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GPA.

• 30/12/1888: legge sulla sanità pubblica; creazione dell’odierno TAR per i reati contro la

pubblica amministrazione. Provvedimento fatto per allargare la partecipazione ai cittadini e

anche i loro diritti.

• 17/07/1890: provvedimento sulle opere pie con il quale tutte le attività di carità vengono

avocate allo stato (legge laicista che soddisfa le istanze anticattoliche della Sinistra).

• 1890 viene varato un nuovo codice penale (quello Zanardelli) che prevede l’abolizione della

pena di morte, la liceità dello sciopero e la riduzione delle pene per i reati contro la proprietà.

Accanto a questi però vengono approvate una serie di misure restrittive sulla pubblica sicurezza che

saranno riprese nel periodo fascista: l’ammonizione, la richiesta per una manifestazione pubblica, il

domicilio coatto ecc… Tutti provvedimenti che vanno contro quelle che sono le istanze liberali

portate avanti dal codice di Zanardelli.

A questi provvedimenti Crispi fa seguire una ripresa del colonialismo italiano. 02/05/1889 viene

siglato il trattato di Uccialli e il 05/01/1890 viene proclamata la colonia dell’Eritrea.

Il governo Crispi cade per via della nascita di correnti interne politiche contrarie a Crispi. Radicali,

repubblicani e socialisti siglano il patto di Roma in opposizione a Crispi e alla sua conduzione

autoritaria del paese. Al governo Crispi succede Rudinì sulla cui figura si concentrano le correnti

della destra storica e anticrispine. Egli allarga ulteriormente le basi amministrative dello stato; cade

però per intervento del re perché vuole una riduzione delle spese militari e di fronte al suo rifiuto

lascia la carica. Gli succede la personalità di Giolitti, che già in questa fase dà idea della sua politica

interna: la non intromissione dello stato nei contrasti di natura economica o sociale, nei contrasti tra

lavoro e capitale, ma solo in quelli di natura politica.

Lez 6 02/10/14

A Crispi succede Giolitti, il cui primo governo avrà luogo nel 1892. Si tratta sostanzialmente di un

governo di transizione, sorto in un contesto italiano difficile. La carriera di Giolitti inizialmente non

è improntata sulla politica. Egli lavorava come funzionario presso il Ministero del Tesoro durante il

governo Lanza-Sella (’69-’73) ed entra in politica piuttosto tardi, senza quindi rappresentare l’ormai

passato Risorgimento. In particolare, egli non incarna più quell’ideale politico elitario dei liberali.

La scelta di Giolitti come presidente del consiglio è voluta dal re Umberto I che in questa fase

interviene spesso e volentieri nella dimensione interna della vita politica del paese. Quest’ultimo era

cosciente della difficile situazione del paese e temeva che l’unità e le istituzioni liberali si

sgretolassero. Una volta al governo, il neopresidente cerca di regolamentare gli istituti di emissione

bancaria i 5 o 6 derivanti dal periodo preunitario, vengono unificati in un unico complesso. Viene

coinvolto nello scandalo della Banca Romana, che accade nel momento in cui decide di mettere uno

dei cassieri più importanti della Banca Romana, Tanlongo, all’interno della lista dei senatori che il re

doveva nominare. Si sospetta una collusione tra Giolitti e Tanlongo, cosa che spinge il politico

italiano a dare le dimissioni. Ovviamente si tratta di una manovra fatta da Crispi per tornare al potere,

tant’è che nei successivi giudizi riguardanti lo scandalo, i magistrati condannano Tanlongo a pene

molto lievi.

Durante l’anno e mezzo di governo giolittiano, è importante considerare lo scoppio dei Fasci Siciliani

e la reazione del presidente di fronte a questa situazione. In questo caso si evidenzia subito una

particolarità di Giolitti: egli comprende la dimensione della questione sociale e distingue il carattere

dello sciopero di natura sociale da quello di natura politica. Comprende che i primi rappresentano

semplicemente la manifestazione di un malcontento e, per questo motivo, decide di non regolarli e di

non intervenire, diversamente dai secondi, che vengono invece sedati attraverso azioni dure e

repressive. Secondo Giolitti infatti, lo stato non deve più essere espressione di una classe che si

oppone ad un’altra, ma deve rimanere neutrale. Si tratta di una strategia aperta al dialogo, in particolar

modo verso le forze che sono nate sul finire del secolo (cattolici e socialisti). Egli non vuole però

tagliare con la pratica del trasformismo anzi si dice che con lui nasca il neo-trasformismo.

1893-1896: Crispi sale di nuovo al governo, che cade a causa della sconfitta italiana ad Adua. In

questo triennio crispino si ha un’involuzione in senso autoritario e il capo di governo instaura un

rapporto ambivalente con il re che, a differenza dei governi precedenti, si rivela fallimentare. Ci si

allontana dal periodo delle grandi riforme che hanno caratterizzato l’epoca crispina precedente. Il

paese sta cambiando rapidamente, le forze antisistema si rafforzano sempre più, i cattolici stanno

divenendo sempre più numerosi e forti ecc. e Crispi non capisce la situazione, pensando che i

sommovimenti nel paese rientrassero sempre nello schema rosso/neri, guardando con occhio miope

la realtà del paese. Ciò dà il segnale dell’esaurimento e della crisi della classe dirigente liberale, che

sembra sempre più arroccata a difesa delle istituzioni liberali. Essa subisce una involuzione anche di

carattere concettuale, non a caso Sonnino scrive l’articolo in cui chiede a gran voce di riportare in

voga lo Statuto albertino.

Crispi perciò cerca in Africa i successi che potessero rinsaldare la posizione internazionale e interna

dell’Italia. Attua una politica di repressione all’interno del paese con il consenso e il sostegno di

Umberto I, quasi sottomesso alla figura di Crispi, poiché pensa che questo sia l’unico che possa

ripristinare la stabilità e la pace all’interno del paese; perciò cerca di sedare i Fasci e la rivolta in

Lunigiana con la repressione militare. Crispi pensa che tutto ciò sia una mossa del partito socialista

per minare le istituzioni liberali e, di conseguenza, nel luglio 1893 vara 3 provvedimenti cosiddetti

liberticidi (domicilio coatto, divieto di assemblea, reati di opinione e a mezzo stampa). Tutte misure

prese contro il partito socialista che viene sciolto di autorità infatti nel 1894. Si riattiverà nel 1895 a

Parma (qui da Partito dei Lavoratori Italiani si trasforma in Partito Socialista Italiano). Oltre alla

stretta repressiva, viene inaugurato un aumento del fiscalismo tra il 1894-1896 per cercare di risanare

le casse dello stato, impoverendo ulteriormente le classi meno abbiente.

Importanti sono le elezioni elettorali del 1895 perché si incomincia a delineare infatti una

polarizzazione dello scontro politico in Italia. Crispi infatti, cerca di rilanciare il dialogo con il mondo

cattolico attenuando il suo anticlericalismo per favorire la creazione di blocchi cattolico-liberali

contro quelli radical-socialisti. Questo perché, i provvedimenti repressivi di Crispi presi in via

eccezionale, che i capi di governo successivi cercheranno di rendere permanenti, fanno sì che avvenga

una tale reazione da parte dei partiti socialisti da far cambiare la politica del PSI. Quest’ultimo infatti

si avvicina a Cavallotti, leader del partito radicale, il quale intende creare una coalizione anticrispina

per proteggere le istituzioni liberali dall’involuzione autoritaria crispina. Si decide di giocare la carta

delle alleanze per difendere la cornice liberale in cui si inscrive la stessa lotta politica e salvare le

istituzioni. Tant’è che Cavallotti nel 1894 fonda la lega della democrazia che doveva racchiudere i

radicali, i socialisti e i repubblicani. È un momento di forte tensione che caratterizza questi anni, non

solo tra le masse ma proprio a livello politico e istituzionale.

Elezioni amministrative milanesi nel 1895: il non expedit opera solo a livello politico, non

amministrativo, perciò Crispi tenta di attenuare il carattere laicista della sua azione politica per avere

i cattolici dalla propria parte contro i socialisti. Ciò verrà continuato poi nell’epoca giolittiana con la

creazione di un’alleanza dell’estrema contro i cattolici-liberali. Tutto ciò segna l’inizio della lenta

evoluzione che il mondo cattolico o parte di esso fa verso l’adesione ai valori e alle istituzioni liberali.

La novità è importante perché queste elezioni segnano l’avvicinamento del mondo cattolico che si

integrerà lentamente nel mondo liberale, al contrario dei socialisti, attraversati da correnti

massimaliste e rivoluzionarie.

Dopo la caduta di Crispi salgono al governo due persone di nomina regia, Rudinì e Pelloux, i quali

amministrano un’Italia esausta dai conflitti e dal duro fiscalismo. Il paese ha bisogno di calmarsi e

soprattutto di uscire dal vicolo cieco in cui si trovava a causa delle politiche internazionali operate da

Crispi e Umberto I, i quali erano fortemente filo imperi centrali, a danno dei rapporti con Francia ed

Etiopia. A tutto ciò si sommava la delicata questione dell’Eritrea. Perciò Rudinì cerca di far uscire

l’Italia dall’alleanza ossessiva con gli imperi centrali, cercando di far giocare all’Italia un ruolo di

mediazione internazionale all’interno degli schieramenti che si stavano creando in quegli anni.

Nel 1896 si riconosce l’indipendenza dell’Etiopia, viene riconosciuta la colonia d’Eritrea e si pone

uno stop al colonialismo italiano nel corno d’Africa. Inoltre, si cerca di riallacciare i rapporti con la

Francia: viene interrotta la battaglia doganale e si sigla un accordo commerciale che era stato

preannunciato da parte i francesi con il riconoscimento dei diritti degli italiani in Tunisia. Il progetto

politico di Rudinì è quello di crearsi una base parlamentare che non sia crispina, perciò scioglie il

Parlamento (approfittando della crisi del progetto di Ricotti, progetto di legge sulla riduzione delle

armate bloccato dall’intervento regio che costringe il ministro a dimettersi) e va alle elezioni per

cercare di crearsi una “sua” Camera. Dunque Rudinì risale al potere e il suo progetto politico è quello

di creare un partito liberal conservatore con l’apporto dei cattolici. Questi ultimi non sono d’accordo

e di fronte a ciò, Rudinì cerca di trattare con Zanardelli e l’alleanza che si crea (1898) è una prospettiva

politica che dà la misura del limite della classe dirigente: la prospettiva politica di Rudinì è di fare

una convergenza al centro escludendo le ali, di creare un grande partito liberale senza cattolici e

socialisti, cercando così di rinsaldare le istituzioni liberali. Questo suo progetto è tal

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Publisher
A.A. 2014-2015
64 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/02 Storia delle dottrine politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher frazor_1993 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università internazionale degli studi sociali Guido Carli - (LUISS) di Roma o del prof Ungari Andrea.