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In primo luogo, procedendo in ordine “cronologico” (di lettura), è il capitolo in cui troviamo il
passaggio precedentemente analizzato, in cui Gesù afferma “è compiuto”, e per cui si rimanda
all'introduzione
In secondo luogo, la frase immediatamente successiva a quella appena citata recita “E chinato il
capo consegnò lo spirito”, espressione tipica di Giovanni, che (come Paolo) indica con lo spirito la
parte più profonda dell'uomo, evidenziando come pur avendo già consegnato il suo corpo, fu con la
consegna dello spirito che Gesù si abbandonò totalmente al Padre ed agli uomini (anticipando in un
certo senso la Pentecoste).
In terzo luogo, infine, i versetti da 31 a 34 riportano un passaggio presente solo nel Vangelo di
Giovanni, che rappresenta la terza comparsa del discepolo amato nel vangelo stesso. L'episodio è
elativo al fatto che a Gesù non vennero spezzate le gambe, ed il fatto che tale testimonianza non
trovi spazio negli altri vangeli evidenzia (a conferma delle ipotesi precedentemente esposte) come
Giovanni, il discepolo amato, presente sul posto, abbia significativamente contribuito alla redazione
del Vangelo in analisi, per lo meno in qualità di fonte, e significativa è l'indicazione, seppur
indiretta, che viene di tale presenza: “Chi ha visto ne dà testimonianza, e la sua tesimonianza è
vero; egli sa che dice il vero perchè anche voi crediate”.
Tre elementi si possono ricavare da tale formulazione: in primis l'idea di testimonianza rinnova il
concetto di vicinanza a Gesù precedentemente espresso; in seconda battuta la verità della
testimonianza evidenzia l'amore che essa sottende, poiché chi ama, chi è vicino dice la verità, in
quanto un autentico rapporto di amore predispone una conoscenza autentica; infine la testimonianza
è volta alla condivisione dell'esperienza con altri.
Capitolo 20
Il Capitolo 20 illustra la scoperta del sepolcro vuoto, che rappresenta, con la descrizione della
sepoltura e l'incontro con il Signore risorto, uno dei tre momenti facenti capo al tema-chiave del
cristianesimo della resurrezione, dal momento che essa non viene descritta direttamente, se non
(come visto l'anno scorso) in alcuni vangeli apocrifi.
L'interesse della nostra analisi, naturalmente, non è solo relativo alla resurrezione, ma al ruolo del
discepolo amato.
Già le prime parole del primo versetto risultano significative: l'indicazione temporale “il primo
giorno della settimana” indica che con il cristianesimo cambia anche il giorno della festa; se infatti
il sabato ricordava per gli ebrei il giorno nel quale il Signore aveva terminato la creazione, o la
liberazione dall'Egitto (Esodo, 20 e Deuteronomio, 6), i cristiani progressivamente per differenziarsi
scelsero la domenica quale giorno di festa, in ricordo della risurrezione, poiché essa è il centro del
cristianesimo (non si tratta dunque solo di una scelta cronologica, e di organizzazione dell'esistenza,
ma di una scelta teologica).
[Tralasciamo il commento riguardo il senso che ha assunto oggi la domenica, in una società in cui si
è perso il senso di un giorno di stop, in cui, indipendentemente dal credo, riprendere il senso delle
cose più importanti. Senza distinguere alcuni giorni da altri si ha appiattimento dell'esistenza!]
Ma ecco, a partire dal versetto 2, la quarta comparsa del discepolo amato: Pietro è a questo punto
della vicenda cristiana già il capo del gruppo, ed egli (il discepolo amato), viene dunque presentato
come “l'altro discepolo”. Se infatti Pietro ha il ruolo di capo del gruppo, a livello più istituzionale, il
discepolo amato si distingue dagli altri nel senso del rapporto personale con Gesù, con una
connotazione più affettivo, intima.
Ancora una volta una donna è una donna ad introdurre un grande passaggio: le donne dal punto di
vista sociale non erano considerate particolarmente attendibili, poiché non avevano grande rilievo
nella società, eppure i vangeli attribuiscono loro un ruolo centrale (si ripensi all'unzione di Betania,
all'episodio precedentemente descritto in cui le abbiamo trovate ai piedi della croce, ecc.), e ciò è
chiara indicazione che il valore di una persona non è legato a ciò che ha, da dove viene, chi sono i
suoi parenti, e così via, ma alle relazioni personali che stringe (si ricordi che il primo a riconoscere
veramente Gesù come Messia fu un centurione pagano), poiché uomo e donna possono sbagliare,
ma sono comunque il centro della creazione, immagine e somiglianza di Dio, ed il fatto che una
donna possa testimoniare autorevolmente la resurrezione di Gesù, che è il centro del cristianesimo,
ne è appunto la prova.
La donna in questione è in questo caso Maria di Magdala, che alla scoperta del sepolcro vuoto corse
ad avvisare Pietro e “l'altro discepolo”.
I due si affrettano a raggiungere il sepolcro, ma il vangelo riporta: “Correvano tutti e due, ma l'altro
discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là*,
ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro […]. Allora
entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”.
Sorge spontaneo chiedersi perchè il discepolo amato sia giunto per primo al sepolcro, e la risposta
sta probabilmente nella sua più giovane età rispetto a quella di Pietro: egli (il discepolo amato) è
l'ultimo dei discepoli a morire, e risulta dunque certamente più giovane di Pietro, quindi più veloce.
Interessante è poi il fatto che nonostante giunga per primo, non entri nel sepolcro: pur essendo
giovane, e quindi non considerato saggio (poiché la saggezza a quel tempo apparteneva agli
anziani), riconosce l'autorevolezza di Pietro, ed attende quindi che sia lui ad entrare per primo;
l'ordine di arrivo ed ingresso è non a caso sottolineato più volte, in quanto significativo.
*[I teli riordinati indicano che non ci sono segni di furto, di trafugamento del corpo]
Oltre all'ordine di arrivo ed ingresso nel sepolcro, un altro fatto distingue Pietro e “l'altro
discepolo”: il discepolo amato giunge per primo, entra per secondo, ma è il primo a credere.
Secondo l'evangelista infatti, il discepolo amato, proprio in virtù del suo rapporto con Gesù, più
intenso di quello di Pietro, è il primo a capire, dimostrando ancora una volta lo stretto rapporto
intercorrente tra amore ed intelligenza. Secondo i vangeli è infatti un pregiudizio illuministico che
la ragione, per esercitarsi, debba fare a meno dei sentimenti: l'amore aiuta a conoscere; certo è poi
possibile che si ami male, e dunque si conosca male (es. conosciuto un difetto di una persona amata,
lo si difende ad oltranza), ma tale è un difetto d'amore, non un difetto di conoscenza, e se quindi
uno “ama bene”, amore e conoscenza lavorano insieme in maniera positiva, poiché la soluzione non
è illuministicamente anestetizzare l'amore, ma recuperare l'unità tra esso e la ragione.
Interessante è inoltre notare che secondo l'evangelista il “credere” è legato al “vedere” (“e vide e
credette”): è vero che il solo vedere non basta, poiché bisogna interpretare, ma esso aiuta, poiché la
fede è sempre poggiata anche su un'esperienza concreta.
Il versetto 9 conclude l'episodio in modo significativo: “Infatti non avevano ancora compreso la
Scrittura”.
Si tratta di un'espressione sintetica, ma interessante, volta a sottolineare come la fede dei due
discepoli si poggia sì su ciò che vedono, ma anche sulla conoscenza della Scrittura, della storia
precedente di Israele (corrispondente, per noi, all'Antico Testamento), che vedono finalmente
realizzata, potendo ora scorgere il collegamento tra il sacrificio d'Isacco e il sacrificio di Gesù, il
collegamento con l'alleanza unilaterale concessa da Dio a Mosè, il collegamento con la storia del
servo sofferente, ecc.
Capitolo 21
Il Capitolo 21 accoglie il quinto ed il sesto passaggio in cui compare il discepolo amato,
presentando uno degli incontri dei discepoli con Gesù risorto.
L'episodio è ambientato sul “mare di Tiberiade”, che in realtà è un lago.
Uno dei primi passaggi significativi è riportata dal versetto 4, che recita “Gesù stette sulla riva, ma
i discepoli non si erano accorti che era Gesù”.
Tale espressione risulta utile per intuire qualcosa sulla resurrezione, come già ripetuto non descritta
dai vangeli canonici: il fatto che i discepoli non riconoscano Gesù testimonia che il suo aspetto
fisico dopo la resurrezione si colloca in continuità con il suo aspetto precedente (porta infatti i segni
della passione), ma non ne è identico.
Come vedremo in seguito, il Signore mangia, si fa toccare, ed il suo è quindi è un corpo autentico,
non un fantasma, ma i discepoli lo riconosceranno solo quando parlerà con loro, in ciò che dice, da
come si rivolge a loro, e dunque dalla relazione personale.
[Vedremo poi nella prima lettera ai Corinzi che anche il destino del nostro corpo è quello di vivere
con Dio, in Dio; la vita terrena è una preparazione a questa sorte].
Il versetto 6 riporta di fatto un miracolo, ma come visto tante altre volte nella Bibbia il miracolo è
sempre un segno, non è mai il fine: è un segno per incontrare Gesù (si ricordi ad esempio l'episodio
del roveto ardente nell'Esodo, che precede il momento in cui Dio chiama Mosè per nome e poi
rivela il Suo nome a Mosè). Anche in questo caso, infatti, pur meravigliati dalla pesca miracolosa, i
discepoli si disinteressano dei pesci ed incontrano Gesù, riconoscendo che è da Lui che deriva il
miracolo: questa è la fede, che non è un salto nel buio, ma una comprensione seguente all'aver
attrezzato la propria persona a capire ed agire di conseguenza.
Ed il primo che dimostra la propria fede è proprio il discepolo che Gesù amava, che disse “E' il
Signore”.
Come anticipato precedentemente questa espressione chiude il campionario di frasi riportate a lui
facenti capo, ma dimostra come prima degli altri egli abbia capito, abbia afferrato il centro del
cristianesimo.
Segue poi la reazione di Pietro, anch'essa già accennata: “Simon Pietro, appena udì che era il
Signore […] si gettò in mare”. Egli &e