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SE /C SL SE /C

SL 1 1 1 1a 1a 1a

La sostanza dell’espressione del testo di destinazione cerca in qualche modo di essere equivalente sia alla

sostanza linguistica SL che alle sostanze extralinguistiche SE del testo fonte ai fini di produrre quasi lo stesso

effetto.

In retorica si distinguono figure del contenuto (come la metafora o la sinonimia, o l’ossimoro) traducendo le quali

la sostanza linguistica (e quella extralinguistica) non sono pertinenti; ma queste sostanze diventano rilevanti nella

maggioranza delle figure dell’espressione, come paronomasia, assonanza, allitterazione o anagramma.

Quanto ai valori metrici, la lunghezza delle vocali e la sillaba sono fenomeni di sistema; ma l’articolare una

sequenza di suoni di diversa lunghezza secondo le leggi della metrica quantitativa, o secondo il numero delle

sillabe e il loro accento, è fenomeno di organizzazione del processo di produzione testuale e queste soluzioni (se

pure dipendono da particolari regole metriche e stilistiche) sono tuttavia percepibili solo come fenomeni di

sostanza extralinguistica. Quindi è percepibile come sostanza extralinguistica anche la rima (e schemi strofici

connessi).

Es. Prufrock: quello originale ha una metrica, delle rime (alcune interne) e delle assonanze che vanno perdute

nella tradizione italiana. La traduzione di Berti è degli anni 40 e quelle di Senesi iniziano ad apparire ad apparire

all’inizio degli anni 60: la cultura italiana ha dunque ricevuto Eliot come poeta contemporaneo, dopo che aveva

conosciuto l’ermetismo e le altre correnti.

Entra qui in gioco la nozione di orizzonte del traduttore.

Ogni traduzione (e per questo che le traduzioni invecchiano) si muove in un orizzonte di tradizioni e convenzioni

letterarie che fatalmente influenzano le scelte di gusto.

Hanno deciso che in Eliot la rima era secondaria rispetto alla rappresentazione di una “terra desolata” e dunque la

fedeltà alla desolazione eliotiana imponevano di non ricorrere a rime che nel contesto italiano sarebbero apparse

esageratamente e consolatoriamente “piacevoli”. Le traduzioni italiane del Prufrock sono state determinate dal

momento storico in cui sono state fatte che dalla tradizione traduttoria in cui si inserivano. Non sono stati però

insensibili ai problemi della sostanza linguistica, e non hanno deciso di privilegiare soltanto il contenuto

disinteressandosi ai valori della Manifestazione Lineare.

Es. Conte di Montecristo tradotto da Franceschini: personaggio di abbé Faria. A parte le fonti storiche è

comunque singolare che questo personaggio, filosofo, illuminato, bonapartista, sia un ecclesiastico, sia perché era

caratteristico dei tempi sia perché la funzione di mentore, padre e direttore spirituale che assume nei confronti di

Edmond perde così un particolare rilievo. Nella versione italiana è evidente che la storia, sia pure di poco, cambia,

e questo Faria perde le sue connotazioni originarie per assumere quelle più vaghe di un avventuriero- scienziato.

11.5 Il quasi della traduzione poetica

La rilevanza della sostanza extralinguistica è centrale nel discorso a funzione poetica. Nella comunicazione a fini

pratici la presenza della sostanza linguistica ed extralinguistica è puramente funzionale, serve a colpire i sensi, e di

lì si parte per interpretare il contenuto. Invece, di fronte a un discorso a funzione poetica, certamente colgo sia il

contenuto denotato che quello connotato ma dopo averlo colto ritorno a questioni di sostanza, e del rapporto tra

sostanza e contenuto mi diletto.

Traducendo si dice quasi la stessa cosa. Il problema del quasi diventa ovviamente centrale nella traduzione

poetica. Però è interessante vedere dove talora il traduttore, sapendo che può dire solo un quasi, va a cercare il

nucleo della cosa che vuole rendere (sia pure quasi) ad ogni costo.

Es. Prose du transsiberien di Cendrars: la traduzione di Rino Cortiana, per mantenere il tono di dolcezza utilizza

toni chiari che non rendono il rollio cupo dei vagoni. Egli ha probabilmente intravisto in questi versi due nuclei: il

rollio dei vagoni e la tenerezza amorosa e ha dovuto scegliere.

Es. Spesso il male di vivere ho incontrato di Montale: nessuno può negare che questa poesia abbia un

“contenuto” e che questo contenuto debba salvarsi in qualsiasi traduzione, così come occorre lasciare emergere

le immagini originali, tutte epifanie, correlativi oggettivi del male di vivere.

Due traduzioni in inglese e una in francese: i tre traduttori hanno rispettato i due enjambement, hanno fatto del

loro meglio per rendere i suoni aspri, e i due inglesi in qualche modo hanno dato all’ultimo verso un respiro più

lungo dei precedenti.

Eco ora esamina una serie di dove ciascun traduttore ha individuato con chiarezza ciò che voleva salvare e

quasi

ciò che voleva perdere.

Poe voleva dirci provocatoriamente come ne Il corvo “nessun particolare della sua composizione può spiegarsi

con il caso o con l’intuizione” e che “l’opera si è sviluppata, passo per passo, verso il suo compimento con la

precisione e il logico rigore di un problema di matematica”. Poe è forse il primo, almeno tra i moderni, a porsi il

problema dell’effetto che un testo deve provocare in quello che Eco chiama il suo Lettore Modello.

Poe ci dice come il suo “pensiero successivo” sia stato quello di decidere quale fosse l’effetto da produrre, un

effetto che si deve provare quando si contempla il bello. Poe individua un “cardine” per far girare l’intera

struttura poetica, e decide che questo cardine deve essere il refrain, o ritornello, e cerca una formula che gli

permetta di attenersi a una monotonia del suono alla quale si accompagni una continua variazione del pensiero. Il

refrain avrebbe dovuto essere, possibilmente una sola parola che rappresenta la chiusura di ciascuna strofa. La

parola è nevermore.

Poe descrive e quindi ci dice esattamente che cosa si trova nel testo, e che cosa un critico attento ai valori formali

e alle strategie narrative ci troverebbe, anche se Poe non glielo avesse mai detto.

Noi oggi abbiamo la fortuna di avere sia il testo che le riflessioni critiche dei due primi grandi traduttori del Corvo,

Baudelaire e Mallarmè, che oltretutto hanno fondato la fama europea di Poe.

Baudelaire traduce Le corbeau nel 1856, più che altro come esempio per il chiarire il suo saggio sulla filosofia

della composizione. Inizia parlando di poetica e ammette che di solito le poetiche sono modellate dopo le opere,

ma annuncia che questa volta si trova un poeta che “pretende” che la sua poesia sia stata composta sulla base

della sua poetica. Insomma Baudelaire è attratto e respinto al tempo stesso dalla sfida di Poe. Pensa la parola

cardine Nevermore in francese e in francese la recita: Jamais plus. Dovendo tradurre in prosa punta l’occhio sui

valori di contenuto, e cita l’insonnia e la disperazione, la febbre delle idee, la violenza dei colori, il terrore, il

dolore.

Quella di Baudelaire è una parafrasi poetica, o al massimo di una ricreazione a modo di piccolo poema in prosa.

Mallarmè più di Baudelaire egli sospetta che le dichiarazioni di poetica di Poe siano soltanto un “gioco

intellettuale”. L’idea che la poesia avrebbe potuto essere composta in tal modo gli era venuta in mente, suggerita

dai commenti e le investigazioni dei critici. Questo lo solleva dal dovere sacrale, che lui avrebbe dovuto sentire più

di qualsiasi altro, di realizzare nella propria lingua tutte quelle supreme macchinazioni della Poesia. Gioca in lui

una sorta di sotterranea malafede e, per timore di misurarsi con un compito impossibile, anche lui traduce in

prosa e, o per influenza di Baudelaire o perché la sua lingua non gli concedeva di meglio, opta per il Jamais plus. È

vero che all’inizio cerca di conservare alcune assonanze interne ma la sua pseudo- traduzione si mantiene allo

stesso livello di felice adattamento.

Molti che apprezzano le due proposte di Baudelaire e Mallarmè, tendono a suggerire che, in fondo, quei due testi

in prosa producono lo stesso effetto di fascinazione e mistero che Poe voleva produrre.

La traduzione è una strategia che mira a produrre, in lingua diversa, lo stesso effetto del discorso fonte, e dei

discorsi poetici si dice che mirino a produrre un effetto estetico. L’effetto estetico non è una risposta fisica o

emotiva, ma l’invito a guardare come quella risposta fisica o emotiva sia causata da quella forma in una sorta di

“va e vieni” continuo tra effetto e causa. L’apprezzamento estetico non si risolve nell’effetto che si prova, bensì

anche nell’apprezzamento della strategia testuale che lo produce.

La poesia è più difficile da tradurre di ogni altro genere testuale perché in essa si ha una serie di costrizioni a

livello della manifestazione lineare che determina il contenuto, e non viceversa, come accade nei discorsi a

funzione referenziale. Per questo, nella traduzione poetica, si punta spesso al come un

rifacimento radicale,

sottoporsi alla sfida del testo originale per ricrearlo in altra forma e altre sostanze.

Occorre provvedere al lettore della traduzione la stessa opportunità che aveva il lettore del testo originale, quella

di “smontare il congegno”, di capire (e godere) i modi in cui l’effetto viene prodotto.

Talora dunque la sostanza extralinguistica impone al traduttore uno scacco. Con tutto ciò, anche se si accettasse

l’idea che la poesia è per definizione, il testo poetico rimarrebbe come una pietra di paragone per ogni tipo di

traduzione, perché rende evidente il fatto che una traduzione può essere considerata veramente soddisfacente

solo quando rispetta anche le sostanze della manifestazione lineare, persino quando si tratta di traduzioni

strumentali, utilitaristiche e dunque prive di pretese estetiche.

Il rifacimento radicale

Cap. 12

Dal punto di vista editoriale e commerciale rientrerebbe nella categoria della traduzione propriamente detta e

che tuttavia rappresenta al tempo stesso un vistoso esempio di licenza interpretativa. Vi sono occasioni di

rifacimento che si dispongono una scala, per così dire, di licenze, sino a passare quella soglia oltre la quale non vi

è più alcuna reversibilità.

12.1 Il caso Queneau

Alcuni degli esercizi di Queneau riguardano nettamente il contenuto e si prestano a traduzione propriamente

detta. Altre riguardano invece l’espressione. Se per esempio la scommessa dell’autore era di rendere il testo base

senza mai usare la lettera e, evidentemente in italiano si doveva rifare lo stesso esercizio mantenendosi liberi da

ossequente alla lettera dell’originale.

Gli esercizi di Queneau comprendono infine anche riferimenti a forme poetiche, e anche qui la traduzione ha

preso la via del rifacimento radicale. Là d

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
42 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/12 Lingua e traduzione - lingua inglese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Eli.C di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua e traduzione inglese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Passera Diego.