione) si traduce con il simbolo dell’axis mundi, che a sua
volta passa per il centro del mondo, intersecando il Cielo, la Terra e gli Inferi; ciò che è
interessante, è che comunque un centro è presente in uno spazio sacro, non profano,
dove avviene però una rottura dei livelli, il punto in cui si trascende il sensibile: in
questo senso il supplizio ha il significato di condurre alla sapienza, inteso non solo 6
come conoscenza di sé stessi e dei propri limiti, bensì anche di capacità di soffrire,
assumendo le proprie conseguenze su di sé. Donando all’uomo la coscienza, Prometeo
contribuisce a separare l’uomo dalla falsa esistenza che lo contraddistingue nell’Età
dell’Oro, paradisiaca e passiva, senza coscienza e a contatto con gli dei. Donando il
fuoco e le tecniche la vita e la morte vengono destate, separando dei e uomini,
donando agli uomini la carne del sacrificio, ricordando in questo modo che all’uomo
sarà necessario uccidere per vivere, quindi ricordando l’umana mortalità. Kerényi
inscrive il Titano all’interno di quelle figure lunari (come Ermes stesso) che si pongono
a metà tra la natura solare e quella notturna (il supplizio avviene di giorno, ma la ferita
si rimargina di notte); Prometeo inoltre è legato al mondo sub-lunare (nell’antichità,
bisogna ricordare, che esso corrispondeva al mondo umano), quindi all’incessante
divenire che lo caratterizza, mostrando così all’uomo la frattura esistente tra il mondo
terreno del divenire e quello divino della trascendenza.
Nel mito è particolarmente accentuata la brutale contrapposizione tra dei e uomini: la
ritroviamo nella figura di Pandora, che giunge all’uomo con il vaso dei mali, facendo
uscire gli uomini dall’innocenza dell’età dell’oro. Pandora consegna gli uomini al
mondo del divenire, e l’introduzione della mortalità è paradossalmente salvifica nei
confronti del genere umano.
Il fuoco all’interno di questo mito, e non solo, ha un significato così profondo e
sterminato da poter spaziare in tutti i tempi, dalla semplice oggettualità (ad esempio
per cucinare, riscaldare,…) all’espressione del potenziale numinoso (come lo Spirito
Santo sotto forma di fuoco sugli apostoli) alla passionalità (persino l’alchimia è
completamente pervasa da un’intensa immaginazione sessuale, immaginazioni di
ricchezza e ringiovanimento, da un’immagine di potenza, insomma). La divinità nel
suo aspetto igneo, produce una sorta di “intellettualizzazione del cosmo”: esso è
intermedio e intermediario con il mondo sensibile, e grazie al Titano, per mezzo del
fuoco e del supplizio viene ricomposta la frattura tra coscienza e mondo, stabilendo
una visione del reale tipica delle culture premoderne, fondata su un rapporto di
simpatia universale tra uomo e mondo (essa segue il principio di mobilità avvicinando i
più distanti e suscitando il movimento delle cose nel mondo).
L’aquila che divora il fegato di Prometeo esprime il rapporto tra potere e sapere
occidentale: il potere (Zeus) incatena il sapere (Prometeo), infliggendogli un dolore
insopprimibile tramite l’aquila (simbolo dell’autorità divina e del regale, l’equivalente
del leone in terra). Questa è una metafora della costrizione da parte dell’autorità
divina a circoscrivere il sapere tecno-operativo all’interno di un ordine cosmico, dove
però la capacità umana di piegare la natura ai propri scopi conosce una notevole
limitazione. Il fegato di cui si nutre il rapace rappresenta il mondo delle passioni e
dell’animosità (come descrive Galeno, riprendendo la tradizione platonica della
tripartizione dell’anima).
L’ordine divino dunque si ritrova accostato al mondo della pura materialità su cui il
fuoco e la tecnica esercitano un’importante potere: si è instaurato un rapporto
dialettico tra divino e sapere tecnico. Il trascendente (simboleggiato dall’aquila, da
Zeus e dal cielo) inscrive l’uomo in un cosmo dove esso rappresenta il modello
simbolico per l’esistenza terrena umana, condotta sulla terra appunto, nel panta rei
eracliteo.
In questo contesto narrativo, dominato prima dalla disubbidienza titanica e poi dalla
riconciliazione, l’aquila è soggetta ad una doppia interpretazione:
1) L’intelletto dopo essersi nutrito degli istinti più bassi (il fegato) si allontana da una
dimensione divina di sapienza; dopo, morendo, si trasforma in quella saggezza
spirituale capace di metabolizzare e superare la dimensione istintiva (espresso
nell’uccisione da parte di Eracle), ovvero è la conclusione della metabolizzazione della
cupidigia. Insomma, alla fine vi è una riconciliazione tra il sapere tecnico del titano e la
divinità, così da permettere una circoscrizione del sapere all’interno di un ordine
cosmico, determinando così un chiaro orizzonte simbolico dove ragione,
immaginazione e volontà hanno un equilibrio. L’agire tecnico trova la sua 7
legittimazione solo a condizione di piegarsi all’ordine sacro del potere divino, e l’uomo
assume il ruolo di mediatore tra il cosmo e il divenire della realtà.
Questo significato trova la sua massima espressione nell’alchimia: ogni alchimista, alla
ricerca della pietra filosofale, è esposto come il Titano alla sofferenza, prima di
giungere alla contemplazione del sacro e all’equilibrio; per gli alchimisti inoltre, la
trasmutazione del piombo in oro assume un significato particolare: trasmutare
equivale a completare, poiché l’oro corrisponde per loro al massimo grado di
perfezione. Colui che otterrà l’oro filosofale conoscerà anche il segreto della vita.
Potere e sapere partecipano ad una forma particolare di sovranità, dove è necessaria
la ricerca di un equilibrio che si esprime in un immaginario prometeico. Il potere è
pienamente coinvolto, perché esso è inteso come ricerca soggettiva dell’equilibrio
interiore, sia come potere politico, in quanto modello sacrale di limitazione e
comprensione dell’operare tecnico.
La tecnologia è modernamente intesa come un campo volto all’ottimizzazione degli
strumenti tecnici, secondo la logica dell’ottenimento di un risultato pratico attraverso
il minor sforzo possibile. Essa è totalmente desacralizzata e non conosce un principio
di regolazione sacro. Mentre la tecnica in senso antico è l’applicazione di norme e
procedure elaborate culturalmente in vista di un’attività pratica, modellata su un
ordine sacro con regole e limitazioni.
Oggi, la tecnologia e la scienza sperimentale sono intese come l’unico orizzonte di
comprensione del reale e di possibilità umane, occupando lo stesso ruolo che un
tempo avevano il mito e la religione, ma senza preoccuparsi di alcun paradigma mitico
e sacrale, occupandosi solamente di trasformare in realtà le conoscenze acquisite.
Riprendendo il mito platonico della caverna (dove gli uomini liberati dal mondo delle
apparenze acquisiscono un nuovo sapere, condividendolo poi tra gli uomini, per
cambiare le strutture di potere), e come ci insegna anche lo stesso Prometeo,
conoscere significa anche esercitare un potere su un oggetto.
Quindi, tirando le somme, la conoscenza in sé stessa, possiede due caratteri: il primo
contemplativo e speculativo; il secondo, operativo e performativo, per il quale esprime
un potere sulla natura e sulla realtà.
Ma nel XIX secolo abbiamo assistito ad uno stravolgimento del significato del mito di
Prometeo: con l’inizio dell’industria e dell’acciaio, Prometeo rappresenta il carattere
dell’antidivino dell’umanità, incarnando così l’essenza della tecnologia moderna. Come
se il Titano avesse perduto la capacità di ricordare all’uomo l’esistenza di un mondo
divino immutabile, alterando così anche il significato della tecnologia e della scienza
stessa, doni di Prometeo. Dunque la terra e il rapporto sacro intrapreso con l’uomo,
assume il nuovo significato di semplice oggetto resistente, opposto e sfidante della
volontà umana, pervasa di un desiderio illimitato di potenza, lontano da qualsiasi
ordine sacrale.
Dimenticare il supplizio significa dunque ricostruire l’immagine del mondo
esclusivamente su conoscenze scientifiche, lontani da quella narrazione prometeica
che ruotava attorno alla relazione con il sacro ed il divino; mentre prima l’uomo era
definito all’interno di una relazione con il divino ed il sacro. Ciò che titanicamente
raccoglieva in sé l’apertura al sacro, in quanto storia di una sfida, della sua punizione e
della successiva redenzione, si trasforma nella tecnologia moderna, che ha perduto la
memoria del Caucaso. In questo oblio del sacro, il potere della tecnologia fonda la sua
ragion d’essere esclusivamente sull’intelletto e l’intelligenza umana, intesa soprattutto
come metis (volta all’efficacia pratica), grazie alla quale ritroviamo il senso di
finitudine della nostra ragione, nonché il logos tecnologico, che non riconosce altre
verità oltre a quelle del suo agire. Tutto il resto viene considerato come un agitarsi
confuso di idee opinabili, valori discutibili, giudizi affrettati. Il mondo divino insomma
svanisce.
Insomma, sintetizzando, si ha una totale inversione del senso del mito di Prometeo,
nell’era tecnologica, una vera e propria sostituzione di logos: acc