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DENTITÀ E INTERESSI DEGLI ATTORI
condivise: gli interessi sono le idee stesse.
Wendt vuole creare una teoria sistemica. Se i neorealisti sono interessati alla distribuzione delle
capacità materiali (ontologia materialista) e i neoliberali alla distribuzione delle informazioni e delle
istituzioni, i costruttivisti sono invece interessati alla distribuzione delle idee (ontologia idealista).
Wendt parte dagli stessi assunti di Waltz; gli stati sono per lui infatti importanti come lo erano per
Waltz ma il fondamento ontologico è diverso: l’interesse e il potere sono determinanti, ma hanno
una natura ideazionale anziché materiale. Wendt dice: “anarchy is what states make of it”.
L’anarchia non è un fatto bruto per Wendt, bensì una costruzione sociale. Non significa quindi che
ci deve essere il dilemma della sicurezza, quindi non ha un’unica logica fissa: Wendt sgancia
l’anarchia dal dilemma della sicurezza, effettuando una separazione netta.
Wendt dice che esistono 3 culture anarchiche:
1. Hobbesiana;
2. Lockiana;
3. Kantiana.
1. H . C’è una relazione di inimicizia con l’altro, quindi la sovranità dell’altro non
OBBESIANA
viene riconosciuta. Dal punto di vista pratico, non c’è limitazione della violenza perché si
vuole la distruzione dell’altro. Il dilemma della sicurezza qui non esiste perché so cosa
l’altro vuole fare e cosa vogli fare io, non c’è insicurezza, so di voler distruggere l’altro e
allo stesso modo so che l’altro vuole distruggere me. C’è una guerra assoluta.
2. L . C’è una relazione di rivalità, quindi si riconosce all’altro di esistere come entità
OCKIANA
autonoma e indipendente. Si ricorre alla violenza, ma in maniera limitata, si seguono
comunque delle norme. Descrive il sistema di Westfalia perché gli stati si riconoscono l’uno
con l’altro: si facevano la guerra ma non si volevano distruggere l’uno con l’altro
completamente. Il dilemma della sicurezza qui opera. Wendt dice che non posso fidarmi: la
sfiducia porta al conflitto.
3. K . C’è una relazione di amicizia. Le dispute che ci possono essere son risolte senza
ANTIANA
l’uso della violenza. Gli stati formano quindi una comunità di sicurezza nella quale la guerra
è impensabile. Se uno degli stati interni alla comunità di sicurezza viene attaccato, lo aiuto
in guerra. Non c’è il dilemma della sicurezza perché la guerra all’interno è impensabile. Un
esempio è l’UE.
Non sono culture globali: non tutti gli stati ci devono essere ad ogni costo. Uno stato può addirittura
vivere in diverse culture anarchiche in base alla relazione con diversi stati. La politica
internazionale è quindi molto più complessa di ciò che dicono le teorie per Wendt.
L’anarchia è il frutto delle interazioni tra stati: è una pratica prodotta e riprodotta dalle azioni degli
stati, quindi è il frutto delle interpretazioni dei comportamenti degli stati. Ma come nasce? Il primo
contatto è fondamentale: se è un contatto amichevole, rispondo da amico, se non è amichevole
rispondo da non amico. È una relazione continua che è probabile che si riproduca. Wendt parla di
anarchie come profezie che si auto avverano: riproducono quindi se stesse (una profezia che si auto
avvera è quando ci si aspetta qualcosa nel futuro, quindi ci si comporta di conseguenza come per
prepararsi: questo fa avverare effettivamente quello che era stato previsto). 28/11/2016
Lezione 6
6.
6.1. Conflitti armati contemporanei: “human securuty”
Molti studiosi di relazioni internazionali dicono che si ha una guerra se ci sono almeno due stati che
combattono tra loro e almeno 1000 morti. L’Uppsala Conflict Data Programme (UCDP) definisce il
conflitto come “un’incompatibilità contestata che riguarda i governi e/o i territori dove l’uso della
forza armata tra due parti, delle quali almeno una è il governo dello stato, causa almeno 25 morti
legati ai combattimenti”. Quindi ci devono essere:
1. Almeno uno stato coinvolto;
2. Almeno 25 morti legati alla battaglia: non solo i soldati, ma anche i civili che muoiono per
cause collegate alla guerra (per esempio: la famiglia la cui casa viene bombardata);
3. Uso della forza: qualsiasi cosa che possa uccidere, dal bastone alle armi nucleari.
Ci sono diversi tipi di conflitto:
1. Interstatale: sono le meno frequenti (un esempio è prima guerra del Golfo);
2. Intrastatale: sono le guerre civili e sono la maggior parte;
3. Internazionalizzati: sono i conflitti intrastatali nei quali si intromette un altro stato e sono in
numero sempre crescente (degli esempi sono lo Yemen e la Libia);
4. Extrastatali: sono le guerre coloniali, che finiscono nel 1974.
La guerra in Iraq inizia come una guerra interstatale (prima guerra del Golfo), poi diventa dal 2003
internazionalizzata (sciiti contro sunniti).
Dai grafici si deduce che:
1. Le guerre intrastatali sono quelle numericamente maggiori, seguite subito dopo dalle guerre
internazionalizzate;
2. I conflitti si trovano principalmente Asia e Africa;
3. I conflitti seguono lo stesso andamento in ogni continente: i conflitti sono quindi globali (la
guerra fredda, per esempio, era globale);
4. La letalità della guerra è diminuita: viviamo quindi in un mondo meno violento (come dice
Pinker);
5. Se da un lato dal 1945 la letalità della guerra è diminuita, dall’altro il numero di conflitti è
aumentato: è un paradosso e lo si potrebbe spiegare per esempio perché ci sono armi più
precise (smart bombs), ma soprattutto perché si tratta di piccole guerre (guerre in cui,
quindi, non si usano per esempio carrarmati).
In certi casi è legale uccidere delle persone:
1. Se è proporzionale al vantaggio conseguito;
2. Se è un errore.
Attraverso il “CNN effect”, ossia che la guerra viene spettacolarizzata attraverso immagini dei
bombardamenti, cambia il modo di vedere la guerra e i suoi costi umani. La guerra più letale dal
1948 a oggi è stata la guerra in Vietnam, che ha causato circa 2 milioni di morti (di cui 60-70 mila
americani, il resto vietnamiti). È seguita dalla guerra di Corea, una guerra interstatale combattuta
con armi pesanti (1250000 morti). Al terzo posto c’è la guerra civile cinese (1200000 morti).
Un’altra guerra molto letale è la guerra in Iraq negli Anni ’80, seguita dalla guerra in Afghanistan,
la guerra tra Francia e Indocina, la guerra in Cambogia, la guerra in Algeria, la guerra tra Eritrea e
Etiopia e la guerra d’Angola.
Le guerre, però, continuano ad uccidere anche quando la guerra è finita. Il numero di battle deaths e
total deaths non coincide. Nella guerra del Biafra, per esempio, i morti a causa della battaglia sono
75 mila, mentre i morti totali sono tra 500 mila e 2 milioni. Delle possibili cause sono:
1. Carestie: sono causate dall’impossibilità di trasportare il cibo perché le infrastrutture sono
state distrutte dalla guerra;
2. Malattie: si diffondono per esempio perché l’acqua corrente non è più potabile;
3. Mine inesplose: è una causa di scarso rilievo.
Dipende quindi dalla capacità di uno stato di reagire alla fine della guerra.
Tutto questo viene racchiuso nel concetto di “human security”: il problema della guerra e della
sicurezza sarebbe non solo degli stati, ma anche degli individui. Lo stato deve occuparsi della
sicurezza dei propri individui. Le persone, per garantire la propria sicurezza, si spostano. Ci sono
due tipi di persone che si spostano a causa di una guerra:
1. Internally displaced people (IDPs): sono coloro che si spostano dal luogo in cui c’è una
guerra ma rimangono nel proprio stato;
2. Rifugiati: si spostano in altri stati.
Il mantenimento della pace
6.2.
L’ONU non è più l’unica organizzazione che si occupa del mantenimento della pace. Due altri
esempi sono:
1. NATO;
2. Unione africana.
Le “United Nations peacekeeping operations” vengono svolte da diverse organizzazioni dell’ONU,
per esempio l’UNTSO (fece la prima operazione di pace dell’ONU in Medio Oriente), UNMOGIP e
UNDOF.
I contributori maggiori in termini di uomini per le operazioni di pace sono:
1. Pakistan;
2. Bangladesh;
3. India;
4. Nepal;
5. Giordania.
Lo fanno in parte perché i Caschi Blu vengono pagati (quindi sostengono in questo modo anche il
PIL del proprio stato), ma lo fanno anche perché in questo modo possono dare visibilità al proprio
paese.
Invece i paesi che contribuiscono maggiormente in termini economici (assessed contribution) sono:
1. USA;
2. Giappone;
3. Francia;
4. Germania;
5. Gran Bretagna;
6. Cina;
7. Italia.
8. 29/11/2016
Lezione 7
7.
7.1. Terrorismo: ovvero la diplomazia della violenza
Il terrorismo è una tipologia di guerra non convenzionale perché usa la strategia del terrore, ossia si
cerca di creare paura. Scelling, uno studioso di strategia del conflitto, ha scritto il libro “Arms and
influence” (1966); questo libro parla di una strategia nucleare e della diplomazia della violenza. Il
terrorismo è un uso della forza usato soprattutto come strumento di contrattazione (è un “bargaining
instrument”). Quindi la violenza (che viene sempre usata con un determinato obiettivo) non è usata
per prendere qualcosa (questa è quello che Scelling chiama forza bruta). Ha lo scopo di produrre
sofferenza e dolore, che sono seguiti da paura. Così il terrorismo diventa coercitivo. L’elemento
contrattuale della coercizione risiede nella capacità futura di produrre dolore. Perché alcuni attori
decidono di non confrontarsi a viso aperto col nemico? Per non essere spazzati via dalle potenze più
forti. Per esempio, i talebani in Afghanistan ad un certo punto hanno cambiato strategia e hanno
deciso di confrontarsi in campo aperto e sono stati spazzati via. Il terrorismo è quindi la strategia dei
deboli. È una strategia intelligente perché è l’unica che questi paesi hanno. Scelling sosteneva che la
potenza degli attacchi nucleari di Hiroshima e Nagasaki è stata non nel numero di vittime, ma nel
far capire al Giappone di ritirarsi dalla Seconda guerra mondiale. I due attacchi sono quindi attacchi
coercitivi.
In campo militare generalmente il dolore è un effetto secondario e incidentale alla distruzione delle
forze nemiche o alla conquista di un territorio. Per la coercizione invece il dolore è la variabile che
deve essere manipolata al fine di ra